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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Tre tracce

Martedì, 15 dicembre 2015

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.287, 16/12/2015)

Quali sono le caratteristiche del popolo di Dio? Come deve essere la Chiesa? È questo il tema della meditazione che Papa Francesco, partendo dalla liturgia del giorno, ha sviluppato durante la messa celebrata martedì 15 dicembre a Santa Marta.

Di fronte al brano del Vangelo di Matteo (21, 28-32) nel quale Gesù, rivolgendosi ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, afferma: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio», il Pontefice ha fatto notare «l’energia» con la quale egli rimprovera a coloro che erano considerati maestri il «modo di pensare, di giudicare, di vivere».

Anche il profeta Sofonia, nella prima lettura (3,1-2.9-13), «prende la voce di Dio e dice: “Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime. Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio”». È, praticamente, «lo stesso rimprovero» rivolto «al popolo eletto, ai chierici di quei tempi». E, ha sottolineato il Papa, «dire a un sacerdote, a un capo dei sacerdoti, che una prostituta sarà più santa di lui nel regno dei Cieli» è un’accusa decisamente «forte».

Del resto, Gesù «aveva questo coraggio di dire la verità». Ma allora, ha aggiunto Francesco, di fronte a certi rimproveri, viene da chiedersi: «Come deve essere la Chiesa?». Le persone di cui si legge nel Vangelo, infatti, erano «uomini di Chiesa», erano «capi della Chiesa». Era venuto Gesù, era venuto Giovanni Battista, ma loro «non avevano ascoltato». E nel brano del profeta si ricorda che nonostante Dio abbia scelto il suo popolo, «questo popolo diviene una città ribelle, una città impura, non accetta come deve essere la Chiesa, come deve essere il popolo di Dio».

Ecco però che, di fronte a tutto questo, il profeta Sofonia, comunica al popolo una promessa del Signore: «Io ti perdonerò». Cioè, ha spiegato il Papa, «il primo passo perché il popolo di Dio, la Chiesa, noi tutti, siamo fedeli è sentirci perdonati.

E dopo la promessa del perdono, c’è anche la spiegazione di «come deve essere la Chiesa: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero e confiderà nel nome del Signore”». Il popolo di Dio fedele, ha ribadito Francesco, deve quindi «avere queste tre tracce: umile, povero, con fiducia nel Signore».

Il Pontefice, a questo punto, si è soffermato ad analizzare ognuna di queste tre caratteristiche fondamentali.

Innanzitutto la Chiesa deve essere «umile». Ovvero una Chiesa «che non si pavoneggi dei poteri, delle grandezze». Ma attenzione, ha avvisato il Papa: «umiltà non significa una persona languida, fiacca», con l’espressione dimessa, perché questa «non è umiltà, questo è teatro! Questo è fare finta di umiltà». La vera umiltà, invece, parte «da un primo passo: io sono peccatore». Se, ha spiegato Francesco, «tu non sei capace di dire a te stesso che sei peccatore e che gli altri sono migliori di te, non sei umile». Dunque, «il primo passo nella Chiesa umile è sentirsi peccatrice» e lo stesso è per «tutti noi». Se invece «qualcuno di noi ha l’abitudine di guardare i difetti degli altri e chiacchierare», non è certo umile, ma «si crede giudice degli altri». Dice il profeta: «Lascerò in mezzo a te un popolo umile». E noi, ha raccomandato il Pontefice, «dobbiamo chiedere questa grazia, che la Chiesa sia umile, che io sia umile, ognuno di noi, umile».

La meditazione è quindi passata alla seconda traccia: il popolo di Dio «è povero». A tale riguardo Francesco ha ricordato come la povertà sia «la prima delle beatitudini». Ma cosa vuol dire «povero nello spirito?». Significa «soltanto attaccato alle ricchezze di Dio». Non lo è certo «una Chiesa che vive attaccata ai soldi, che pensa ai soldi, che pensa a come guadagnare i soldi...». Ad esempio, ha spiegato il Papa, c’è stato chi «ingenuamente» diceva alla gente che per passare la porta santa «si doveva fare un’offerta»: questa, ha affermato chiaramente il Pontefice, «non è la Chiesa di Gesù, questa è la Chiesa di questi capi dei sacerdoti, attaccata ai soldi».

Per far meglio comprendere il suo pensiero, Francesco ha richiamato anche la vicenda del diacono Lorenzo — che era «l’economo della diocesi» — il quale,quando l’imperatore gli chiese «di portare le ricchezze della diocesi» per pagare qualcosa ed evitare di essere ucciso, tornò «con i poveri». Sono cioè proprio i poveri «le ricchezze della Chiesa». E si può anche essere «il padrone di una banca», ma solo se «il tuo cuore è povero, non è attaccato ai soldi» e ci si mette «al servizio» degli altri. «La povertà», ha aggiunto il Papa, è caratterizzata proprio da «questo distacco» che ci porta a «servire i bisognosi». E il ragionamento si è concluso con una domanda rivolta a ognuno: «Io sono o non sono povero?».

Infine la terza traccia: il popolo di Dio «confiderà nel nome del Signore». Anche qui una domanda molto diretta: «Dov’è la mia fiducia? Nel potere, negli amici, nei soldi? Nel Signore!».

È quindi questa «l’eredità che ci promette il Signore: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, confiderà nel nome del Signore”. Umile perché si sente peccatore; povero perché il suo cuore è attaccato alle ricchezze di Dio e se ne ha è per amministrarle; fiducioso nel Signore perché sa che soltanto il Signore può garantire una cosa che gli faccia bene». Perciò Gesù ha dovuto dire ai capi sacerdoti, i quali «non capivano queste cose», che «una prostituta entrerà prima di loro nel regno dei Cieli». E, ha concluso il Pontefice, «in questa attesa del Signore, del Natale» chiediamo che egli ci dia «un cuore umile», un cuore «povero» e soprattutto «fiducioso nel Signore», perché «il Signore non delude mai».

 



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