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VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
A PANAMA IN OCCASIONE DELLA
XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
(23-28 GENNAIO 2019)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DA PANAMA

Volo Papale
Domenica, 27 gennaio 2019

[Multimedia]


 

Gisotti:

Buonasera!

Santo Padre, abbiamo ancora nelle orecchie il grido “la juventud del Papa”, “la juventud de Jesucristo”, come ha detto anche Mons. Ulloa [Arcivescovo di Panama]. Questa gioia grande, intensa di queste giornate che hanno dato tanta energia. E credo che tutti abbiamo visto nel Suo volto la gioia di questo incontro, così come nei volti dei giovani. Io qua ho portato qualcosa che molti dei giornalisti, penso quasi tutti, conoscono: questo non sarà un documento che entra nel magistero del Papa, però è un documento al quale so che Lei tiene tanto. Questa è una canzone che ha scritto una ragazza dell’Honduras, Martha Avila, di cui ieri vi ho fatto avere l’immagine. Questa canzone è praticamente una canzone contro il bullismo, ed è stata un po’ il segno in un incontro con Scholas Occurrentes. Questo per dire come sia stato presente anche l’elemento del dolore di questi giovani, così come anche quello della gioia che abbiamo visto in tante occasioni. Vi voglio dire solo un’immagine che mi ha colpito tanto: Santo Padre, quando Lei passava con la papamobile vedevo tanti giovani che poi, dopo averLa salutata, magari per un solo istante, si abbracciavano. Questo mi ha toccato: la condivisione della gioia, cioè, i giovani che si abbracciavano dopo averLa vista anche solo un istante. Questo è forse qualcosa che è una lezione per noi adulti. I giovani, quando sono felici, la condividono, la gioia, non la tengono per sé: questo è qualcosa che volevo condividere con Lei e con i giornalisti.

Santo Padre, Lei ha avuto anche – tra le tante sorprese che ci ha fatto in questi giorni – un incontro con l’Unicef, proprio negli ultimi momenti prima del congedo, in Nunziatura.

Non so se prima di dare la parola ai giornalisti con le domande vuole rivolgere anche qualche parola di saluto…

Papa Francesco:

Buonasera, e poi buon riposo, perché è sicuro che tutti sono stanchi, dopo questo viaggio così forte. Grazie per il vostro lavoro! Anche per me ci sono state cose che non immaginavo, sorprese, come questa che Gisotti ha detto, della ragazza sedicenne dell’Honduras, vittima di bullying, che ha cantato con una voce bellissima e ha scritto lei questa canzone. E anche l’incontro, prima di uscire dalla Nunziatura, con gente persone dell’Unicef del Centroamerica, con alcune testimonianze di due ragazzi e poi di quelli che lavorano: ho sentito delle cose che toccano il cuore. E’ stato un viaggio forte. La parola a voi.

Gisotti:

Un viaggio che ha tanti viaggi dentro; quindi, vi prego di stare al tema di questo grande viaggio che ha rappresentato il mondo attraverso i giovani che erano presenti. Ovviamente, la prima parola va alla stampa locale, a Panama: Edwin Cabrera Uribe di Radiopanamá. Le rivolgerà due domande a nome di tutto il gruppo dei giornalisti panamensi. Grazie, Edwin.

Edwin Cabrera Uribe (in spagnolo)

Santo Padre, primero es lo primero: muchísimas gracias, en nombre de mis seis compañeros y el mío como panameños. Lo que Usted nos ha regalado es muy grande, muy grande. La pregunta: Santo Padre, Usted les habló hoy a los voluntarios sobre que han vivido una misión, una misión. Usted les dijo: “Ustedes ahora saben cómo palpita el corazón cuando se vive una misión”. La pregunta es: ¿Y la misión del Papa Francisco en Panamá? ¿Qué le impactó? ¿Qué le movió? ¿Cumplió el Papa Francisco la misión en la JMJ Centroamericana, porque fue en Panamá, pero desde Polonia se dijo que era Centroamericana. Y en el camino, Santo Padre, tenemos una misión pendiente con Nicaragua, ¿verdad?

