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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

L’umiltà concreta del cristiano

Venerdì, 14 giugno 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 136, Sab.15/06/2013)

 

Senza l’umiltà, senza la capacità di riconoscere pubblicamente i propri peccati e la propria fragilità umana, non si può raggiungere la salvezza e neanche pretendere di annunciare Cristo o essere suoi testimoni. Questo vale anche per i sacerdoti: i cristiani devono sempre ricordare che la ricchezza della grazia, dono di Dio, è un tesoro da custodire in «vasi di creta» affinché sia chiara la straordinaria potenza di Dio, di cui nessuno si può appropriare «per il proprio personale curriculum».

Ancora una volta Papa Francesco ha invitato a riflettere sul tema dell’umiltà cristiana. Lo ha fatto durante la messa di questa mattina, venerdì 14 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Con lui hanno concelebrato, tra gli altri, i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, accompagnato da officiali e dipendenti del dicastero. Con il cardinale Bertello erano i parenti del compianto arcivescovo Ubaldo Calabresi, per anni nunzio apostolico in Argentina. Al momento della preghiera dei fedeli il Santo Padre ha chiesto di pregare per il presule al quale, durante gli anni trascorsi come arcivescovo di Buenos Aires, era legato da una profonda amicizia.

Le letture del giorno — la seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (4, 7-15) e il vangelo di Matteo (5, 27-32) — sono state al centro della meditazione del Papa che ha collegato l’immagine della «bellezza di Gesù, della forza di Gesù, della salvezza che ci porta Gesù», di cui parla l’apostolo Paolo In un’altra pagina, con quella dei «vasi di creta» nei quali è contenuto il tesoro della fede.

I cristiani sono come i vasi di creta, perché sono deboli, in quanto peccatori. Ciononostante, ha sottolineato il Papa, tra «noi poveracci, vasi di creta» e «la potenza di Gesù Cristo salvatore» si instaura un dialogo: il «dialogo della salvezza». Ma, ha avvertito, quando questo dialogo assume il tono di un’autogiustificazione vuol dire che qualcosa non funziona e non c’è salvezza. Paolo ci insegna, ha proseguito Papa Francesco, la strada da seguire: infatti «tante volte ha parlato, quasi come un ritornello, dei suoi peccati “io vi dico questo: sono stato un persecutore della Chiesa.... ho perseguitato...”. In lui torna sempre la memoria del peccato. Si sente peccatore». «In quel momento non dice “sono stato peccatore, ma adesso sono santo”».

Ma negli uomini capita qualcosa di diverso. Il Papa lo ha spiegato indicando il comportamento dell’apostolo: «Ogni volta Paolo ci parla del suo curriculum di servizio — “ho fatto questo, ho fatto quell’altro, ho predicato” — ci parla anche del suo prontuario» cioè di tutto quello che riguarda le sue debolezze, i suoi peccati. Noi invece, ha aggiunto, «abbiamo sempre la tentazione del curriculum, e di nascondere un po’ il prontuario perché non si veda tanto» quello che non va.

L’umiltà del cristiano è quella che segue la strada indicata dall’apostolo. Questo modello di umiltà vale anche «per noi preti, per noi sacerdoti. Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più — ha detto il vescovo di Roma — finiremo per sbagliare. Non possiamo annunziare Gesù Cristo salvatore perché nel fondo non lo sentiamo». «Dobbiamo essere umili — ha esortato il Pontefice — ma con una umiltà reale, con nome e cognome: “io sono peccatore per questo, per questo e per questo”. Come fa Paolo». Bisogna riconoscersi peccatori, concretamente, e non presentarsi con un’immagine falsa, «una faccia da immaginetta». E per rendere più concreta l’idea Papa Francesco ha fatto ricorso ad un’espressione piemontese «farsi la munia quacia, ingenua. Quell’ingenuità che non è vera, è soltanto apparenza».

Invece, ha precisato il Papa, l’umiltà dei sacerdoti, l’umiltà del cristiano, deve «essere concreta: “sono un vaso di creta per questo, per questo e per questo”. E quando un cristiano non riesce a fare a se stesso, davanti alla Chiesa, questa confessione, qualcosa non va». Innanzitutto, ha aggiunto, «non può capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù Cristo: questo tesoro».

«Fratelli — ha detto — noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo salvatore, la croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo», ma non dimentichiamo «di confessare anche i peccati» perchè solo così «il dialogo è cristiano e cattolico, concreto. Perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta». «Gesù Cristo non ci ha salvato con un’idea, con un programma intellettuale. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato si è fatto uomo, si è fatto carne fino alla fine.». Un tesoro simile lo si può capire e ricevere solo se ci si trasforma in vasi di creta.

Concludendo il Papa ha proposto l’immagine della samaritana. Quella donna che ha parlato con Gesù se ne va in fretta quando arrivano i discepoli: «E cosa dice a quelli della città? “Ho trovato un uomo che mi ha detto tutto quello che io ho fatto”», che le aveva fatto capire il senso del suo essere vaso di creta. Quella donna aveva trovato Gesù Cristo salvatore e quando si trattò di annunciarlo lo fece prima parlando del proprio peccato. Spiegò infatti di aver chiesto a Gesù: «Voi sapete chi sono io? e lui mi ha detto tutto».

«Io credo — ha concluso il Pontefice — che questa donna sarà in cielo». E per dar conto della sua certezza ha citato Manzoni: «”mai ho trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”. E questo miracolo che lui ha cominciato sicuramente lo ha finito bene nel cielo».

 



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