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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI
NELLA VIGILIA DELLA SOLENNITÀ DEL NATALE

24 dicembre 1917

 

Al Cardinale Vincenzo Vannutelli,
decano del Sacro Collegio Cardinalizio.

A Lei, Signor Cardinale, e a tutti gli Eminentissimi suoi Colleghi, dei quali Ella è ora stato l’interprete non meno eloquente che autorevole, siamo grati del conforto recatoCi dalle parole che hanno accompagnato l’offerta degli augurii del Sacro Collegio per le imminenti solennità natalizie.

Assuefatti ormai, e per divino ordinamento destinati a libare temperate da mestizia le gioie delle più soavi ricorrenze, Noi ci preparavamo, a ripetere i gemiti del padre e gli affanni del pastore nel commemorare, per la quarta volta in giorni di guerra, l’anniversaria ricorrenza del Natale di Nostro Signor Gesù Cristo.

Oh! quante anime vedevamo nell’ambascia dell’oggi, quante nell’oscurità e nella trepidazione del domani! Preposti alla custodia di quel gregge che solo un falso Pastore potrebbe tollerare preda di eccidio, sentivamo, come Paolo, acuto dolore dacché vani erano riusciti gli sforzi da Noi rivolti alla riconciliazione dei popoli. In particolar modo Ci affliggeva, non per la mancata soddisfazione dell’animo, ma per la ritardata tranquillità delle nazioni, l’aver visto cadere a vuoto l’invito da Noi diretto ai Capi dei popoli belligeranti.

Dalle più autorevoli tribune erano state annunziate alcune principali basi di accordo, atte a sviluppare una comune intesa: Noi le avevamo semplicemente raccolte per invitare i Capi degli Stati belligeranti a farle oggetto di studio particolare, nel solo intento di giungere più presto ad appagare quel voto, che giace segreto e compresso in fondo al cuore di tutti. Quando pertanto Ci eravamo visti o non degnati di ascolto o non risparmiati di sospetto e di calunnia, non avevamo potuto non riconoscere in Noi il « signum cui contradicetur ». Ci confortava il pensiero che il Nostro invito alla pace, come quello che non aveva mirato ad effetti immediati, avrebbe forse potuto paragonarsi al granello di frumento, dal quale ci insegna il Divino Maestro (Jo. XII) che « non ispunta la spiga se non dopo che sia disfatto dal calore della terra ». Sopratutto Ci confortava la coscienza del diritto e del dovere che abbiamo, di continuare in mezzo al mondo la missione pacifica e pacificatrice di Gesù Cristo. Nessun ostacolo e nessun pericolo Ci apparivano capaci di infrangere il Nostro proposito di ottemperare al dovere, e di esercitare il diritto di chi rappresenta il Principe della Pace. Ma non neghiamo che al vedere i conati delle già fiorenti nazioni spinti al parossismo della mutua distruzione, e paventando ognora più vicino il suicidio dell’Europa civile, Noi andavamo mestamente chiedendo: quando adunque, e come avrà fine questa truce tragedia?… In buon punto è venuta la parola di Lei, Signor Cardinale, e Noi facciamo plauso all’opportunità del consiglio che, facendole considerare il presente conflitto delle Nazioni al lume della fede, dalla fede ancora Le ha fatto attingere la persuasione che le presenti calamità non avranno fine prima ché gli uomini tornino a Dio.

Ma affinché foriero di giorni migliori sia veramente il conforto che Ci piace dedurre dalle parole colle quali il Sacro Collegio, per bocca del suo Eminentissimo Decano, Ci ha presentato gli auguri Natalizi, Noi non Ci limitiamo a riconoscere l’affermata importanza del ritorno a Dio, ma col più acceso voto del cuore affrettiamo l’ora di questo salutare ritorno della società cotemporanea alla scuola del Vangelo. «Quando i ciechi di oggi avranno visto e i sordi avranno udito; quando ogni deviazione sarà raddrizzata ed ogni asprezza appianata », quando, in una parola, l’uomo e la società saranno tornati a Dio, allora — e solo allora — « vedrà ogni carne la salvezza di Dio», « videbit omnis caro salutare Dei », e al povero ed al dolorante sarà annunziata questa buona novella, la pace. Oh! la grande lezione che la Chiesa ci ripete con le parole della Liturgia propria di questi sacri giorni!

