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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA
DI NOSTRA SIGNORA DI COROMOTO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Roma, 15 marzo 1981

 

1. “Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo” (2Tm 1,8).

Con queste parole, lette nella seconda lettura biblica della liturgia odierna, san Paolo si rivolge a Timoteo.

Le stesse parole desidero ripetere venendo nella vostra parrocchia oggi. Lavora anche tu insieme con me per il Vangelo.

La visita del Vescovo nella parrocchia ha per scopo di riconfermare i vincoli, che uniscono la vostra Comunità con la Chiesa Romana, ma ha anche lo scopo di promuovere la loro rianimazione, in modo che rappresenti un nuovo impulso alla vita cristiana, alla partecipazione alla evangelizzazione, cioè a quelle fatiche e contrarietà, di cui parla l’apostolo, sopportate per il Vangelo.

In questo spirito, saluto la vostra parrocchia, che ho occasione di visitare nella seconda Domenica di Quaresima. Il mio saluto va innanzitutto al Cardinale Vicario ed al Vescovo di zona Monsignor Remigio Ragonesi, che hanno ben preparato il nostro incontro odierno. Saluto pure cordialmente il vostro parroco ed i presbiteri suoi collaboratori, i quali si spendono con zelo per il bene di questa Comunità. Inoltre, meritano una speciale menzione le religiose ed i religiosi, che qui svolgono un’apprezzata e benemerita attività pastorale. Saluto pure, in modo particolare, i membri del Consiglio Pastorale, i catechisti la cui opera è tanto preziosa, i rappresentanti delle organizzazioni cattoliche.

Tutti insieme, voi cooperate alla crescita cristiana di questa parrocchia, che è grande, ma giovane e ricca di energie. I nomi che la definiscono sono significativi: quello di Nostra Signora di Coromoto, Patrona del Venezuela, è stato assunto per onorare il contributo venuto da quel generoso popolo dell’America Latina; il nome di san Giovanni di Dio, che fu il primo a qualificarla, ricorda a tutti la carità verso i sofferenti, dato che la parrocchia sorge in una delle più dense zone ospedaliere di Roma. È così la regione dei Colli Portuensi è posta sotto una sicura protezione, che diventa anche stimolo all’impegno cristiano di tutti, specialmente in questo tempo quaresimale.

2. La Quaresima viene presentata nella odierna liturgia a somiglianza di un cammino, come quello al quale Dio chiamò Abramo.

Nella prima lettura, infatti, abbiamo sentito le parole del Signore: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gen 12,1). E Abramo si mette per strada senza indugio, e senza altro appoggio all’infuori della promessa divina. Ebbene, anche per noi la Quaresima è un cammino, che siamo invitati ad affrontare con risolutezza e fidandoci dei progetti che Dio ha su di noi. Anche se il viaggio è denso di prove, san Paolo nella seconda lettura ci assicura che, come Timoteo, così ciascuno di noi è “aiutato dalla forza di Dio” (2Tm 1,8). E il paese verso il quale siamo incamminati è la vita nuova del cristiano, una vita pasquale, che può essere realizzata solo dalla “forza” e dalla “grazia” di Dio. Si tratta di una misteriosa potenza, “che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo” (2Tm 1,9-10). La lettera a Timoteo, poi, precisa che il paese della vita nuova ci è dato in base ad una misericordiosa vocazione ed assegnazione da parte di Dio, “non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia” (2Tm 1,9). Perciò dobbiamo essere uomini di fede, come Abramo: uomini, cioè, che non contano tanto su di sé quanto piuttosto sulla parola, sulla grazia e sulla potenza di Dio.

3. Il Signore Gesù, vivendo sulla terra, scopriva personalmente con i suoi discepoli questo cammino. Su di esso verificò anche quell’insolito avvenimento, che descrive il Vangelo d’oggi la trasfigurazione del Signore.

“Il suo volto brillò come il sole e le sue veste divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui” (Mt 17,2-3). Ma al centro dell’avvenimento ci sono le parole divine, che gli conferiscono il suo vero significato: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). Comprendiamo così che si tratta di una cristofania; cioè la trasfigurazione rappresenta la rivelazione del Figlio di Dio, di cui il racconto mette in luce alcune cose: la gloria, a motivo dello splendore acquisito; la centralità e quasi il compendio della storia della salvezza, significati dalla presenza di Mosè e di Elia; l’autorità profetica, legittimamente proposta dal perentorio invito: “Ascoltatelo”; e soprattutto la qualifica di “Figlio”, che sottolinea gli stretti ed unici rapporti esistenti tra Gesù e il Padre celeste.

