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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI
NELLA VIGILIA DELLA SOLENNITÀ DEL NATALE

24 dicembre 1915

 

Al Cardinale Vincenzo Vannutelli,
decano del Sacro Collegio dei Cardinali.

È purtroppo vero che una nube di tristezza avvolge anche quest’anno la lieta solennità Natalizia, ed Ella, signor Cardinale, nel presentarCi a nome del Sacro Collegio l’espressione dei sentimenti ispirati dalla soave ricorrenza, non ha potuto spogliare la sua commossa parola della lugubre veste del comune dolore. Se infatti volgiamo lo sguardo a vicine ed a lontane regioni, Ci colpisce anche oggi il ferale spettacolo di una umana carneficina, e se nell’anno scorso lamentavamo, in somigliante circostanza, l’ampiezza, la ferocia, gli effetti del tremendo conflitto, oggi dobbiamo deplorare l’espansione, la pertinacia, l’oltranza, aggravate da quelle micidiali conseguenze che del mondo hanno fatto ospedale ed ossario, e dell’appariscente progresso della umana civiltà un anticristiano regresso.

Ciò nonostante Ella, signor Cardinale, innalzando l’occhio alle più alte regioni della Fede, ha saputo trarre dalla presente festività argomenti di augurio per la Nostra persona, di conforto per i sofferenti, di auspicio per l’avvenire dell’umanità. Grati per l’omaggio, e riconoscenti per la nobile forma di voti, Noi accettiamo con animo volenteroso e con paterno gradimento le augurali elevazioni del Sacro Collegio verso un avvenire che si affacci meno funesto per il Pontefice, per la Chiesa, per la società. E le accettiamo tanto più lietamente quanto meglio scorgiamo in esse non solo il conforto di un crescente affetto filiale, ma anche il valore di più intense preghiere che, nell’imperversare del turbine, il Sacro Collegio, consapevole dell’estremo bisogno, innalza a Colui che solo può sedare la procella. Queste preghiere, lo diciamo con alto convincimento, Ci confortano più che ogni altra testimonianza di ossequio.

Ed oh! quante volte nei mesi del Nostro Pontificato, resi lunghi dalla fatale tardanza di ogni componimento delle umane contese, ad esse Ci rifugiammo col cuore, come ad unica salvezza! Imperocché, ove Dio non soccorra, che cosa Noi possiamo? Nulla, per fermo.

Chiamati al governo della Chiesa nei più trepidi momenti della storia, amammo sperare che il buon volere del Padre non sarebbe tornato infruttuoso agli sventurati figliuoli. Ma oh vana speranza! Fermi per già sedici mesi nel perseguire il Nostro caritatevole intento, vedemmo sterile in gran parte l’opera Nostra; e la stessa Nostra voce che, obbediente al « Clama ne cesses », si proponeva di non tacere fino a quando non avesse trovato eco in cuori men duri, vedemmo troppe volte cadere nel vuoto come voce « clamantis in deserto ». E che dire degli ideali di quei beni che Ci arrideva avremmo potuto forse procurare, come frutti e conseguenze di pace, alla religiosa ed alla civile società? Per contro, ogni volere, ogni proposito, ogni ideale si infranse nelle avverse congiunture; ed anche sotto questo aspetto, Ci è mestieri riconoscere che Noi poco o nulla potemmo.

Pur nondimeno la Nostra fiducia non si scuote.

Ottemperanti a quelle divine parole, onde in analogo frangente il Signor Nostro Gesù Cristo segnava ai suoi seguaci una linea di condotta che ora più che mai apparisce provvida guida, abbiamo nel cuore, come l’apostolo delle genti, una grande speranza contro ogni umano sperare: « in spem contra spem », ed in Dio, soltanto in Dio riponiamo ogni Nostra fiducia, invincibilmente sorretti dalla promessa onnipotente racchiusa in quel sereno e rassicurante rimprovero: «Modicae fidei, quare dubitasti? ». Egli, ne siamo certi, glorificherà il Nome suo salvandoci « ex hac hora », anche se per il momento risponda, come il Cielo alle parole di Gesù, con tuoni e con folgori, ed anche se per lungo tempo ancora Egli soggiunga: « nunc iudicium est mundi ».

