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SOLENNE CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA PER
L'APERTURA DELLA VI ASSEMBLEA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica Vaticana - Giovedì, 29 settembre 1983

 

Venerabili e cari fratelli!

1. Ci incontriamo oggi in questa Basilica di San Pietro per inaugurare, alla mensa della Parola di Dio e dell’Eucaristia, il Sinodo dei Vescovi. È una sessione ordinaria sul tema: “Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa”. Desideriamo quindi soprattutto unirci a Colui che a questa missione della Chiesa ha dato inizio. È proprio lui - Gesù il Cristo - che ha detto: “Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; “paenitemini . . .” (fate penitenza, convertitevi) e credete al Vangelo” (cf. Mc 1, 15).

Il tempo è compiuto con la venuta di Cristo. E si compie costantemente di nuovo questo tempo, in cui il Padre eterno ha aperto il suo Cuore alla riconciliazione con ogni uomo in Gesù Cristo. In questo tempo tutti viviamo.

E perciò i Vescovi della Chiesa hanno opportunamente proposto la penitenza e la riconciliazione come tema dell’attuale Sinodo. Bisogna tornare alle prime parole di Cristo. Bisogna verificare con quale eco esse risuonano nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Bisogna restituire ad esse la loro eterna, evangelica e apostolica potenza. Sarebbe veramente difficile trovare un tema più fondamentale per il lavoro del Sinodo. Un tema più evangelico. E più apostolico. E più urgente.

Vi ringrazio, venerabili fratelli, e ringrazio i Vescovi di tutta la Chiesa per aver voluto proporre appunto il problema della riconciliazione e della penitenza come compito del servizio sinodale nei riguardi del Popolo di Dio nel mondo intero.

2. La Liturgia della festività odierna ci permette di comprendere la potenza del “paenitemini” di Cristo nelle dimensioni che sono, nell’economia di Dio, più grandi e più antiche dell’uomo. Allo stesso tempo, esse giungono all’uomo; s’incontrano nel suo cuore e nella sua storia. Non per nulla Gesù, mentre chiamava Natanaele, disse queste parole misteriose: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Gv 1, 51).

Proprio oggi è la festività degli Angeli di Dio - e in particolare di quelli che conosciamo dalla Sacra Scrittura sotto i nomi di Micael, Gabriel e Rafael.

3. La prima lettura del libro dell’Apocalisse ci invita a fermarci sul nome Mi-ca-el” (Michele). Questo nome significa “chi come Dio”. Esso allude a una conoscenza e a una scelta compiuta a misura di uno spirito puro.

Il Regno di Dio si plasma eternamente proprio in base a una tale conoscenza e ad una tale scelta: “chi come Dio”. In queste parole è contenuta tutta la potenza spirituale del rivolgersi a Dio, dell’aderire con la conoscenza e con la volontà alla pienezza che è lui stesso. Pienezza dell’Essere e della Santità. Pienezza della Verità, del Bene e del Bello.

L’odierna festività ci ricorda che all’inizio della creazione, dalla profondità spirituale degli esseri angelici si è sprigionata questa primissima adorazione, immergendosi insieme a tutto il loro essere nella realtà del “chi come Dio”: “Michele e i suoi angeli” (Ap 12, 7).

Contemporaneamente, la stessa lettura del libro dell’Apocalisse ci rende consapevoli che a questa adorazione, a questa primissima affermazione della maestà del Creatore, si è contrapposta una negazione. Di fronte al rivolgersi pieno di amore verso Dio (“chi come Dio!”) esplose una pienezza di odio nel rivoltarsi a lui. Questo rivoltarsi porta nella Sacra Scrittura il nome “diabolos” (calunniatore) e “satana”. Questo nome ricorda che, nel rivoltarsi a Dio, si è compiuto anche un rigetto da parte di Dio: “Il serpente antico . . . fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli” (Ap 12, 9).

Nelle dimensioni del “mondo invisibile” si svela quindi la più profonda contrapposizione del bene e del male. Il bene ha il suo inizio in Dio e il suo compimento nell’amore di Dio. Il male è una negazione dell’amore. La negazione di quel Bene supremo, che è Dio stesso, porta in sé la rottura con la verità [il diavolo è “padre della menzogna” (Gv 8, 44)] e la forza distruttiva dell’odio. L’Apocalisse parla di un combattimento. “Scoppiò . . . una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago” (Ap 12, 7).

4. La contrapposizione del bene e del male è entrata nella storia dell’uomo, distruggendo l’innocenza originaria nel cuore dell’uomo e della donna. “Costituito da Dio in uno stato di santità, l’uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio”. Da questo tempo “tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre . . . Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza” (Gaudium et Spes, 13).