Le parole della trasfigurazione, inoltre, ripetono quelle già presenti nel racconto del battesimo al Giordano, quasi a significare che anche dopo aver percorso un preciso cammino nella sua vita pubblica, Gesù rimane lo stesso “Figlio prediletto”, quale già era stato proclamato all’inizio.

Gli apostoli manifestano la loro felicità: “È bello per noi restare qui” (Mt 17,4). Ma Cristo fa conoscere che l’avvenimento del monte Tabor si trova soltanto sulla via verso la rivelazione del mistero pasquale: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti” (Mt 17,9).

Il cammino di Quaresima, che il Signore Gesù ha compiuto durante la sua vita sulla terra, insieme con i discepoli, lo continua a compiere insieme con la Chiesa. La Quaresima è il periodo di una presenza di Cristo, particolarmente intensa, nella vita della Chiesa.

4. Bisogna quindi cercare, in modo speciale in questo tempo, la vicinanza con Cristo: “È bello per noi restare qui” (Mt 17,4).

Occorre vivere nell’intimità con Lui; aprire dinanzi a Lui il proprio cuore, la propria coscienza; parlare a Lui così, come sentiamo nel Salmo responsoriale della liturgia odierna: “Signore, sia su di noi la tua grazia, perché in te speriamo” (Sal 33,22).

La Quaresima è appunto un periodo in cui la grazia deve essere in modo particolare “su di noi”.

Per questo, è necessario che ci apriamo semplicemente ad essa; infatti, la grazia di Dio non è tanto oggetto di conquista, quanto di disponibile e gioiosa accettazione, come per un dono, senza frapporvi impedimenti. Concretamente ciò è possibile, innanzitutto, mediante un atteggiamento di profonda preghiera, che comporta appunto l’intrecciarsi di un dialogo col Signore; poi, mediante un atteggiamento di sincera umiltà, poiché la fede è proprio l’adesione della mente e del cuore alla Parola di Dio; e infine, mediante un comportamento di autentica carità, che lasci trasparire tutto l’amore, di cui già noi stessi siamo stati fatti oggetto da parte del Signore.

5. Come Abramo, al quale Dio ordinò di mettersi in cammino, così anche noi ci siamo incamminati, di nuovo, in questa strada della Quaresima, alla fine della quale c’è la Risurrezione.

Si vede Cristo, il Figlio prediletto, nel quale il Padre si e compiaciuto (cf. Mt 17,5).

Si vede Cristo, che vince la morte e fa risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo (cf. 2Tm 1,10).

E perciò: sorretti dalla forza di Dio, dobbiamo prendere parte nelle fatiche e nelle contrarietà sopportate per il Vangelo! (cf. 2Tm 1,8).

Queste parole della lettera a Timoteo dischiudono anche un nobile ed impegnativo programma per ogni cristiano nella sua vita di ogni giorno. È il programma della evangelizzazione, cioè della partecipazione alla diffusione del messaggio evangelico. Come Cristo “ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo” (2Tm 1,10), così dobbiamo fare anche noi; così deve fare la parrocchia intera. Si tratta, cioè, di far vedere alla società ed al mondo che il Vangelo, con la sua luce proiettata sul cammino dell’umanità (cf. Sal 119,105), è fonte di vita, e di vita immortale.

Occorre che il cristiano faccia vedere a tutti la verità dell’esclamazione di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Gli uomini dovrebbero capire che con l’adesione a Cristo, non solo non hanno nulla da perdere, ma hanno tutto da guadagnare, poiché con Cristo l’uomo diventa più uomo (cf. Gaudium et Spes, 41). Ma a tal fine occorre una testimonianza; e questa possono darla soltanto i discepoli stessi di Gesù, cioè i cristiani, ai quali già san Paolo scriveva: “Dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita” (Fil 2,15-16).

E questo si può fare in mille modi, secondo le varie occupazioni di ciascuno; a casa e al mercato, a scuola ed in fabbrica, sul lavoro e nel tempo libero.

E poiché Gesù Cristo è “il primogenito fra molti fratelli” (Rm 8,29), ci auguriamo e preghiamo che, assimilandoci a Lui, anche noi possiamo essere annoverati da Dio tra i suoi figli prediletti (cf. Mt 17,5).

Questi sono i voti che io faccio oggi a ciascuno di voi. Sono i voti che rivolgo a tutta la vostra parrocchia e ripeto, terminando: lavora anche tu. Lo ripeto a ciascuno di voi, lo ripeto a tutta la parrocchia: lavora anche tu insieme con me, Vescovo di Roma, insieme con me, lavora anche tu per il Vangelo.

 

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