(traduz. italiana)

Santo Padre, prima di tutto molte grazie, a nome dei mei sei colleghi e mio, in quanto panamensi. Quello che Lei ci ha regalato è grande, molto grande. La domanda: Santo Padre, oggi Lei ha parlato ai volontari dicendo loro che hanno vissuto una missione, una missione. Ha detto loro: “Adesso sapete come batte il cuore quando si vive una missione”. La domanda è: e la missione di Papa Francesco a Panama? Che cosa L’ha colpita? Cosa L’ha commossa? Papa Francesco ha compiuto la sua missione alla GMG centroamericana? Perché si è svolta a Panama, ma fin dalla Polonia si è detto che era centroamericana. E sulla strada abbiamo una missione in sospeso con il Nicaragua, non è vero?

Papa Francesco (spagnolo)

Mi misión en una Jornada de la Juventud es la misión de Pedro, confirmar en la fe, y eso, no con mandatos fríos o preceptivos sino dejándome tocar el corazón y respondiendo lo que ahí venía. O sea, yo no concibo – porque en mí lo vivo así – no concibo, me cuesta pensar que alguien pueda cumplir una misión solo con la cabeza. Para cumplir una misión hay que sentirla y cuando sentís, te golpea: te golpea la vida, te golpean los problemas... Estaba en el aeropuerto despidiéndome del Presidente y trajeron un chico - un negrito simpático, azabache era, chiquito así – y me dijo: “Mire este chico estaba pasando la frontera de Colombia, la madre muerta, quedó solo – sí, ¿qué tendría, 5 años? –, es de África, pero todavía no sabemos de qué país porque no habla ni el inglés, ni el portugués, ni el francés, habla la lengua tribal de él y lo adoptamos un poco nosotros” - me dice. Un chico muy fresco, se movía muy bien… Pero el drama de un chico abandonado por la vida porque su mamá murió ahí y un policía lo entregó a las autoridades para que se hicieran cargo… Eso te abofetea y eso hace que la misión empiece a tener color. Que vos puedas decir algo o acariciar, no es una razón. O sea, la misión siempre te involucra, al menos a mí me involucra. Será porque soy “tano” y me sale de adentro y me involucra. Le digo siempre a los jóvenes: “Ustedes lo que tienen que hacer en la vida lo tiene que hacer caminando y con los tres lenguajes: el de la cabeza, el del corazón y el de las manos”.  Y los tres lenguajes armónicos, de tal manera que piensan lo que sienten y lo que hagan, sientan lo que piensan y lo que hacen, hagan lo que sienten y piensen. Yo no sé hacer un balance de la misión. Yo con todo esto siempre voy a la oración y me quedo ahí delante del Señor, a veces me duermo delante del Señor, pero llevando todas estas cosas que he vivido en la misión y le pido que Él confirme en la fe a través de mí. Esto es como concibo la misión del Papa y como la vivo yo. Hubo casos, por ejemplo, que se plantearon alguna dificultad de tipo dogmática y a mí no me sale contestarle solo la razón, me sale actuar de otra manera.

(traduz. italiana)

La mia missione in una Giornata della Gioventù è la missione di Pietro, confermare nella fede, e questo non con indicazioni fredde o precettive, ma lasciandomi toccare il cuore e rispondendo a quello che lì accade. Io non concepisco, perché io lo vivo così, non concepisco, faccio fatica a pensare che qualcuno possa compiere una missione solo con la testa. Per compiere una missione bisogna sentire, e quando senti vieni colpito. Ti colpisce la vita, ti colpiscono i problemi... All’aeroporto stavo salutando il Presidente e hanno portato un bambino africano, simpatico, nero nero, piccolo così. E mi ha detto: “Guardi, questo bambino stava passando la frontiera della Colombia, la madre è morta, è rimasto solo. Ha cinque anni. Viene dall’Africa, ma ancora non sappiamo da quale Paese perché non parla né l’inglese, né il portoghese, né il francese. Parla solo la lingua della sua tribù. Lo abbiamo un po’ adottato noi”. Un bambino con l’aria furba, si muoveva bene… Però il dramma di un bambino abbandonato dalla vita, perché sua mamma è morta e un poliziotto lo ha consegnato alle autorità perché se ne facciano carico. Questo ti colpisce, e così la missione comincia a prendere colore, ti fa dire qualcosa, ti fa accarezzare. Non è una cosa ragionata. La missione sempre ti coinvolge. Almeno a me coinvolge. Sarà perché sono “italiano” e mi viene da dentro e mi coinvolge. Dico sempre ai giovani: voi quello che fate nella vita lo dovete fare camminando, e con i tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore, quello delle mani. E i tre linguaggi armonizzati, in modo che pensate ciò che sentite e ciò che fate, sentite ciò che pensate e ciò che fate, fate ciò che sentite e ciò che pensate. Non so fare un bilancio della missione. Io con tutto questo vado sempre alla preghiera e rimango davanti al Signore, a volte mi addormento davanti al Signore, ma portando tutte queste cose che ho vissuto nella missione e gli chiedo che Lui confermi nella fede attraverso di me. Questo è come intendo la missione del Papa e come la vivo io. Ci sono stati dei casi, ad esempio, in cui si sono poste delle difficoltà di tipo dogmatico, e io non mi sento di rispondere solo con la ragione, mi viene spontaneo agire in un altro modo.