Questa fiducia che vive nell’animo Nostro in ogni giorno dell’anno, si alimenta e si rafferma in particolare maniera quando una soave ricorrenza ravviva al Nostro pensiero il consolante spettacolo di ciò che accadde nella grotta di Betlemme. E chi non vede come non costituisca per Noi un vuoto ricordo, ma un reale rinnovamento dell’ineffabile Mistero, e perciò una sorgente di infallibile aspettazione, il ritorno di quella data in cui, composto nella pace persino il barbarico mondo pagano, scese fra gli uomini nelle più miti sembianze il Re essenzialmente pacifico? Oh! con quanta ragione possiamo dunque ripetere, anche in mezzo alle preoccupazioni dell’ora presente, le parole del Pontefice San Leone: « neque enim fas est locum esse tristitiae ubi natalis est vitae ».

Compie poi lo spettacolo del nascente Gesù la vista di Maria, nella quale la fede dei credenti e l’amore dei figli non ravvisano soltanto una Madre divina, ma altresì una divina Mediatrice.

Madre del Principe della Pace, mediatrice fra l’uomo ribelle e Iddio commiserante, Ella è l’« Aurora pacis rutilans » fra le tenebre del mondo sconvolto; Ella è Colei che non indugia presso il Figlio l’implorazione della pace, quantunque « nondum venerit hora eius »; Ella è Colei che, sempre intervenuta a scampo della gemente umanità nell’ora del pericolo, più celere precorrerà ora al nostro dimandare, Madre a tanti orfani, Avvocata in così tremenda rovina.

Fu per questi superiori intendimenti, non meno che per meglio orientare il pensiero e la fiducia cristiana al potente ministero insito nella Divina Genitrice, che Noi, facendo eco ai sospiri di molti figli vicini e lontani, consentimmo che nelle litanie lauretane si rivolgesse alla Vergine anche l’invocazione «Regina della pace ».

E Maria che non di guerre e di eccidii, ma di pacifico regno è Regina, vorrà rendere tuttora delusi il voto e le preghiere dei suoi figli fidenti?

E vorrà nella beatissima notte, in cui, compiendo le profetiche promesse di tempi aurei e felici, Ci diè Celeste Bambino l’autore stesso della Pace, vorrà non sorridere alle innocenti voci dei bambini, chiamati dall’Episcopato e da Noi alla Eucaristica Mensa in questa cara solennità?

Quando l’uomo ha indurito il suo cuore e l’odio ha pervaso la terra; quando imperversano il ferro ed il fuoco ed il mondo risuona di armi e di pianti; quando gli umani accorgimenti si sono mostrati fallaci ed esula ogni civile benessere, la fede e la storia Ci additano, come unico scampo, la Onnipotenza supplichevole, la Mediatrice di ogni grazia, Maria… e allora con sicura fiducia diciamo: « Regina pacis, ora pro nobis! ».

A questa fiducia Ci ispiriamo nel ricambiare gli auguri del Sacro Collegio, desiderando a Lei, signor Cardinale, e a tutti i suoi Eminentissimi Colleghi di poter presto, e ampiamente partecipare ai frutti di quella pace che speriamo ottenere mercé la intercessione della Vergine. Oh! quel benedetto Gesù, che alla preghiera della Madre fece il primo miracolo, accolga anche oggi l’intercessione della Celeste Mediatrice, e conforti la cristiana famiglia con quell’abbondanza di grazia di cui vogliamo sia pegno la Benedizione Apostolica, che con paterno affetto impartiamo al Sacro Collegio, ai Vescovi e Prelati qui presenti, nonché a tutti i sacerdoti e laici, i quali oggi hanno voluto attestare che i figli affezionati non si allontanano dal Padre nell’ora dell’affanno e del dolore.

 

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