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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SAN MARCO EVANGELISTA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 29 gennaio 1984

 

1. “Considerate la vostra vocazione, o fratelli” (1 Cor 1, 26).

Con questa esortazione si rivolse un giorno l’apostolo san Paolo ai Corinzi nella sua prima lettera, e oggi io desidero ripeterla visitando la vostra parrocchia. Questa esortazione, infatti, è sempre attuale, e se ha già un senso universale, in quanto può essere riferita a ogni uomo, ha però un senso più preciso e ben determinato per noi cristiani. È lecito, perciò, domandarci: qual è la sostanza della nostra vocazione? Che cos’è la vocazione cristiana?

Il fatto che per volontà di Dio “siete in Cristo Gesù” (1 Cor 1, 0); il fatto che Cristo Gesù “per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30); ecco, proprio il fatto che noi siamo “in Cristo Gesù” costituisce il fondamento della nostra nuova grandezza, della nostra nuova dignità, e soprattutto rappresenta la nostra vocazione. È proprio questo essere “in Cristo Gesù” che crea una scala di valori completamente nuova, ben diversa da quella che dispone “il mondo”. L’apostolo mette in evidenza molto bene questo concetto quando, rilevato che la grandezza del cristiano non è né sapienza, né potenza, né nobiltà “secondo la carne”, cioè secondo il comune metro di giudizio degli uomini, dice che tutto per lui si concentra nell’essere “in Cristo Gesù”. Proprio in base e in conseguenza di questa nuova grandezza, derivante da Cristo Gesù, cambia pure radicalmente la fonte della valutazione e della qualificazione di tutto. E se Cristo per il cristiano è il tutto, allora giusta e logica appare la conclusione che l’apostolo esprime con una formula concisa: “Chi si vanta, si vanti nel Signore” (1 Cor 1, 31). Difatti, per la nostra presenza “in Cristo Gesù” quanto di positivo è in noi viene solo da lui!

2. “Considerate la vostra vocazione, o fratelli”. Facendo seguito a questa esortazione, la liturgia odierna ci fa rileggere nel Vangelo, secondo la redazione di san Matteo, la descrizione delle otto Beatitudini. È una descrizione, questa, che è fondamentale nell’economia evangelica: è una descrizione che ha il valore di una legge-quadro per l’ampiezza di impostazione e per l’impegno che esige dal cristiano, deciso a vivere secondo la sua vocazione. Se egli è “in Cristo Gesù”, che per lui è il tutto, allora come potrebbe non aderire a questa legge fondamentale, da Cristo stesso emanata? Come potrebbe fare a meno di attingere da essa - prima ancora di passare ai singoli concreti adempimenti - l’ispirazione globale e, direi, la direttrice di marcia per la sua intera esistenza?

Dovrei, a questo punto, esaminare uno ad uno gli otto articoli di questa legge, che molto significativamente comincia con la povertà in spirito, che vuol dire sincera umiltà, distacco del cuore dai beni terreni, per far posto a Dio, per far posto al suo Figlio, per ricevere da lui ciò che - come ci ha detto l’apostolo Paolo - egli “è diventato” per noi: la sapienza e la giustizia, la santificazione e la redenzione. Rinunciando all’analisi, a me preme di sottolineare qui il valore complessivo di questa legge nell’economia del Regno di Dio.

3. In realtà, il Vangelo delle otto Beatitudini - forse ancor di più di qualsiasi altro testo del Nuovo Testamento - risponde alla domanda: come dobbiamo essere nella vita quotidiana per corrispondere adeguatamente alla nostra vocazione? Oppure, formulando la domanda in altre parole: che cosa significa nella pratica il nostro essere “in Cristo Gesù”? Dobbiamo essere - ecco la risposta - poveri nello spirito, e miti, e disposti al perdono, e puri di cuore, eccetera. Insomma, per esser in Cristo Gesù, dobbiamo essere come Cristo Gesù. Questi, infatti, è il vero protagonista delle otto Beatitudini: egli non è soltanto colui che le ha insegnate o enunciate, ma è soprattutto colui che le ha realizzate nel modo più perfetto durante e con tutta la sua vita. Si può dire che esse costituiscono come un “riassunto” della vita terrena di Cristo, ed è per tale ragione che si presentano anche come un “programma di vita” per i suoi discepoli, confessori, seguaci. E si deve aggiungere, o meglio precisare: esse sono un “programma di fede viva”. Tutta la vita terrena del cristiano, fedele a Cristo, può essere racchiusa in questo programma nella prospettiva del Regno di Dio, del Regno dei cieli, perché - come ci dice il Salmo responsoriale - “Il Signore è fedele per sempre”.

Dunque: il programma della vita umana, della vita terrena del cristiano deve essere basato sull’affidamento alla parola del Dio vivente! A un tale programma ci prepara già la prima lettura, ricavata dalla liturgia dell’Antico Testamento, quando il profeta Sofonia ripete: “Cercate il Signore, voi tutti poveri della terra, che eseguite i suoi ordini .  . .”, cercate “per trovarvi al riparo nel nome del Signore” (cf. Sof  2,3; 3,12).

