Index   Back Top Print

[ IT  - NL ]

VISITA PASTORALE NEI PAESI BASSI

SANTA MESSA PER GLI AMMALATI E GLI HANDICAPPATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

L'Aja (Paesi Bassi) - Lunedì, 13 maggio 1985

 

“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione!” (2 Cor 1, 3).

1. Con queste parole dell’apostolo Paolo e con grande, intenso affetto vi saluto, cari fratelli e sorelle, in questa grande casa dell’amore e della speranza! Do il benvenuto a tutti voi, malati e handicappati, ma anche a voi che li assistite e li curate. Infatti i malati e gli handicappati non sarebbero venuti qui senza la soccorrevole mano tesa di quanti li assistono. Rivolgo un saluto anche ai malati che non sono qui presenti, ma che, per il tramite della televisione, si trovano tra noi. Essi sanno di essere circondati dal calore di quelli che vivono più direttamente accanto a loro.

La prima lettura, tratta dalla seconda Lettera di San Paolo ai Corinzi, mette in evidenza il conforto che proviene dalla fede in Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione. Infatti la fede nell’amore e nella Provvidenza del Padre ci assicura che realmente Dio è vicino a ogni nostra tribolazione, “affinché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione”. E questa nostra fede nasce dalla contemplazione di Cristo, crocifisso per la nostra salvezza. “Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1, 3-5). San Paolo riconosce apertamente le tante tribolazioni che travagliano la sua vita di apostolo, pur in mezzo alle soddisfazioni del ministero, e afferma con piena certezza che sia le sue sofferenze come le sue consolazioni sono conforto e salvezza per i fedeli: “La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione” (2 Cor 1, 7). Queste affermazioni, ricche di profonda spiritualità cristiana, sono un messaggio e un insegnamento sempre valido per i cristiani, che devono essere sempre, specie nei momenti della sofferenza, testimoni della speranza che è in loro.

2. Anche voi tutti, sia con la vostra sofferenza, sia col vostro aiuto amorevole verso i sofferenti, siete chiamati ad essere apostoli e testimoni di Cristo. Qui, nel vostro Paese, penso ai vostri grandi predecessori nella fede: Servazio, Willibrordo, Bonifacio e Plechelmo, Geert Groote, Tommaso da Kempis, i martiri della città di Gorcum, Peerke Donders, Edith Stein e numerosi altri.

Qui penso più particolarmente a Liduina di Schiedam. Sapete come ella, all’età di quindici anni, dopo essere caduta sul ghiaccio, abbia sofferto il martirio inchiodata sul letto per trentotto anni. All’inizio non era certamente più pia dei suoi coetanei; era di natura impaziente. Durante molti anni fu combattuta dentro di sé da questo dilemma: “Perché proprio io?”. Ribellione e scoraggiamento si sono succeduti, fino al momento in cui, guidata dallo Spirito di Dio, ha cominciato a comprendere lungo lo scorrere degli anni questo segreto: le sue sofferenze potevano diventare il cammino dell’amore. Molte persone vennero a renderle visita, non per consolarla, ma per essere loro stesse rincuorate e consolate dalla sua fede e devozione.

Il mio pensiero va parimenti a Tito Brandsma. La settimana scorsa avete commemorato il 40° anniversario della vostra liberazione. Tito Brandsma è uno di coloro che hanno dato la vita per la vostra libertà. Già la testimonianza della sua vita era stata una manifestazione di santità. Anche negli ultimi giorni incoraggiava i suoi compagni di cella dicendo loro: “Noi non siamo chiamati a realizzare nella vita pubblica cose insigni, grandiose, di cui tutto il mondo parli . . . È nostro dovere fare le cose semplici in modo grandioso, con intenzione pura e impegnandovi tutta la vostra personalità”. Espresse così la sua concezione della vita.

3. Ma il mio pensiero va soprattutto al brano del Vangelo secondo San Giovanni che abbiamo ascoltato. Nel discorso dell’ultima cena Gesù avverte gli apostoli delle sofferenze che li attendono, affinché non si scandalizzino, quando esse giungeranno: saranno odiati e scacciati dalle sinagoghe; saranno addirittura uccisi da persone convinte di rendere così onore a Dio! Ma Gesù assicura loro anche la presenza e la consolazione dello Spirito di verità, che procede dal Padre, e che egli manderà per rendere testimonianza alla sua missione di rivelatore e di redentore. Anche gli apostoli dovranno rendergli testimonianza, perché essi sono stati con lui fin dal principio e hanno sentito le sue parole e visto le sue opere (cf. Gv 15, 26-27; 16, 1-6).

