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MESSA PER LE CLARISSE E LE BASILIANE A CASTEL GANDOLFO

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Martedì, 14 agosto 1979

 

Carissime Sorelle nel Signore!

È per me una grande gioia e una viva commozione celebrare la Santa Messa qui, con voi e per voi, che vivete la vostra esistenza contemplativa proprio qui, vicino alla mia residenza estiva!

Tra tutte le persone che il Papa ama ed avvicina, voi siete certamente le più preziose, perché il Vicario di Cristo ha un estremo bisogno del vostro aiuto spirituale e conta soprattutto su di voi, che per divina vocazione avete scelto “la parte migliore” (Lc 10,42) e cioè il silenzio, la preghiera, la contemplazione, l’amore esclusivo di Dio.

Voi non avete abbandonato il mondo per non avere i crucci del mondo o per non interessarvi dei problemi che tormentano l’umanità; anzi! Voi li portate tutti nel cuore e nel travagliato scenario della storia voi accompagnate l’umanità con la vostra preghiera e con la vostra ansia di perfezione e di salvezza.

Per questa vostra presenza, nascosta ma autentica nella società, e tanto più nella Chiesa, anch’io guardo con fiducia alle vostre mani giunte e affido all’ardore della vostra carità l’assillante missione del Supremo pontificato.

E mi è caro meditare con voi gli insegnamenti che i pensieri, che la liturgia di oggi fa sgorgare dalla Parola di Dio, appena ascoltata nel Santo Vangelo.

1. Gesù ci ricorda prima di tutto la realtà consolante del Regno dei cieli. La domanda che gli apostoli rivolgono a Gesù è molto sintomatica: “Chi dunque è il più grande nel Regno dei cieli?”.

Si vede che avevano discusso tra di loro, su questioni di precedenza, di carriera, di meriti, con una mentalità ancora terrena e interessata, volevano sapere chi fosse il primo in quel Regno dei cieli, di cui parlava sempre il Maestro.

Gesù prende l’occasione per purificare il concetto errato che hanno gli apostoli e per trasportarli nel vero contenuto del suo messaggio: il Regno dei cieli è la Verità salvifica da lui rivelata; è la “grazia”, ossia la vita di Dio da lui riportata all’umanità con l’Incarnazione e la Redenzione; è la Chiesa, il suo Corpo Mistico, il popolo di Dio che lo ama e lo segue; è finalmente la gloria eterna del paradiso, a cui tutta l’umanità è chiamata.

Gesù, parlando del Regno dei cieli, vuole insegnarci che l’esistenza umana ha valore solo nella prospettiva della verità, della grazia e della gloria futura. Tutto deve essere accettato e vissuto con amore e per amore nella realtà escatologica da lui rivelata: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli...” (Lc 12,33). “Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese” (Lc 12,35).

2. Gesù ci insegna il modo giusto per entrare nel Regno dei cieli. Narra l’evangelista San Matteo che “Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”” (Mt 18,2-4).

È questa la sconvolgente risposta di Gesù: per entrare nel Regno dei cieli la condizione indispensabile è il farsi piccoli e umili come bambini!

È chiaro che Gesù non vuole obbligare il cristiano a rimanere in una situazione di perpetuo infantilismo, di ignoranza soddisfatta, di insensibilità alle problematiche dei tempi. Tutt’altro! Però egli porta il bambino come modello per entrare nel Regno dei cieli per il valore simbolico che il fanciullo racchiude in sé.

Prima di tutto il bambino è innocente, e per entrare nel regno dei cieli il primo requisito è la vita di “grazia”, e cioè l’innocenza, mantenuta o riacquistata, l’esclusione del peccato, che è sempre un atto di orgoglio e di egoismo.

In secondo luogo, il bambino vive di fede, e di fiducia nei suoi genitori e si abbandona con totale disposizione a coloro che lo guidano e lo amano. Così il cristiano deve essere umile e abbandonarsi con totale fiducia a Cristo e alla Chiesa. Il gran pericolo, il gran nemico è sempre l’orgoglio, e Gesù insiste sulla virtù dell’umiltà, perché davanti all’infinito non si può essere che umili; l’umiltà è verità ed è anche segno di intelligenza e fonte di serenità.

Infine, il bambino si accontenta delle piccole cose, che bastano a renderlo felice; una piccola riuscita, un bel voto meritato, una lode ricevuta lo fanno esultare di gioia.

Per entrare nel Regno dei cieli bisogna avere sentimenti grandi, immensi, universali; ma bisogna sapersi accontentare delle piccole cose, degli impegni comandati dall’obbedienza, della volontà di Dio come si esprime nell’attimo che fugge, delle gioie quotidiane offerte dalla Provvidenza; bisogna fare di ogni lavoro, per quanto nascosto e modesto, un capolavoro di amore e di perfezione.

Bisogna convertirsi alla piccolezza per entrare nel regno dei cieli! Ricordiamo la geniale intuizione di Santa Teresa di Lisieux, quando meditò il versetto della Sacra Scrittura: “Se qualcuno è veramente piccolo, venga a me” (S. Teresa di Lisieux, Pr. 9,4). Scoprì che il senso della “piccolezza” era come un ascensore che più in fretta e più facilmente l’avrebbe portata alla vetta della santità: “Le tue braccia, o Gesù, sono l’ascensore che mi deve innalzare fino al cielo! Per questo io non ho affatto bisogno di diventare grande; bisogna anzi che rimanga piccola, che lo diventi sempre di più” (S. Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, Manoscritto C, cap. X).

3. Infine, Gesù ci infonde l’ansia per il Regno dei cieli. “Che ve ne pare? – dice Gesù – Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,12-14).

Sono parole drammatiche e consolanti nello stesso tempo: Dio ha creato l’uomo per renderlo partecipe della sua gloria e della sua felicità infinita; e per questo l’ha voluto intelligente e libero, “a sua immagine e somiglianza”. Purtroppo assistiamo con angoscia all’inquinamento morale che devasta l’umanità, disprezzando specialmente i piccoli, di cui parla Gesù.

Che cosa dobbiamo fare? Imitare il buon Pastore e affannarci senza posa per la salvezza delle anime. Senza dimenticare la carità materiale e la giustizia sociale, dobbiamo essere convinti che la carità più sublime è quella spirituale, ossia l’impegno per la salvezza delle anime. E le anime si salvano con la preghiera e con il sacrificio. Questa è la missione della Chiesa!

Particolarmente voi, claustrali e anime consacrate, dovete sentirvi come Abramo sul monte, per implorare misericordia e salvezza dall’infinita bontà dell’Altissimo! E sia vostra gioia sapere che molte anime si salvano proprio per la vostra propiziazione.

Carissime Sorelle, nella soave e mistica atmosfera di questa Vigilia della Solennità dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo, vi affido tutte alle sue materne cure e concludo con le parole che Paolo VI, di venerata memoria, esprimeva all’inizio del suo pontificato: “La Madonna ci appare oggi come non mai, con la sua luce dall’alto, maestra di vita cristiana. Ci dice: vivete bene anche voi; e sappiate che lo stesso destino a me anticipato, nell’ora in cui il mio cammino temporale si è chiuso, lo sarà a suo tempo per voi... La Madre Celeste è lassù, ci vede e ci attende con il suo sguardo tenerissimo... Proprio gli occhi suoi dolcissimi ci contemplano amorevolmente e con materno affetto ci incoraggiano...” (Paolo VI, Allocutio, 15 agosto 1963).



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