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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN FERDINANDO RE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 27 ottobre 1985

 

1. “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”. Ecco le parole che tutta la Chiesa pronuncia nell’odierna liturgia. Le attinge dal salmo 125, il quale, composto nel contesto storico del ritorno del popolo ebraico dall’esilio e della successiva faticosa ricostruzione, con lieta commozione esprime i sentimenti di un cuore fedele, che non ha mai cessato di credere in Jahvè. Le parole usate manifestano la gioia del Signore, perché il nuovo esodo, che ha riportato gli israeliti nella terra dei loro padri, e le vicende ad esso seguite hanno fatto sperimentare in modo evidente la presenza potente di Dio, del Dio dell’alleanza, il quale si manifesta, educa e salva, guidando, con amore esigente e provvida grazia, le sorti di Israele a magnificenza nuova.

“Grandi cose ha fatto il Signore per noi” - oggi cantiamo insieme anche noi in questa parrocchia di San Ferdinando Re, la quale è una particolare comunità di popolo di Dio, congiunta alla comunità più grande dell’antica e apostolica Chiesa di Roma.

2. Oggi, all’inizio dell’ottavo anno del mio servizio alla Chiesa romana e universale, quale Vescovo di Roma e successore di San Pietro visito questa parrocchia.

Saluto con gioia voi tutti qui riuniti, e lo faccio accompagnato dal cardinale vicario e dal vescovo monsignor Giulio Salimei, il quale ha cura della vostra parrocchia situata nel settore Est.

Un saluto affettuoso rivolgo al parroco, padre Ettore Ricci, e ai suoi confratelli, che con spirito di sacerdotale comunione dedicano generosamente le loro energie a questa comunità cristiana, per renderla sempre più viva e missionaria, sensibilizzando i fedeli ad una fraterna vita ecclesiale.

Un particolare saluto va a voi laici, giovani e adulti, che collaborate nelle varie componenti pastorali e nei “Gruppi di famiglie”. Mentre vi incoraggio a perseverare con dedizione nell’impegno gratuito e concreto verso i fratelli, vi esorto a vivere con sempre maggiore fedeltà la vostra adesione a Cristo, mediante la preghiera e i sacramenti. Da tale familiarità eucaristica che di molti individui fa un corpo solo, perché partecipano dell’unico pane, deriva un autentico servizio agli uomini, sia nel portare loro il “primo annuncio” (cf. Ad gentes, 6-19), sia nell’aiutarli ad accogliere e approfondire la fede della Chiesa mediante la catechesi, sia nel sovvenire con molteplici iniziative alle necessità dei malati, dei poveri e degli anziani, soprattutto di quelli che vivono soli.

3. Seguendo la parola della liturgia dell’odierna domenica, desideriamo meditare le grandi cose che il Signore ha fatto per noi. Ritorniamo con la memoria all’Antico Testamento.

Il popolo di Dio sta a meditare fedelmente la Pasqua: la liberazione dalla schiavitù d’Egitto nei tempi di Mosè. E intendiamo l’odierna lettura del profeta Geremia come preannuncio della liberazione dalla schiavitù di Babilonia.

Questi avvenimenti erano “immagine delle cose future”. Vi era contenuto il preannunzio dei tempi messianici: delle “grandi cose” che Dio aveva in mente di fare agli uomini e che ha fatto per mezzo di suo Figlio, Gesù Cristo.

4. Siamo il popolo di Dio della nuova alleanza. Abbiamo sperimentato queste “grandi cose” e le sperimentiamo costantemente. Il salmo responsoriale ci invita a lasciarci colmare di gioia, mentre pensiamo ad esse. Infatti siamo il popolo del Vangelo, della buona, gioiosa novella della salvezza.

Ecco, il salvatore Gesù Cristo “ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo” (2 Tm 1, 10).

Camminiamo noi in questa luce? Lo cerchiamo sempre di nuovo, affinché le tenebre non ci sorprendano? (cf. Gv 12, 35). Non lasciamo troppo facilmente offuscare questa luce dalle diverse forze delle tenebre, che non mancano?

5. Gesù Cristo ha fatto risplendere la nostra vita umana!

Una splendida illustrazione a queste parole è l’avvenimento ricordato oggi dal Vangelo di Marco. Cristo restituisce la vista a un cieco di nome Bartimeo.

“Rabbuni, che io riabbia la vista!”.

“Va’, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10, 51-52).

E salva costantemente. La fede salva costantemente. Portiamo la luce del Vangelo, gettata sulla nostra vita, nei vasi della fede.

Bisogna vegliare perché questo vaso non venga rotto. Da nessuno. Da nessun programma, da nessuna ideologia, da nessun uomo, da nessuna circostanza, da nessun ambiente.

La fede è il tesoro del cuore umano.

A volte ne rendono testimonianza perfino coloro che non l’hanno. Anche coloro che l’hanno persa, o che non sono arrivati ad essa. E la nostra preghiera sia questa: Signore, aumenta la mia fede (cf. Lc 17, 5); o, come leggiamo altrove nel Vangelo, Signore “aiutami nella mia incredulità” (Mc 9, 24). Preghiamo così, affinché la vita umana non perda per noi il suo senso, il suo senso ultimo.

6. Dio ha fatto grandi cose per noi. Ecco, Gesù Cristo, crocifisso e risorto, divenne “sacerdote per sempre” (cf. Eb 5, 2). Che “è in grado di sentire giusta compassione - come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei - per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore” (Eb 5, 2). Quindi: per noi, sì, ma anche per quelli che sono forse assenti e che infatti sono contrassegnati con il segno indelebile del suo eterno sacerdozio. Per tutti.

Quanti siamo noi riuniti qui oggi in questo tempio? E quanti sono battezzati in questa parrocchia? Battezzati dunque contrassegnati con il segno spirituale, indelebile di Cristo, eterno sacerdote.

Con questo segno distintivo, che consacra in modo perpetuo a Gesù Cristo, l’uomo appartiene a Dio: al Padre, a somiglianza del Figlio, che è morto e risuscitato per ciascuno di noi.

“Grandi cose ha fatto il Signore per noi” ed esse più che visibili esternamente, sono scritte nell’intimo delle anime umane.

7. Torniamo ancora una volta al salmo. Quanto vicine ci sembrano le parole che parlano dei lavoratori della messe:

“Chi semina nelle lacrime / mieterà con giubilo. / Nell’andare, se ne va e piange, / portando la semente da gettare, / ma nel tornare, viene con giubilo, / portando i suoi covoni” (Sal 126, 5-6).

Mietitori. Mietitori e seminatori. L’immagine della vita umana.

Quanto desidererei applicare oggi questa immagine alla storia di ogni uomo. In questa parrocchia. E dappertutto.

Ciascuno è seminatore della propria vita. E ciascuno è mietitore: raccoglie ciò che ha seminato, ciò che ha conquistato lavorando. Che questa raccolta della messe si dimostri beata. Che su ciascuno si compiano le parole del salmo. Che ciascuno ritorni alla casa del Padre “con giubilo, portando i suoi covoni”.

E solo là, a quell’ultima soglia, ciascuno potrà vedere nella piena luce e ripetere con tutta l’anima:

Quanto grandi . . .! Quanto splendide cose ha fatto il Signore per noi”.

Avviamoci a quella soglia del compimento ultimo mediante la fede.

 

© Copyright 1985 - Libreria Editrice Vaticana



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