4. Dato che, per volontà e grazia di Dio stesso, noi “siamo in Cristo Gesù”, dato che siamo appunto cristiani, noi dobbiamo seguire coerentemente questa esortazione sia nel considerare bene la nostra vocazione, sia, soprattutto, nel mantenerci sempre fedeli ad essa. Noi non possiamo “perdere” ciò che siamo. Non possiamo contraddire, con la nostra condotta, col nostro modo di pensare e di valutare, ciò che confessiamo con la bocca.

Per non cadere in una tale contraddizione bisogna che durante tutta la vita, giorno dopo giorno, un passo dopo l’altro, noi ci avviciniamo a poco a poco a questo programma del Regno di Dio, che Cristo ci ha lasciato.

A questo scopo si rivela particolarmente importante la preghiera: intendo la vera preghiera, anche breve e concisa, ma che sia costante e sistematica. Intendo, cioè, una preghiera solida.

Io ritengo, infatti, che la preghiera deve aprire, nella vita di ciascuno di noi, ogni giorno di nuovo, la prospettiva del Regno di Dio, come viene espressamente indicato nelle parole del Padre nostro, dove si invoca l’avvento di questo Regno.

Non basta: la preghiera deve unirci col mistero del Verbo Incarnato e della Chiesa, e ciò appare concisamente nella salutazione angelica, cioè nell’Ave Maria; e deve, ancora, ricordarci le principali verità della nostra fede, quali sono espresse nel Simbolo Apostolico, nonché i fondamentali principi della morale, contenuti nel Decalogo (Comandamento di amore).

Nel ricordarvi e raccomandarvi il significato e il valore di queste singole preghiere, desidero però precisare che noi possiamo e dobbiamo introdurre ancora altri “motivi”, o intenzioni, nelle nostre orazioni quotidiane, pensando per esempio alle nostre particolari necessità, o facendo memoria dei nostri defunti.

Tuttavia, quale che sia la forma prescelta e usata, resta molto importante che nella nostra preghiera noi “consideriamo la nostra vocazione”, e proprio per tale ragione è bene che nel programma della preghiera entrino pure, e spesso, le otto Beatitudini. Questa menzione e, direi, la stessa recita di questo testo fondamentale del Vangelo darà consistenza alla nostra preghiera e ci aiuterà a tener sempre presente la nostra vocazione e quindi ad essere veri cristiani.

5. Sono, questi, i pensieri che ho voluto condividere con voi, cari fratelli e sorelle, in occasione della visita della vostra parrocchia, che prende nome dall’evangelista san Marco. Trovandomi in mezzo a voi, sono lieto di salutare monsignor Clemente Riva, il vostro parroco, i sacerdoti suoi collaboratori e tutte le componenti della Comunità, particolarmente gli appartenenti ai vari gruppi di attività pastorale specifica e alle associazioni cattoliche. Sono molto lieto di sapere che nella vostra parrocchia sono in modo speciale attivi l’Ordine francescano secolare, il Volontariato vincenziano, l’Apostolato della preghiera, il Volontariato ospedaliero e della sofferenza, il Gruppo catechistico e, soprattutto, il Consiglio pastorale. Cari fedeli! Continuate a collaborare volentieri e con amore con i vostri Padri francescani, per aumentare la frequenza alla Santa Messa festiva e ai sacramenti; per approfondire e dilatare i rapporti di carità e di fraternità; per partecipare in sempre più gran numero all’istruzione religiosa; per testimoniare con ardore la vostra fede cristiana! Fate della vostra parrocchia, che conta più di undicimila persone, una sola, ampia, affettuosa famiglia!

6. “Rallegratevi ed esultate, perché grande, è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 12). Mi piace riprendere dal Vangelo delle Beatitudini questo versetto conclusivo, che è come il punto di arrivo delle singole enunciazioni: questo punto è la gioia, e precisamente ad una tale gioia ci invita la liturgia odierna insieme col canto dell’“Alleluia”. È l’invito alla gioia della vocazione cristiana.

Auspico di cuore che questa gioia, cari fratelli e sorelle, trovi il suo quotidiano appoggio nella preghiera e, in ragione della fedeltà allo spirito delle Beatitudini, si compia effettivamente nella vita di ciascuno di voi.

Auspico, altresì, che la vostra parrocchia, dedicata a san Marco Evangelista, sia una comunità viva, nella quale, mediante l’attuazione della vocazione cristiana, possa formarsi e svilupparsi la vostra vita nello spirito delle Beatitudini, e che anche a questo livello comunitario fiorisca tra voi la vera gioia, e quindi la pace, l’unità e l’amore.

“Cercate il Signore, voi tutti, poveri della terra - ripeterò ancora col profeta - ; cercate la giustizia, cercate l’umiltà . . .”. Troverete così riparo, cioè protezione e conforto “nel nome del Signore”.

 

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