Queste parole di avvertimento, di conforto e di esortazione Gesù le rivolge anche a tutti i cristiani. Il Verbo divino, incarnandosi, ha portato la verità e la salvezza, ma non ha eliminato il dolore; ha assicurato la presenza dello Spirito consolatore, affinché chi crede in lui possa accettare totalmente il progetto della salvezza, abbandonandosi con fiducia alla Provvidenza e testimoniando così che proprio nel dolore si vede il valore e il conforto della fede: “Prendete la vostra croce e seguitemi! . . . Venite a me voi tutti che soffrite e siete affaticati, e io vi consolerò!” (cf. Lc 9, 23; Mt 11, 28). Nei momenti del dolore e nei luoghi della sofferenza, dobbiamo sempre ricordare che Dio ha altri criteri di valutazione e che stima e valorizza ciò che è accettato e compiuto nel silenzio, nell’umiltà, nel nascondimento, nella forzata inattività.

4. Qui, fra di voi, il mio pensiero va anche alla vita nascosta di Gesù; trent’anni apparentemente inutili trascorsi nel villaggio di Nazaret, durante i quali egli rimaneva sottomesso ai suoi genitori e cresceva in sapienza e statura e grazia presso Dio e presso gli uomini (cf. Lc 2, 51-52). Non bisogna cadere nell’errore di dar peso alla nostra vita solamente in rapporto a dei risultati tangibili. Nessuna vita è senza valore. Vivere le cose semplici della vita, il lavoro quotidiano in collaborazione con gli altri, la bontà di quelli che assistono il loro prossimo e l’apprezzamento che proviene dagli assistiti, sono fatti che rivestono una grande importanza alla luce della vita di Gesù e che ci trasformano in testimoni della buona novella. Tale è lo spettacolare di cui è impregnata la forza divina nascosta, che ci fa fiorire là dove siamo stati seminati. Siamo invitati ad essere grandi nelle piccole cose. E anche l’atteggiamento di Maria, quando all’annuncio dell’angelo disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38).

Bisogna cercare l’oro nel terreno che è sotto i nostri piedi, e cioè valorizzare quel tipo di vita che il Signore ci ha assegnato. Gli apostoli, dopo l’ascensione di Gesù al cielo, pur nella comprensibile nostalgia della sua presenza, illuminati e fortificati dallo Spirito Santo, hanno affrontato le enormi difficoltà dell’evangelizzazione in un mondo ostile e pagano, accettando persecuzioni, avversità, sconfitte e umiliazioni. San Paolo sovrabbondava di gioia in tutte le sue tribolazioni (cf. 2 Cor 7, 4). Così deve essere per tutti noi, seguaci di Cristo, consolati dalla presenza dello Spirito Santo; così deve essere per voi, infermi e aiutanti, con la serenità e la forza che provengono dalla fede in colui che ci conforta!

5. Anche voi dovete essere il lievito nascosto nella massa, luce per il mondo! Gli uomini guardano come si comportano i cristiani per avere certezze, coraggio, speranza; per trovare in loro e da loro il significato autentico della vita. Voi vivete in un Paese che può vantarsi di possedere un eccellente servizio sanitario e un’eccellente assistenza medica: ospedali moderni, istituzioni sociali per l’educazione speciale degli handicappati, centri ospedalieri e specializzati, medici e infermieri e numerosi altri collaboratori che si impegnano ad espletare i loro compiti con la più grande dedizione, senza dimenticare che dietro il malato c’è sempre la persona umana. Penso ugualmente ai numerosi uomini e donne che hanno fatto in passato questo lavoro di misericordia come volontari, nel vostro Paese o in Paesi lontani, e vi vedo la testimonianza della preoccupazione di Dio per l’uomo sofferente.

È con profondo rispetto e stima che cito anche il lavoro dell’opera “Apostolato dei malati nel mondo” (Wereldziekenapostolaat) che è stato creato sessant’anni fa nel vostro Paese, come pure l’azione di Memisa e Zonnebloem. Molto è fatto per i malati e gli handicappati. Nessuno è in grado di sopportare da solo il suo dolore. Questo affermano i vostri vescovi nella loro lettera pastorale: “Over lijden en sterven van zieken”. In essa sottolineano che un malato ha bisogno, insieme con un trattamento e con delle cure specializzate, soprattutto di compassione e di calore umano. Secondo i vescovi, i membri della famiglia e, in misura non minore, i vicini, gli amici e i volontari possono avere qui un ruolo molto importante. I malati e i sani devono stare insieme.

