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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Come una mamma che difende i suoi figli

Martedì, 17 settembre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 213, Merc. 18/09/2013)

 

Come una mamma che ci ama, ci difende, ci dà la forza per andare avanti nella lotta contro il male. È questa l’immagine della Chiesa tratteggiata da Papa Francesco oggi, martedì 17 settembre, durante la messa celebrata di prima mattina a Santa Marta.

Commentando il brano del vangelo di Luca che narra la risurrezione del figlio della vedova di Nain (7, 11-17), il Pontefice ha descritto Gesù che, vedendo la donna davanti al cadavere del suo unico figlio morto, «fu preso da grande compassione». E ha definito il sentimento di Cristo come «la capacità di patire con noi, di essere vicino alle nostre sofferenze e farle sue». Del resto egli sapeva bene «cosa significasse una donna vedova in quel tempo», quando le madri rimaste sole a crescere i propri figli dovevano affidarsi all’aiuto e alla carità di altri. Per questo i precetti di allora vi insistono tanto: «Aiutare gli orfani e le vedove, perché in quel tempo erano i più soli, i più abbandonati».

Il pensiero del vescovo di Roma è poi andato ad altre figure di vedove di cui si parla nella Bibbia. Verso di loro il Signore mostra una particolare «cura, uno speciale amore», al punto che esse finiscono con il costituire «un’icona della Chiesa, perché — ha spiegato — anche la Chiesa è in un certo senso vedova: il suo sposo se n’è andato e lei cammina nella storia sperando di ritrovarlo, di incontrarsi con lui. Allora lei sarà la sposa definitiva». Ma, ha avvertito, «in questo frattempo la Chiesa è sola», e il Signore non è per lei visibile: dunque, «ha una certa dimensione di vedovanza».

La prima conseguenza di questa vedovanza è che la Chiesa diventa «coraggiosa», a somiglianza di una madre «che difende i figli», proprio come la vedova del Vangelo «che andava dal giudice corrotto per difendere i figli e alla fine ha vinto». Perché, ha sottolineato il Papa, «la nostra madre Chiesa ha quel coraggio di una donna che sa che i figli sono suoi e deve difenderli e portarli all’incontro con il suo sposo».

Dal coraggio deriva poi un secondo elemento, la forza, come testimoniano altre vedove descritte nelle Scritture: tra queste Noemi, bisnonna di Davide, «che non aveva paura di rimanere sola», o la vedova maccabea con sette figli, «che per non rinnegare Dio, per non rinnegare la legge di Dio sono stati martirizzati dal tiranno». Di questa donna un particolare ha colpito Papa Francesco: il fatto che la Bibbia sottolinei «che parlava in dialetto, nella prima lingua», proprio come fa «la nostra Chiesa madre», che ci parla «in quella lingua della vera ortodossia che tutti noi capiamo, quella lingua del catechismo, quella lingua forte, che ci fa forti e ci dà anche la fortezza per andare avanti nella lotta contro il male».

Riassumendo le proprie riflessioni il Pontefice ha dunque ribadito «la dimensione di vedovanza della Chiesa, che cammina nella storia sperando di incontrare, trovare il suo sposo». Del resto, ha evidenziato, «la nostra madre Chiesa è così: è una Chiesa che quando è fedele sa piangere, piange per i suoi figli e prega». Anzi, «quando la Chiesa non piange, qualcosa non va bene»; mentre la Chiesa funziona quando «va avanti e fa crescere i suoi figli, dà loro fortezza, li accompagna fino all’ultimo congedo, per lasciarli nelle mani del suo sposo, che alla fine anche ella incontrerà».

E poiché il Papa vede la «nostra madre Chiesa in questa vedova che piange», bisogna chiedersi cosa dice il Signore a questa madre per consolarla. La risposta è nelle stesse parole di Gesù riportate da Luca: «Non piangere!». Parole che sembrano dire: non piangere perché «io sono con te, ti accompagno, ti aspetto là, nelle nozze, le ultime nozze, quelle dell’agnello»; smetti di piangere, «questo tuo figlio che era morto adesso vive». E a quest’ultimo, terza figura presente nella scena evangelica, il Signore si rivolge intimandogli: «Ragazzo, dico a te: alzati!». Per il Pontefice sono le stesse parole che il Signore rivolge agli uomini nel sacramento della riconciliazione, «quando noi quando siamo morti per il peccato e andiamo a chiedergli perdono».

Il racconto di Luca si conclude con la descrizione del giovinetto morto che si leva a sedere e comincia a parlare, e di Gesù che lo restituisce a sua madre. Proprio come fa con noi — ha fatto notare il Papa — «quando ci perdona, quando ci ridà la vita», perché «la nostra riconciliazione non finisce nel dialogo», con il prete che ci dà il perdono, ma si completa «quando lui ci restituisce alla nostra madre». Infatti, ha concluso, «non c’è cammino di vita, non c’è perdono, non c’è riconciliazione fuori della madre Chiesa», tanto che occorre sempre «chiedere al Signore la grazia di essere fiduciosi in questa mamma che ci difende, ci insegna, ci fa crescere».

 



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