Edwin Cabrera Uribe: (in spagnolo)

En general, ¿la JMJ panameña llenó sus expectativas?

(traduz. italiana) In generale, la GMG di Panama ha risposto alle sue aspettative?

Papa Francesco: (in spagnolo)

Evidentemente, el termómetro de si un viaje llena las expectativas es el cansancio, ¡y estoy refiltrado!

(traduz. italiana) Evidentemente, il termometro per vedere se un viaggio ha risposto alle aspettative è la stanchezza, e io sono distrutto!

Edwin Cabrera Uribe: (in spagnolo)

Y finalmente, Santo Padre. Hay un problema que es común en toda Centroamérica, incluyendo Panamá y buena parte de Latinoamérica: embarazos de niñas, de jóvenes, embarazos precoces, solamente en Panamá hubo 10 mil y tanto el año pasado y en Centroamérica no ha sido diferente. Los detractores de la Iglesia católica responsabilizan a la Iglesia porque se oponen a que se dé educación sexual en las escuelas. La Iglesia católica tiene muchas escuelas en Latinoamérica y universidades. Me gustaría conocer la opinión de Papa Francisco sobre la educación sexual.

(traduz. italiana)

E infine, Santo Padre, un problema comune in tutta l’America Centrale, compreso il Panama e buona parte dell’America Latina: le gravidanze delle bambine, delle ragazze giovani, le gravidanze precoci. Soltanto a Panama sono state 10 mila l’anno scorso e in America Centrale non è stato diverso. I detrattori della Chiesa cattolica incolpano la Chiesa perché si oppone all’educazione sessuale nelle scuole. La Chiesa cattolica gestisce molte scuole e università in America Latina. Vorrei conoscere l’opinione di Papa Francesco sul tema dell’educazione sessuale.

Papa Francesco: (in spagnolo)

Yo creo que en las escuelas hay que dar educación sexual. El sexo es un don de Dios, no es el “cuco”, es el don de Dios para amar. Que algunos lo usan para ganar plata, para explotar a otros, es otro problema. Pero hay que dar educación sexual objetiva, como es, sin colonizaciones ideológicas. Pero si de entrada le das una educación llena de colonizaciones ideológicas destruís a la persona. El sexo como don de Dios necesita ser educado, no con rigidez, educar es e-ducere, sacar lo mejor de la persona, acompañarla en el camino. El problema es en los responsables de la educación -ya sea a nivel nacional, provincial o de cada unidad escolar- qué maestros escogen para esto o qué libros de texto, etc. Yo vi cualquier “verdura” de esto. Hay cosas realmente que maduran y cosas que hacen daño. Pero creo que eso, no sé si es objetivo o no, que no haya educación sexual en Panamá – yo digo esto sin meterme en el problema político de Panamá – tiene que haber educación sexual en los chicos. Lo ideal es que empiecen en la casa con los padres. No siempre es posible por tantas situaciones en las familias o porque no saben cómo hacerlo. Está la escuela que suple eso, pero tiene que haber, si no queda un vacío que lo va a llenar cualquier ideología.

(traduz. italiana)

Io penso che nelle scuole bisogna fare educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio, non è un mostro, è il dono di Dio per amare. Che qualcuno lo usi per fare soldi, per sfruttare gli altri, è un problema diverso. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, come è, senza colonizzazioni ideologiche. Perché se nelle scuole si dà un’educazione sessuale imbevuta di colonizzazioni ideologiche, distruggi la persona. Il sesso come dono di Dio deve essere educato, non con rigidezza, educare viene da “e-ducere”, trarre il meglio dalla persona e accompagnarla nel cammino. Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale o di ogni unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo... Io ne ho viste di tutti i colori. Ci sono cose che fanno maturare e altre che fanno danno. Credo che questo… Non so se sia oggettivo o no, che non ci sia educazione sessuale a Panama, e dico questo senza entrare nei problemi politici di Panama. Bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile, per tante situazioni della famiglia, o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, altrimenti resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia.

Gisotti:

Santo Padre, Le rivolge ora la domanda Javier Brocal, di Romereports:

Javier Martínez-Brocal:

Santo Padre, quería primero darLe la enhorabuena porque ha marcado el record, en cuatro días se ha hecho panameño, han bastado solo cuatro días para llenarse el corazón de Panamá, y luego, le quería hacer una pregunta. [continua in italiano]

Santo Padre, intanto voglio darLe una buona notizia: ha superato il record, perché in quattro giorni – sono bastati solo quattro giorni per conquistare il cuore di Panama. Vorrei farLe una domanda. La faccio in italiano, perché da adesso in poi le risposte sono in italiano. In questi giorni Lei ha parlato con tante persone, con tanti ragazzi; sicuramente avrà parlato anche con ragazzi che si allontanano dalla Chiesa o che trovano difficoltà. Secondo Lei, qual è la difficoltà che trovano i ragazzi, quali sono i motivi che li allontanano dalla Chiesa? Grazie.

Papa Francesco:

Sono tanti. Alcuni sono personali, ma il più generale, credo che il primo sia la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi. Non dico dei Papi, perché è troppo [ridono], ma anche, pure. La mancanza di testimonianza. Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, se un pastore non è vicino alla gente, questo pastore non dà la testimonianza di pastore; il pastore deve essere con la gente, pastore e gregge, diciamo in questi termini. Il pastore deve stare davanti al gregge per indicare il cammino; in mezzo al gregge per sentire l’odore della gente e capire cosa sente la gente, di quali cose ha bisogno, come sente; e dietro al gregge per custodire la retroguardia. Ma se il pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata o con una certa sensazione di disprezzo, si sente orfana, e dove c’è orfanezza… Ho sottolineato i pastori, ma anche i cristiani, i cattolici ipocriti, che vanno a Messa tutte le domeniche e poi non pagano la tredicesima, ti pagano in nero, sfruttano la gente e poi vanno ai Caraibi, non solo “al papers” [per affari], ma a fare le vacanze, con lo sfruttamento della gente… “No, io sono cattolico, vado tutte le domeniche a Messa”. Però se fai questo tu dai una contro-testimonianza e questo è, a mio parere, quello che più allontana la gente dalla Chiesa. Anche i laici, tutti… Io direi: non dire che sei cattolico se non dai testimonianza; di’: io sono di educazione cattolica ma sono tiepido, sono mondano, chiedo scusa, non guardate a me come modello. Questo si deve dire. Io ho paura dei cattolici che si credono perfetti. Ma la storia si ripete: lo stesso succedeva a Gesù con i dottori della legge. “Ti ringrazio, Signore, perché non sono come questo povero peccatore”. Non va. Questa è la mancanza di testimonianza. Ci sono altri motivi, difficoltà personali, a volte. Ma il più generale è questo.

Gisotti:

Santo Padre, Le rivolge ora la domanda Caroline Pigozzi di “Paris Match”.

Papa Francesco:

Prima di tutto voglio ringraziarLa. Ho rintracciato padre Benoist de Sinety, ha concelebrato con me... è un brav’uomo… e anche i duecento ragazzi da Parigi.

Caroline Pigozzi:

E’ molto felice, e ha un’altra lettera per Lei, Santità, che Le darò la settimana prossima, perché deve scriverla…

Papa Francesco:

Benissimo. Grazie per avermi dato quel libro [Benoist de Sinety, Il faut que des voix s’élèvent. Accueil des migrants, un appel au courage, Paris 2018).

Caroline Pigozzi:

Comunque, Santo Padre, abbiamo visto per quattro giorni tutti questi giovani pregare con molta intensità. Si può immaginare che tra tutti questi giovani alcuni vogliano entrare nella vita religiosa, si può anche pensare che un certo numero abbia la vocazione. Forse qualcuno sta esitando pensando che è un cammino difficile senza potersi sposare. E’ possibile pensare che nella Chiesa cattolica, seguendo il rito orientale, Lei permetterà a degli uomini sposati di diventare preti?

Papa Francesco:

Nella Chiesa Cattolica, nel rito orientale, possono farlo, e si fa l’opzione, celibataria o come sposo – prima del diaconato.

Caroline Pigozzi:

Ma adesso, con la Chiesa cattolica di rito latino, si può pensare che Lei vedrà quella decisione?

Papa Francesco:

Di rito latino… Mi viene in mente quella frase di San Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Mi è venuta in mente e voglio dirla, perché è una frase coraggiosa, in un momento più difficile di questo, ‘68/’70… Personalmente, penso che il celibato sia un dono per la Chiesa. Secondo, io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nelle località più remote – penso alle isole del Pacifico… Ma una cosa è pensare quando c’è necessità pastorale, lì, il pastore deve pensare ai fedeli. C’è un libro di padre Lobinger [il Vescovo Fritz Lobinger,Preti per domani, Emi, 2009]., è interessante – questa è una cosa in discussione tra i teologi, non c’è decisione mia. La mia decisione è: celibato opzionale prima del diaconato, no. È una cosa mia, personale, io non lo farò, questo rimane chiaro. Sono uno “chiuso”? Forse. Ma non mi sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione. Tornando a padre Lobinger, ha detto: “La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia la fa la Chiesa” Ma dove non c’è Eucaristia, nelle comunità – pensi lei, Carolina, alle Isole del Pacifico…

Carolina Pigozzi:

… in Amazzonia, anche …

Papa Francesco:

… forse lì… in tanti posti… dice Lobinger: chi fa l’Eucaristia? In quelle comunità i “direttori”, diciamo, gli organizzatori di quelle comunità sono diaconi o suore o laici, direttamente. E Lobinger dice: si può ordinare un anziano, sposato – è la sua tesi – si potrebbe ordinare un anziano sposato, ma soltanto che eserciti il munus sanctificandi, cioè che celebri la Messa, che amministri il sacramento della Riconciliazione e dia l’Unzione degli infermi. L’ordinazione sacerdotale dà i tre munera: regendi – governare, il pastore –; docendi – insegnare – e sanctificandi. Questo viene con l’ordinazione. Il vescovo darebbe soltanto le facoltà per il munus sanctificandi: questa è la tesi. il libro è interessante. Forse questo può aiutare a pensare al problema. Io credo che il problema dev’essere aperto in questo senso, dove c’è problema pastorale, per la mancanza di sacerdoti. Non dico che si debba fare, perché non ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi devono studiare. Un esempio è il padre Lobinger… lui era un fidei donum, in Sud Africa… è già anziano. Faccio questo esempio per significare i punti dove si devono fare. Parlavo con un officiale della Segreteria di Stato, un vescovo, che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione; quando hanno visto come andava quella rivoluzione – negli anni Cinquanta, più o meno – i vescovi hanno ordinato di nascosto dei contadini, bravi, religiosi. Poi, passata la crisi, trent’anni dopo, la cosa si è risolta. E lui mi diceva l’emozione che aveva avuto quando, in una concelebrazione, vedeva questi contadini, con le mani da contadino, mettersi il camice per concelebrare con i vescovi. Nella storia della Chiesa, questo è accaduto. E’ una cosa da studiare, da ripensare, e da pregare.

Caroline Pigozzi:

… ci sono quei protestanti che sono diventati cattolici…

Papa Francesco:

Sì, lei mi chiede di quello che aveva fatto Papa Benedetto, è vero. Io avevo dimenticato questo: “Anglicanorum coetibus”, i sacerdoti anglicani che sono diventati cattolici e mantengono la vita [coniugale], come fossero orientali. Ricordo a un’udienza del mercoledì ne ho visti tanti, col colletto, e tante donne con loro e bambini per mano ai preti…, e mi hanno spiegato com’era la cosa. E’ vero: grazie per avermelo ricordato.

Gisotti:

Rivolge ora la domanda Lena Klimkeit della Dpa.

Lena Klimkeit:

Santo Padre, durante la Via Crucis, venerdì, un giovane ha pronunciato delle parole molto forti sull’aborto; le voglio ripetere un attimo: “Hay una tumba que clama al cielo y denuncia la terrible crueldad de la humanidad: es la tumba que se abre en el vientre de las madres del que se arranca la vida inocente. Dios nos conceda humanizarnos de verdad, defender con firmeza la vida, hacer que las leyes que matan la vida inocente se borren para siempre”. [“C’è una tomba che grida al cielo e denuncia la terribile crudeltà dell’umanità, è la tomba che si apre nel ventre delle madri da cui si strappa una vita innocente. Dio ci conceda di umanizzarci davvero, di difendere con fermezza la vita e far sì che le leggi che uccidono la vita innocente siano cancellate per sempre”]. Questa è una posizione molto radicale, secondo me. Mi chiedo, e Le vorrei chiedere, se questa posizione rispetta anche la sofferenza delle donne in questa situazione e se corrisponde al suo messaggio della misericordia.

Papa Francesco:

Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione. È per tutti. Dopo aver fatto questo fallimento, c’è misericordia pure, ma una misericordia difficile, perché il problema non è nel dare il perdono, il problema è nell’accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una volta ho sentito un medico che parlava di una teoria secondo cui – non mi ricordo bene… – una cellula del feto appena concepito va al midollo della mamma e lì c’è una memoria anche fisica. Questa è una teoria, ma per dire: una donna quando pensa a quello che ha fatto… Io ti dico la verità: bisogna essere nel confessionale, e tu lì devi dare consolazione, non punire niente. Per questo io ho aperto la facoltà di assolvere [dal peccato di] aborto per misericordia, perché tante volte – ma sempre – devono incontrarsi con il figlio. E io consiglio, tante volte, quando piangono e hanno quest’angoscia: “Tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai cantato, che non hai potuto cantargli”. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma con il figlio. Con Dio già c’è: è il perdono di Dio. Dio perdona sempre. Ma la misericordia è anche che lei [la donna] elabori questo. Il dramma dell’aborto. Per capirlo bene, bisogna essere in un confessionale. È terribile.

Gisotti:

Grazie Santo Padre. La prossima domanda è di Valentina Alazraki di Televisa. Se ricordo bene è quasi al 150° viaggio apostolico…

Valentina Alazraki:

Papa Francisco, usted ha dicho en estos días aquí en Panamá que estaba muy cerca de Venezuela, que se sentía muy cerca de los venezolanos y hoy ha pedido una solución justa, pacífica, en el respeto de los derechos humanos de todos. Los venezolanos quisieran entender un poco mejor qué significa esto, están esperando su palabra, quieren saber si esta solución pasa a través del reconocimiento de Juan Guaidó, que ha sido respaldado por muchos países, otros piden elecciones a corto plazo, elecciones libres para que la gente pueda votar; sienten que usted es un Papa latinoamericano y quieren sentir su apoyo, su ayuda y su consejo. Gracias.

Papa Francesco: (in spagnolo)

Yo apoyo en este momento a todo el pueblo venezolano, porque es un pueblo que está sufriendo, incluso los que están de una parte y de otra, pero es todo el pueblo el que sufre. Y si yo entrara a decir: “háganle caso a estos países, háganle a estos otros que dice esto”, me metería en un rol que no conozco, sería una imprudencia pastoral de mi parte y haría daño. Las palabras [quelle pronunciate oggi] las pensé, las repensé y creo que con esto expresé mi cercanía, lo que siento. Yo sufro por lo que está pasando en Venezuela en este momento y por eso deseo que se pongan de acuerdo…, una solución justa y pacífica, que es lo que me asusta, el derramamiento de sangre. Y ahí también pido grandeza para ayudar - los que pueden ayudar – a resolver el problema. El problema de la violencia a mí me aterra. Después de todo el esfuerzo hecho en Colombia lo que pasó en la Escuela de cadetes el otro día fue terrorífico. O sea, no es solución la sangre. Por eso tengo que ser – no me gusta la palabra equilibrado – tengo que ser Pastor, de todos. Y si necesitan ayuda, de común acuerdo, la pidan. Por ahí va. Gracias.

(italiano)

Io, in questo momento appoggio tutto il popolo venezuelano, perché è un popolo che sta soffrendo, quelli che stanno da una parte e quelli che stanno dall’altra, perché è tutto il popolo che soffre. Se io entrassi a dire: “date ascolto a questi paesi, date ascolto a questi altri che dicono questo…”, mi metterei in un ruolo che non conosco, sarebbe un’imprudenza pastorale da parte mia e farei danno. Le parole [quelle pronunciate oggi] le ho pensate e ripensate. E credo che con quelle ho espresso la mia vicinanza, ciò che sento. Io soffro per quello che sta accadendo in Venezuela in questo momento e per questo ho chiesto che si mettano d’accordo…, una soluzione giusta e pacifica. Quello che mi spaventa è lo spargimento di sangue. E chiedo anche larghezza nell’aiuto da parte di quelli che possono aiutare a risolvere il problema. Il problema della violenza mi terrorizza… Dopo tutti gli sforzi fatti in Colombia, pensate a quello che è successo nella Scuola dei Cadetti l’altro giorno, una cosa terrificante. Il sangue non è una soluzione. Per questo devo essere… non mi piace la parola “equilibrato”, devo essere pastore, di tutti. E se c’è bisogno di aiuto, di comune accordo, lo chiedano. Questa è la strada. Grazie.

Gisotti:

Grazie Santo Padre. È il turno di Junno Arocho Esteves di Catholic News Service.

Junno Arocho Esteves:

Buona sera, Santità. Durante il Suo pranzo con un gruppo di giovani pellegrini, una giovane ragazza americana ci ha raccontato che Le aveva chiesto del dolore e sdegno di tanti cattolici, particolarmente negli Stati Uniti, per la crisi degli abusi. Tanti cattolici americani pregano per la Chiesa, ma molti si sentono traditi, abbattuti, dopo le recenti notizie di abusi e insabbiamento da parte di alcuni vescovi, e hanno perso fiducia in loro. Santità, quali sono le Sue aspettative o speranze per l’incontro a febbraio, affinché la Chiesa possa ricominciare a ricostruire la fiducia tra i fedeli e i loro vescovi?

Papa Francesco:

Questo è furbo! Ha cominciato dal viaggio ed è andato là… Complimenti! Grazie della domanda. L’idea di questo è nata nel C9 [il Consiglio dei Cardinali], perché lì noi vedevamo che alcuni vescovi non capivano bene o non sapevano cosa fare, o facevano una cosa buona o un’altra sbagliata. E abbiamo sentito la responsabilità di dare una “catechesi” su questo problema alle conferenze episcopali. Per questo si chiamano i presidenti [all’incontro di febbraio prossimo]. Una catechesi affinché, primo, si prenda coscienza del dramma: cosa significa un bambino abusato, una bambina abusata. Io ricevo con regolarità persone abusate. Ricordo uno: quarant’anni senza poter pregare. È terribile, la sofferenza, è terribile. Quindi, primo: che prendano coscienza di questo. Secondo: che sappiano cosa si deve fare, la procedura. Perché a volte il vescovo non sa cosa fare, perché è una cosa che è cresciuta molto forte, e [la conoscenza del da farsi] non è arrivata dappertutto, diciamo così. E poi, che si facciano programmi, generali, ma che arrivino a tutte le conferenze episcopali: cosa deve fare il vescovo; cosa deve fare l’arcivescovo che è il metropolita; cosa deve fare il presidente della conferenza episcopale. Ma che sia chiaro, in maniera tale che ci siano – diciamolo in termini un po’ giuridici – dei protocolli che siano chiari. Questa è la cosa principale. Ma prima di ciò che si deve fare, viene quello che ho detto prima: prendere coscienza. Poi [nell’incontro di febbraio] si farà preghiera, ci sarà qualche testimonianza per aiutare a prendere coscienza, e poi qualche liturgia penitenziale per chiedere perdono per tutta la Chiesa. Stanno lavorando bene alla preparazione di questo. Mi permetto di dire che ho percepito un’aspettativa un po’ gonfiata: bisogna sgonfiare le aspettative, [riportandole] a questi punti che io dico. Perché il problema degli abusi continuerà, è un problema umano, ma umano dappertutto! Io ho letto una statistica l’altro giorno, una di quelle statistiche che dicono: il 50% è denunciato, di questo 50, il 20% è ascoltato – e diminuisce –, e finiva così: il 5% è condannato. È terribile, terribile. È un dramma umano di cui dobbiamo prendere coscienza. E noi, risolvendo il problema nella Chiesa, prendendo coscienza, aiuteremo a risolverlo anche nella società, nelle famiglie, dove la vergogna fa coprire tutto. Ma prima dobbiamo prendere coscienza, avere bene i protocolli, e andare avanti. Questa è la cosa. E… complimenti!