Torni dunque in grembo al Signore chi brama che la ultrice mano di Lui si arresti: faccia senno la infelice umanità: torni, torni al Signore! Come la sfrenatezza dei sensi piombò un giorno città celebri in un mare di fuoco, così ai dì nostri l’empietà delle pubbliche cose, l’ateismo eretto a sistema di pretesa civiltà, ha piombato il mondo in un mare di sangue. Ma sulle tenebre che avvolgono la terra, splende ancora, alto e tranquillo, il lume della fede. Si levi dunque verso il benefico raggio l’ostinata palpebra dell’occhio mortale: Noi, memori del sacro Nostro dovere, ai figli dell’età Nostra gridiamo con la voce degli antichi veggenti: tornate, tornate al Signore!

E per tornare al Signore basterebbe andare a Betlemme con la semplicità dei Pastori, basterebbe ascoltare qual voce si effonda, nunzia del Cielo, sul divino Presepe. Oh! pace di Cristo, cara ad ogni età che ti possedette, quanto più cara dovresti essere alla Nostra, che da tanto tempo ti ha perduto!… Ma la pace annunziata dagli Angeli a Betlemme non vuole odii né vendette, non cupidigie né stragi… è voce di mitezza e di perdono.… è promessa fatta, anzi è premio annunziato « agli uomini di buona volontà ». Oh! non lo dimentichino coloro che nella ricorrenza delle feste Natalizie ravvisano l’invito di tornare al Signore passando per Betlemme!

Ma forse non basta il linguaggio di Betlemme? Ammirando il divino consiglio, e appunto in questi giorni fa risuonare un linguaggio anche più forte all’orecchio di chi deve tornare a Dio, andiamo oltre la città di David sulle sacre orme di Cristo e su quelle di chi tutto sprezza per seguire il Messia; andiamo a Gerusalemme!

Sulle strade della Giudea — è storia contemporanea — hanno avanzato di concerto l’umano consiglio ed il divino disegno; e mentre quello ha soggiogato regioni, questo ha sciolto il secolare voto dei padri, ridonando alla fede cristiana i sacri recinti e le zolle venerate dove fu versato quel Sangue col quale noi fummo redenti. Gerusalemme, Urbe celeste e beata visione di pace, porgi al Dio di cui vedesti il sublime Sacrificio, l’inno della esultanza, della riconoscenza, dell’amore, e parla anche tra le solennità natalizie. Mentre in Betlemme echeggiarono gli angelici concenti di pace agli uomini distinti del buon volere, in Te fu tagliato il simbolico ramo di ulivo, e fu prosteso ai piedi del Principe della Pace, nel grido popolare ed infantile di «Osanna al Figliuolo di David ».

Non è chi non veda che anche gli avvenimenti testé compiuti nella città di Gerusalemme hanno anch’essi un particolare linguaggio, che rende più forte l’invito che Noi volgiamo ai popoli di tornare a Dio perché in Gerusalemme fu benedetto chi si presentava, non nel nome degli armati, ma nel nome del Signore.

Epperò, mentre apparisce giustificato il conforto che Noi abbiamo tratto dalle parole che hanno accompagnato gli augurii del Sacro Collegio, a questo Nostro Augusto Senato, come al più caro dei consessi e come al più eccelso organismo della Pontificale potestà nel Governo della Chiesa, Noi offriamo in cordiale ricambio l’espressione degli augurii più lieti.

E lieti augurii avvalorati dalla Benedizione Apostolica, porgiamo altresì ai Vescovi, Prelati, Sacerdoti e laici che non solo Ci fanno corona, ma, come speriamo, partecipano ora al Nostro voto che il mondo torni presto a Dio, affinché Iddio, vista soddisfatta la sua giustizia, restituisca alla terra il dono ineffabile della pace.

 

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