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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Quelli che andranno prima

Martedì, 16 dicembre 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.287, Mer. 17/12/2014)

 

Un «cuore pentito» che sa riconoscere i propri peccati è la condizione fondamentale per incamminarsi sulla «strada della salvezza». Allora il «giudizio» del Signore non farà paura, ma darà «speranza». E le due letture del giorno, sulle quali si è soffermata la riflessione di Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta martedì 16 dicembre, hanno proprio la «struttura di un giudizio».

La prima, tratta dal Libro del profeta Sofonia (3, 1-2. 9-13) addirittura comincia «con una parola di minaccia: “Guai alla città ribelle e impura». Ecco già il giudizio: «alla città che opprime», la città che «non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio». Per costoro c’è la «condanna» che si esprime nel termine «guai». Per gli altri, invece, c’è una promessa: «Io darò ai popoli un labbro puro», scrive il profeta. E prosegue: «Da oltre i fiumi di Etiopia coloro che mi pregano mi porteranno offerte. In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me».

Di chi parla Sofonia? Di chi — ha spiegato il Papa — si avvicina «al Signore perché il Signore ha perdonato». Sono questi «i salvati»; gli altri invece sono «i superbi, che non avevano ascoltato la voce del Signore, che non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore».

Ai pentiti, che sono stati capace di riconoscere: «Sì, siamo peccatori» — ha sottolineato Francesco — il Signore ha riservato il perdono e ha rivolto «questa parola, che è una di quelle piene di speranza dell’Antico testamento: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, confiderà nel nome del Signore”».

Qui si individuano «le tre caratteristiche del popolo fedele di Dio: umiltà, povertà e fiducia nel Signore». Ed è proprio questa «la strada della salvezza». Gli altri, invece, «non hanno ascoltato la voce del Signore, non hanno accettato la correzione, non hanno confidato nel Signore», perciò «non possono ricevere la salvezza»: si sono «chiusi, loro, alla salvezza».

Lo stesso, ha precisato il Pontefice, accade oggi: «Quando vediamo il santo popolo di Dio che è umile, che ha le sue ricchezze nella fede nel Signore, nella fiducia nel Signore; il popolo umile, povero che confida nel Signore», allora incontriamo «i salvati», perché «questa è la strada» che deve percorrere la Chiesa.

Simile dinamica si incontra nel Vangelo del giorno (Matteo, 21, 28-32) nel quale anche Gesù propone «ai capi dei sacerdoti, agli anziani, del popolo», a tutta quella «“cordata” di gente che gli faceva la guerra», un «giudizio» su cui riflettere. A loro presenta il caso dei due figli ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella vigna. Uno risponde: «Non vado per niente al campo. Non ne ho voglia». Ma poi va. L’altro invece dice: «Sì, papà», ma poi riflette: «Il vecchio non ha forza, io faccio quello che voglio, non potrà punirmi». E quindi «non va, non obbedisce».

Gesù chiede ai suoi interlocutori: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Il primo, quello che aveva detto di no», quel «giovane ribelle» che poi «ha pensato al suo papà» e decide di obbedire, oppure il secondo? A questo punto arriva il giudizio: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». Loro «saranno i primi». E spiega perché: «Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia e non gli avete creduto. Voi non avete ascoltato Giovanni: il battesimo di penitenza... I pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi al contrario avete visto queste cose ma poi non vi siete nemmeno pentiti».

Cosa «ha fatto questa gente» per meritare tale giudizio? «Non ha ascoltato — ha spiegato il Papa — la voce del Signore, non ha accettato la correzione, non ha confidato nel Signore». Qualcuno potrebbe chiedere: «Ma padre, che scandalo che Gesù dica questo, che i pubblicani, che sono traditori della patria perché ricevevano le tasse per pagare i Romani», proprio loro «andranno prima nel regno dei cieli?». E lo stesso avverrà per «le prostitute che sono donne di scarto»? Da qui la conclusione: «Signore tu sei impazzito? Noi siamo puri, siamo cattolici, facciamo la comunione quotidiana, andiamo alla messa». Eppure, ha sottolineato Francesco, proprio loro «andranno prima se il tuo cuore non è un cuore pentito». E «se tu non ascolti il Signore, non accetti la correzione e non confidi in lui, tu hai un cuore non pentito».

Il Signore, ha continuato il Pontefice, «non vuole» questi «ipocriti che si scandalizzavano» di quello che «diceva Gesù sui pubblicani e sulle prostitute, ma poi di nascosto andavano da loro, o per sfogare le loro passioni o per fare affari». Si consideravano «puri», ma in realtà «il Signore non li vuole».

Questo giudizio su cui «la liturgia oggi ci fa pensare» è comunque «un giudizio che ci dà speranza quando guardiamo i nostri peccati». Tutti infatti «siamo peccatori». Ognuno di noi conosce bene la «lista» dei propri peccati, però — ha spiegato Francesco — può dire: «Signore ti offro i miei peccati, l’unica cosa che possiamo offrirti».

Per far comprendere meglio questo, il Pontefice ha richiamato la «vita di un santo che era molto generoso» e offriva tutto al Signore: «Il Signore gli chiedeva una cosa e lui la faceva». Lo ascoltava sempre e seguiva sempre la sua volontà. Eppure il Signore una volta gli disse: «Tu non mi hai dato ancora una cosa». E lui, «che era tanto buono», rispose: «Ma Signore cosa non ti ho dato? Ti ho dato la mia vita, lavoro per i poveri, lavoro per la catechesi, lavoro qui, lavoro là...». Di contro il Signore lo incalzò: «Tu non mi hai dato ancora qualcosa». Ma «che cosa Signore?», ripetè il santo. «I tuoi peccati» concluse il Signore.

Ecco la lezione che ha voluto sottolineare il Papa: «Quando noi saremo in grado di dire al Signore: “Signore, questi sono i miei peccati, non sono di questo, di quello... Sono i miei. Prendili tu. Così io sarò salvo”», allora «saremo quel bel popolo, popolo umile e povero che confida nel nome del Signore».

 



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