Tuttavia questa contrapposizione è diversa da quella che ci viene ricordata dalla prima lettura dell’odierna Liturgia. Essa è a misura dell’uomo. Non a misura dello spirito puro. Tuttavia essa è primo e principale impedimento nel formarsi del Regno di Dio: regno della verità e dell’amore nella storia dell’uomo, nei singoli campi dell’esistenza umana. Sia nella vita della persona, sia nella vita della società.

E perciò - quando Cristo inizia la sua missione messianica, annunciando l’avvicinarsi del Regno di Dio - grida contemporaneamente: “meta-noeite!” (“paenitemini!”), cioè: “trasformate il vostro spirito”! Chiama alla conversione e alla riconciliazione con Dio. Questo richiamo testimonia che voltarsi dal male e indirizzarsi al bene - in questa sua pienezza quale è Dio - è cosa possibile per l’uomo. La volontà umana può accogliere in sé la corrente salvifica della Grazia, che trasforma le più profonde aspirazioni. In questa chiamata di Cristo si trova insieme la prima luce della Buona Novella. In essa si apre ormai la prospettiva della vittoria del bene sul male, della luce sul peccato. È la prospettiva che Cristo riconfermerà fino alla fine con la croce e la risurrezione.

5. Venerati e cari fratelli!

Nel corso delle prossime settimane dobbiamo - come Pastori della Chiesa nell’ultimo periodo del XX secolo - concentrarci su questa fondamentale chiamata del Vangelo. Essa è stata indirizzata all’uomo di tutti i tempi - e perciò anche a quello della nostra epoca. Per ognuno essa ha la sua potenza salvifica e liberatrice. Questa potenza è stata donata alla Chiesa come frutto della morte e risurrezione di Cristo. Eppure, il giorno stesso della risurrezione, Cristo ha detto agli Apostoli riuniti nel cenacolo di Gerusalemme: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).

Come successori degli Apostoli, abbiamo una particolare responsabilità per il mistero della riconciliazione dell’uomo con Dio. Una particolare responsabilità per il Sacramento, in cui questa riconciliazione si compie.

6. Ritorniamo ancora una volta alla lettura dell’Apocalisse. Essa annunzia la vittoria che si compie “per mezzo del sangue dell’Agnello” (Ap 12, 11). In questa vittoria “si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo” (Ap 12, 10). Con questa vittoria “è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa davanti al nostro Dio giorno e notte” (Ap 12, 10).

Nel mistero della riconciliazione con Dio, nel Sacramento in cui si compie questa riconciliazione, l’uomo accusa se stesso confessando i suoi peccati; e mediante ciò toglie la potenza a quell’Accusatore che, giorno e notte, accusa ognuno di noi, e l’umanità intera, davanti alla Maestà del Dio tre volte santo. Infatti, quando l’uomo accusa davanti a Dio se stesso, quella confessione delle colpe, nata dal pentimento, unita nel sacramento della Riconciliazione al Sangue dell’Agnello, porta la vittoria!

7. Venerati e cari fratelli! Dobbiamo affrontare nel corso delle prossime settimane il tema, con il quale si unisce più strettamente la vittoria spirituale dell’uomo: “Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa”.

Quanti campi dell’esistenza dell’uomo nel mondo contemporaneo raggiunge questo tema! Tutti noi ne abbiamo piena consapevolezza. Sappiamo quale scala di minacce si è accumulata sulla vita dell’umanità contemporanea.

La Chiesa dà testimonianza continua della sua sollecitudine per la riconciliazione tra gli uomini e le società: la sollecitudine per il superamento delle potenze distruttive dell’ostilità, dell’odio, della volontà di distruzione.

Questo è come un ampio sfondo, sul quale a noi capita di intraprendere, a misura dei nostri tempi, quella eterna lotta del bene con i male nel punto nevralgico che Cristo ha definito con la parola salvifica del Vangelo e con la potenza pasquale della sua Croce e della sua risurrezione.

Riuniti alla mensa della Parola di Dio e dell’Eucaristia, preghiamo affinché lo Spirito di Cristo guidi i nostri intelletti e i nostri cuori in questo servizio del Sinodo al Popolo di Dio, che iniziamo oggi. Desideriamo legare questo servizio alla preghiera del rosario, alla quale la Chiesa dedica particolarmente il mese di ottobre. In questa preghiera è con noi - come una volta con gli Apostoli nel cenacolo - la Madre del nostro Redentore, che è nello stesso tempo la Madre della Chiesa e Serva del Signore. Insieme con lei desideriamo compiere il nostro ministero episcopale.

Preghiamo ardentemente! E ci accompagni anche la preghiera della Chiesa intera.

 

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