Resta sempre difficile per gli altri immaginarsi qual è la vostra situazione. Anche quando siete i beneficiari della compassione umana e della cordialità degli altri, siete voi che dovete sostenere la sofferenza e la solitudine.

6. Non si può tuttavia descrivere con delle parole quello che gli uomini, anche nel loro dolore, possono significare gli uni per gli altri. Potete con la vostra esperienza della vita, le vostre preghiere e la vostra gratitudine rendere altre persone felici e così donare un senso profondo a quello che fanno per voi. Vi ho scritto una lettera, l’anno scorso, sul senso cristiano della sofferenza. In questo documento ho spiegato il senso profondo della vostra vita di malati e di sofferenti.

Un uomo che deve sopportare un dolore può sapersi legato, nella fede a Dio, che ha sempre pietà dell’uomo che soffre. Cristo non ha dato una risposta diretta alla comprensibile domanda: “Perché c’è tanta sofferenza nel nostro mondo?”. Tuttavia, con la sua sofferenza, con la sua morte e risurrezione egli ha trasformato la sofferenza umana dall’interno e, si potrebbe dire, l’ha riempita della sua presenza.

Gesù si identifica a tal punto con l’uomo, in particolare con l’uomo che soffre, e con quanti cercano di lenire le sofferenze e di sopportarle, che un giorno dirà: “Ho avuto sete . . . ero straniero . . . ero carcerato, malato” (Mt 25, 35-36), non vedevo via d’uscita, ero solo, ho avuto paura. E malgrado ciò incombe su tutti noi la responsabilità di vigilare per non addolorarci reciprocamente e liberare dalle pene il nostro prossimo. In modo più particolare noi, che ci sappiamo chiamati a seguire i passi del Signore che, ovunque si trovava, non faceva che del bene. Anche noi recitiamo nella preghiera che il Signore stesso ci ha insegnato: “Liberaci dal male”. Sì, liberaci dal male, fonte di sofferenza umana: liberaci dal nostro egoismo che fa soffrire tanta gente; liberaci parimenti dalle sofferenze improvvise. Liberaci dalle sofferenze in tutte le loro forme: catastrofi naturali, persecuzioni, discriminazioni e sospetto. Liberaci dal male per cui gli uomini non partecipano a ciò che la terra ha di buono e di cui dovrebbero giustamente avere parte.

7. È soprattutto in voi, fratelli e sorelle in Gesù Cristo, che la Chiesa vede la sorgente e gli artefici per eccellenza della sua forza divina che si nasconde in essa. Infatti guardando a voi, che partecipate alle sofferenze del Cristo, la Chiesa può rendersi conto se siete capaci di mantenere viva la speranza, che dà senso alle sofferenze sopportate nell’amore; se voi, quali cristiani pieni di gioia, sapete camminare testimoniando la vostra fede sulle orme di Maria, la Vergine venerata, oggi 13 maggio, come Nostra Signora di Fatima, la quale ha percorso il suo cammino con semplicità e con disponibilità costante di fronte a Dio e agli uomini; se voi siete in grado di testimoniare nel corso della vostra vita ciò che ha un carattere passeggero e ciò che compete all’eterno, di discernere tra l’accessorio e l’essenziale.

L’uomo ispirato dallo Spirito Santo deve proprio essere all’ascolto degli altri, consolare, incoraggiare e assumere responsabilità, instaurare la pace e far sorgere una speranza nuova. Il frutto dello Spirito è infatti: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza e dominio di sé (cf. Gal 5, 22). Il luogo dove i frutti maturano porta il germe di una primavera eterna. Possa il Signore aprirvi il cuore (cf. At 16, 14) perché possiate comprendere queste cose. Lo Spirito del Signore vuole consolare e confortare anche voi, come un giorno accompagnò e ispirò gli apostoli e San Paolo nel loro ministero difficile e contrastato.

“Ecco, io sto alla porta e busso, dice il Signore. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20).

Aprite al Signore le porte dei vostri cuori, poiché anche voi dovete essere testimoni della sua presenza e della sua consolazione! La Vergine Maria vi accompagni e vi sostenga con la sua materna protezione.

 

© Copyright 1985 - Libreria Editrice Vaticana



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana