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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Come l'incenso che brucia

Giovedì, 16 ottobre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.237, Ven. 17/10/2014)

 

Consapevole di essere stato scelto personalmente prima ancora della creazione del mondo, ogni uomo deve riscoprire l’importanza della preghiera di lode a Dio. Gratuita e gioiosa. Nell’omelia della messa celebrata questa mattina, giovedì 16 ottobre, nella cappella di Santa Marta, Papa Francesco ha scelto di soffermarsi sulla prima lettura della liturgia, che riporta il celebre inno di benedizione paolino, incipit della Lettera agli Efesini (1, 1-10). Un’autentica esplosione di lode: «sembra che Paolo — ha commentato — entri in una gioia, in una grande gioia».

È un canto che «non può fermarsi» e nel quale l’apostolo usa per tre volte la parola “benedetto”: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci hai benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo». Ma, ha fatto notare il Pontefice, «noi sappiamo tutti che Dio è il Benedetto»: nell’antico Testamento, infatti, «era uno dei nomi che il popolo di Israele gli dava: il Benedetto». Ed è strano pensare di «benedire Dio» perché «lui è il Benedetto».

In realtà, si tratta di un gesto importante, perché «quando io benedico Dio, dico bene di lui e faccio come l’incenso che si brucia». È, quella di lode, una preghiera che «noi non facciamo tanto abitualmente»; eppure, ha sottolineato Francesco, è stato Gesù stesso a insegnarci «nel Padre Nostro a pregare così: Padre nostro che sei cieli, sia santificato il tuo nome...». E non deve sembrare strano rivolgerci con queste parole proprio a colui che «è il santo». Si tratta, ha spiegato il vescovo di Roma, di esprimere la «gioia della preghiera di lode», che è «gratuità pura». Noi, infatti, solitamente «sappiamo pregare benissimo quando chiediamo cose» e anche «quando ringraziamo il Signore»; meno abituale è per tutti noi «lodare il Signore».

La spinta verso questo tipo di preghiera, ha consigliato il Papa, può giungerci più pressante se «facciamo memoria delle cose che il Signore ha fatto nella nostra vita», così come san Paolo, che nel suo inno ricorda: «In lui — in Cristo — ci ha scelti prima della creazione del mondo». Ecco la sorgente della nostra preghiera: «Benedetto sei Signore, perché tu mi hai scelto!». L’uomo deve cioè sentire la «gioia di una vicinanza paternale e tenera».

La stessa cosa è accaduta al popolo di Israele quando è stato liberato da Babilonia, ha ricordato il Pontefice citando alcuni versi del salmo 126 — «Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Non potevamo crederlo! Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia» — e osservando: «Pensiamo a una bocca piena di sorriso: questa è la preghiera di lode», è l’espressione immediata di una gioia immensa, dell’«essere felici davanti al Signore». È una disposizione del cuore da non dimenticare: «Facciamo uno sforzo per ritrovarla» ha esortato, invitando a usare le stesse parole del salmo 97: «Cantate inni al Signore con la cetra; con la cetra e al suono di strumenti a corde; con le trombe e al suono del corno; acclamate davanti al re il Signore».

È molto importante fare memoria, ricordare quanto ha fatto il Signore per ciascuno di noi, «con quanta tenerezza mi ha accompagnato, come si è abbassato, si è inchinato», allo stesso modo del papà che «si inchina col bambino per farlo camminare». E, ha sottolineato il Papa, lo ha fatto «con ognuno di noi».

«Tutto è festa, tutto è gioia» se ognuno — come attesta lo stesso san Paolo rivolgendosi agli Efesini — può dire: «il Signore mi ha scelto prima della creazione del mondo». È questo «il punto di partenza». Anche se, ha puntualizzato Francesco, «non si può capire» e «non si può immaginare: che il Signore mi abbia conosciuto prima della creazione del mondo, che il mio nome era nel cuore del Signore». Ma «questa è la verità, questa è la rivelazione». E, ha aggiunto il Pontefice, «se noi non crediamo questo, non siamo cristiani». Forse, ha spiegato, «saremo impregnati di una religiosità teista, ma non cristiani», perché caratteristica del cristiano è proprio di essere «uno scelto».

Il pensiero di abitare da sempre nel cuore di Dio ci «riempie di gioia» e «ci dà sicurezza». La sicurezza confermata dalle parole del Signore al profeta Isaia, che si domandava se questa predilezione potesse mai venire meno: «Può una mamma dimenticarsi del suo bambino? E se anche una mamma lo facesse, io non posso dimenticarmi di te!». Dio tiene ognuno di noi nelle sue «viscere», così «come il bambino è dentro la sua mamma».

Questa verità, ha fatto notare Francesco, è talmente grande e bella che può venire la tentazione di non pensarci, di evitarla per quanto ci sovrasta. In effetti, «non si può capire solo con la testa» e «neppure solo col cuore». Per farla nostra e viverla, ha spiegato, «dobbiamo entrare nel mistero di Gesù Cristo», lui che «ha riversato il suo sangue in abbondanza su di noi, con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà».

Da ciò deriva il terzo atteggiamento fondamentale del cristiano, dopo quelli della preghiera di lode e del saper fare memoria. Il cristiano è chiamato «a entrare nel mistero». Soprattutto quando «celebriamo l’Eucaristia», perché non si può capire totalmente «che il Signore è vivo, è con noi, qui, nella sua gloria, nella sua pienezza e dona un’altra volta la sua vita per noi».

È, ha concluso il Pontefice, un atteggiamento che dobbiamo «imparare ogni giorno», in uno sforzo quotidiano, perché «il mistero non si può controllare: è il mistero! Bisogna entrarci».   

 



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