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ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XV
AI RAPPRESENTANTI DELLE GIUNTE DIOCESANE
D'ITALIA

«L'AGRICOLTORE»

3 marzo 1919

 

Ai rappresentanti delle Giunte Diocesane d’Italia.

L’agricoltore di nulla tanto si rallegra quanto di veder caduto in buon terreno il seme che la sua mano ha sparso nel campo affidato alle sue cure. Ma non si creda che alla letizia dell’agricoltore debba andare innanzi la raccolta dei frutti maturati sulla pianta germogliata da quel seme. Una soave esperienza è venuta oggi a dimostrarci che il seme apparisce caduto in buon terreno, anche prima di dare il suo frutto, quando solo ci è dato di vederlo germogliare in maniera promettente.

Infatti non era ancora spenta l’eco di un invito, che da quest’aula medesima Noi avevamo rivolto ai promotori della azione cattolica per averli cooperatori nella restaurazione sociale a cui prevedevamo di dover metter mano, e già l’egregio Presidente dell’Unione Popolare si era fatto interprete degli aderenti al sodalizio da lui presieduto, mettendo al servigio della Santa Sede « quella unità delle forze cattoliche, che il campo religioso e morale sinceramente raccoglie in una fede e in un apostolato comune, oltre e sopra ad ogni altra particolare azione in ordine a problemi puramente materiali e politici ». Ci piacque la sollecitudine di questa risposta al Nostro invito, perché da essa abbiamo potuto subito arguire la bontà del terreno, tanto pronto a mostrare il germoglio del seme.

Ma il ricordo della parabola del seminatore avrebbe potuto metterci sull’avviso che anche il seme presto germogliato, talora è calpestato dai viandanti, talora inaridisce e talora è soffocato dalle spine. È stato perciò opportuno il Convegno delle Giunte diocesane che si è celebrato in Roma, nei passati giorni. Noi abbiamo ravvisato in esso il sincero proposito di mandare ad effetto la promessa di indirizzare le energie dei cattolici al conseguimento del loro programma religioso e sociale. Le frequenti adunanze dei soci, i molteplici discorsi, i voti emessi e i successivi deliberati dicono infatti abbastanza che non si è voluto lasciare all’aperto il seme della Nostra parola, che lo si è voluto custodire, perché il Divino Maestro aveva detto che il seme caduto lungo la via, quando cioè non fosse munito di ripari, potrebbe essere calpestato dagli uomini, o rapito dagli uccelli dell’aria. Nel Convegno delle Giunte Diocesane Noi abbiamo anche ravvisato il proposito di non lasciare inaridire il seme appena germogliato, perché questo, secondo la parola evangelica, inaridisce quando non ha umore. Invece lo scambio delle idee, le reciproche esortazioni, il mutuo conforto che si è certamente avuto dal Convegno dei passati giorni, devono aver quasi perfuso di soave dolcezza gli animi degli intervenuti, e il seme rappresentato dalla promessa di nuovo lavoro non ha potuto rimanere arido nel cuore di chi prima l’ebbe accolto con lodevole sollecitudine. Finalmente il Convegno delle Giunte Diocesane ha certamente giovato a far conoscere le difficoltà che l’Unione Popolare dovrà vincere per rendere efficace il suo proposito di nuovo lavoro. E premunendosi, come certamente si è premunita, contro tali difficoltà, non ha compiuto un’opera meritevole di essere paragonata a quella di chi libera una tenera pianticella dalle spine che minacciano di soffocarla? Ora il seme che non è lasciato incustodito lungo la via, il seme che non è lasciato inaridire e che non è soffocato dalle spine, deve dirsi caduto in buon terreno. A gran ragione perciò Noi possiamo paragonarci all’agricoltore che si rallegra di veder caduto in buon terreno il seme sparso dalla sua mano; e chi determina questa Nostra letizia, anche prima di raccogliere gli sperati frutti, è il Convegno delle Giunte Diocesane celebrato nei passati giorni. E pertanto esprimiamo la Nostra piena soddisfazione a chi del Convegno ebbe la prima idea, a chi lo adunò, a chi vi concorse, e a chi con la savia parola e col prudente consiglio ne assicurò il buon esito.

L’egregio Presidente dell’Unione Popolare ha indicato alcuni fra i principali beni al cui conseguimento dovranno i cattolici indirizzare le loro energie, specialmente dopo il Convegno dei passati giorni. Noi facciamo plauso a tutti i nobilissimi scopi ai quali mirerà il lavoro dei cattolici; ma non sappiamo celarvi, o dilettissimi, che a Noi sembrano rivestire particolare importanza i problemi relativi alla scuola, e quelli che riguardano l’elevazione delle classi lavoratrici.

Il fanciullo ci rappresenta l’avvenire della società; la società futura, come quella che sarà formata dai fanciulli dell’oggi, avrà solo quel tanto di bontà che sarà rappresentata dall’educazione che avranno avuto i fanciulli dell’oggi. Importa perciò sommamente informare a sentimenti religiosi e a principii di vera onestà il cuore dei fanciulli e dei giovani dell’epoca nostra. Laonde è necessaria la generosità dei ricchi, la pazienza dei maestri, la sollecitudine di tutti nel procurare che alla gioventù non manchi una educazione religiosamente completa, epperò promettitrice di un miglior avvenire per la società.

E le classi lavoratrici, che formano una parte così importante della società, non meritano esse la particolare attenzione di chi mira a promuovere il bene? La meritano per se stesse, e la meritano per le insidie che sono tese ad esse da falsi amici. L’operaio non può ignorare che la Chiesa l’ha sempre guardato con occhio di particolare predilezione. Ai dì nostri, un Pontefice di gloriosa memoria prese in mano la causa degli operai e ne propugnò le giuste rivendicazioni. Ma andrebbe errato chi credesse che con la morte di Leone XIII sia venuta meno la protezione della Chiesa per le classi lavoratrici: l’immediato Nostro Predecessore ne affermò la continuazione in documenti solenni, e Noi cogliamo volentieri l’occasione di questa numerosa assemblea di cattolici per dichiarare che l’Enciclica « Rerum novarum» mantiene oggi tutto il suo pristino vigore, perché anche oggi esprime la materna benevolenza e la provvida sollecitudine della Chiesa per la classe operaia. Ci rivolgiamo dunque ai cultori dell’azione cattolica, che hanno accolto il Nostro invito di essere Nostri cooperatori e con interesse vivissimo li esortiamo a volgere speciale attenzione e cura speciale alle classi lavoratrici. Non è questa l’ora di scendere a maggiori dettagli, né di toccare sia delle unioni professionali, sia dei sindacati cristiani: vi basti, o dilettissimi, il sapere che al Papa stanno a cuore gli organizzatori e gli organizzati.

Non ci siamo d’altronde compiaciuti che il seme della Nostra parola fosse caduto in buon terreno? Abbiamo dunque ragione di aspettarne il frutto centuplo promesso dal Divin Maestro. Di questo frutto centuplo godrà la Chiesa, godrà la civile società, godranno gli individui. Vorremmo dire che non può mancare, perché ne è divina la promessa. Ma la benedizione di Dio lo può certamente affrettare. Epperò Noi la invochiamo copiosa sopra tutti i promotori dell’azione cattolica, che con paterna benevolenza salutiamo un’altra volta Nostri cooperatori; la invochiamo sui membri delle Giunte Diocesane intervenuti al Convegno dei passati giorni; sui sodalizi da essi rappresentati, e su tutti coloro che, in qualsiasi modo, intendono favorire l’azione della benemerita Unione Popolare.

 

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