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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La speranza, questa sconosciuta

Martedì, 29 ottobre 2013

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 249, Merc. 30/10/2013)

 

La speranza è la più umile delle tre virtù teologali, perché nella vita si nasconde. Tuttavia essa ci trasforma in profondità, così come «una donna incinta è donna» ma è come se si trasformasse perché diventa mamma. Della speranza Papa Francesco ha parlato questa mattina, martedì 29 ottobre, durante la messa celebrata a Santa Marta riflettendo sull’atteggiamento dei cristiani in attesa della rivelazione del Figlio di Dio.

A questo atteggiamento è legata la speranza, una virtù, ha detto all’inizio dell’omelia, che si è rivelata più forte delle sofferenze, così come scrive san Paolo nella lettera ai romani (8, 18-25). «Paolo — ha notato il Pontefice — si riferisce alle sofferenze del tempo presente, e dice che non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi». L’apostolo parla di «ardente aspettativa», una tensione verso la rivelazione che riguarda tutto il creato. «Questa tensione è la speranza — ha detto ancora — e vivere nella speranza è vivere in questa tensione», nell’attesa della rivelazione del Figlio di Dio, quando cioè tutta la creazione, «e anche ognuno di noi», sarà liberata dalla schiavitù «per entrare nella gloria dei figli di Dio».

«Paolo — ha poi proseguito — ci parla della speranza. Anche nel capitolo precedente della lettera ai romani aveva parlato della speranza. Ci aveva detto che la speranza non delude, è sicura». Tuttavia essa non è facile da capire; e sperare non vuol dire essere ottimisti. Dunque «la speranza non è ottimismo, non è quella capacità di guardare alle cose con buon animo e andare avanti», e non è neppure semplicemente un atteggiamento positivo, come quello di certe «persone luminose, positive». Questa, ha detto il Santo Padre «è una cosa buona, ma non è la speranza».

Si dice, ha spiegato il Santo Padre, che sia «la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita. La fede si vede, si sente, si sa cosa è; la carità si fa, si sa cosa è. Ma cos’è la speranza?». La risposta del Pontefice è stata chiara: «Per avvicinarci un po’ possiamo dire per prima cosa che è un rischio. La speranza è una virtù rischiosa, una virtù, come dice san Paolo, di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio. Non è un’illusione. È quella che avevano gli israeliti» i quali, quando furono liberati dalla schiavitù, dissero: «ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso e la nostra lingua di gioia».

Ecco, ha spiegato, questo è quanto avverrà quando ci sarà la rivelazione del Figlio di Dio. «Avere speranza significa proprio questo: essere in tensione verso questa rivelazione, verso questa gioia che riempirà la nostra bocca di sorriso». E ha esclamato: «È bella questa immagine!». Poi ha raccontato che «i primi cristiani la dipingevano come un’ancora. La speranza era un’ancora»; un’ancora fissata nella riva dell’aldilà. La nostra vita è come camminare sulla corda verso quell’ancora. «Ma dove siamo ancorati noi?» si è domandato il vescovo di Roma. «Siamo ancorati proprio là, sulla riva di quell’oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri clericalismi, i nostri atteggiamenti ecclesiastici — non ecclesiali, eh? —. Siamo ancorati là dove tutto è comodo e sicuro? Questa non è la speranza».

Paolo, ha aggiunto Papa Francesco, «cerca poi un’altra icona della speranza, quella del parto. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione, e anche noi con la creazione, “geme e soffre le doglie del parto fino a oggi”. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello spirito, gemiamo — pensate alla donna che partorisce — gemiamo interiormente aspettando. Siamo in attesa. Questo è un parto». La speranza, ha aggiunto, si pone in questa dinamica del dare la vita. Non è una cosa visibile anche per chi vive «nella primizia dello Spirito». Ma sappiamo che «lo Spirito lavora. Il Vangelo — ha precisato il Papa riferendosi al brano di Luca (13, 18-21) — dice qualcosa su questo. Lo Spirito lavora in noi. Lavora come se fosse un granello di senape, piccolino ma dentro è pieno di vita e di forza e va avanti sino all’albero. Lo Spirito lavora come il lievito che è capace di lievitare tutta la farina. Così lavora lo Spirito».

La speranza «è una grazia da chiedere»; infatti «una cosa è vivere nella speranza, perché nella speranza siamo salvati, e un’altra cosa è vivere come buoni cristiani e non di più; vivere in attesa della rivelazione, o vivere bene con i comandamenti»; essere ancorati sulla riva del mondo futuro «o parcheggiati nella laguna artificiale».

Per spiegare meglio il concetto il Pontefice ha indicato come è cambiato l’atteggiamento di Maria, «una ragazza giovane», quando ha saputo di essere mamma: «Va’ e aiuta e canta quel cantico di lode». Perché, ha spiegato Papa Francesco, «quando una donna è incinta, è donna» ma è come se si trasformasse nel profondo perché ora «è mamma». E la speranza è qualcosa di simile: «cambia il nostro atteggiamento». Per questo, ha aggiunto, «chiediamo la grazia di essere uomini e donne di speranza».

Alla conclusione, rivolgendosi a un gruppo di sacerdoti messicani che celebravano il venticinquesimo anniversario del loro sacerdozio, il Papa, indicando l’immagine mariana che gli avevano portato in dono, ha detto: «Guardate alla vostra Madre, figura della speranza dell’America. Guardate, è dipinta incinta. È la Madonna d’America, è la Madonna della speranza. Chiedete a lei la grazia affinché gli anni a venire siano per voi anni di speranza», la grazia «di vivere come preti di speranza» che donano speranza.

 



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