Gisotti:

Non so se c’è spazio per un’altra domanda… Forse brevemente: Manuela Tulli dell’Ansa. Se può essere rapida perché – appunto – stanno per servire la cena. Grazie Manuela.

Manuela Tulli:

Buona sera, Santo Padre. Lei, durante questa GMG, ha detto che è assurdo e irresponsabile considerare i migranti i portatori del male sociale. In Italia, le nuove politiche sui migranti hanno portato alla chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto, che Lei conosce bene. Era un’esperienza dove si vedevano semi di integrazione, i bambini andavano a scuola, e ora rischiano – quelle persone – uno sradicamento. Lei appunto scelse di celebrare con loro il Giovedì Santo del 2016. Le vorrei chiedere cosa prova rispetto a questa decisione di chiudere il CARA di Castelnuovo di Porto, dove Lei è stato a celebrare il Giovedì Santo del 2016. E ora il rischio è una dispersione di quella esperienza, con i bambini che…

Papa Francesco:

Sì, io ho sentito voci di quello che succedeva in Italia, ma ero immerso in questo [viaggio], quindi precisamente non conosco bene la cosa, ma immagino. È vero che il problema dei migranti è un problema molto complesso, molto complesso. È un problema che richiede memoria, ossia domandarsi se la mia patria è stata fatta dai migranti. Noi argentini: tutti migranti. Gli Stati Uniti: tutti migranti. Questa memoria. Un vescovo, un cardinale – non ricordo quale – ha fatto un articolo bellissimo su un problema di “mancanza di memoria”, così si chiamava. Questo è un punto. Poi, le parole che io uso: accogliere, il cuore aperto per accogliere; accompagnare; far crescere e integrare. E dico anche: il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù del governante. Questo l’ho detto qui, nell’ultimo volo, queste parole. Sì, è una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese che, negli anni Settanta, con le dittature - l’Operazione Condor in America Latina -, aveva ricevuto tanti migranti, tanti, tanti, ma tutti integrati. Vedo anche cosa fa Sant’Egidio, per esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: “Fermatevi un po’, perché non possiamo finire il percorso”. E questa è la prudenza del governante. Ed è un problema di carità, di amore, di solidarietà, e io ribadisco che le nazioni più generose in questo, nel ricevere – per gli altri aspetti non sono tanto riusciti a farlo – sono state l’Italia e la Grecia. Anche un po’ la Turchia, un po’. Ma la Grecia è stata generosissima. E l’Italia, tanto. E quando io sono andato a Lampedusa, era all’inizio, l’anno 2013. Ma è vero che si deve pensare realisticamente. Poi c’è un’altra cosa di cui è importante tenere conto: un modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono. I migranti vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, in modo da aiutare a crescere. Ma sempre c’è – parlando dell’Africa – sempre c’è quell’immaginario collettivo che noi abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata. Questo è storico e questo fa male. I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita; il Libano è una meraviglia di generosità: ha più di un milione di siriani. La Giordania lo stesso: sono aperti, e fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E noi in Italia abbiamo ricevuto qualcuno. Ma è un problema complesso, di cui si deve parlare senza pregiudizi, tenendo conto di tutte queste cose che mi sono venute in mente.

Gisotti:

Grazie Santo Padre. Allora buona cena, buon viaggio, e fra una settimana ci si rivede per un altro viaggio molto importante [negli Emirati Arabi Uniti].

Papa Francesco:

Vi ringrazio tanto del vostro lavoro. Soltanto vorrei dire una cosa su Panama: ho sentito un sentimento nuovo. Io conosco l’America Latina, ma Panama no. E mi è venuta questa parola: Panama è una nazione “nobile”. Io ho trovato nobiltà. Questo voglio dire. E voglio dire un’altra cosa, che ho detto quando sono tornato dalla Colombia, parlando dell’esperienza di Cartagena e di altre città, una cosa che noi in Europa non vediamo: qual è l’orgoglio, in questo caso dei panamensi? Ti alzano i bambini e ti dicono: “Questa è la mia vittoria, questo è il mio futuro, questo è il mio orgoglio!”. Questo, nell’inverno demografico che noi stiamo vivendo in Europa – in Italia sotto zero – ci deve fare pensare: qual è il mio orgoglio? Il turismo, la villa, il cagnolino, o alzare un figlio? Grazie! Pregate per me, ne ho bisogno. Grazie!

Gisotti:

Grazie Santo Padre.

 


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