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PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN BANGLADESH, SINGAPORE, FIJI,
NUOVA ZELANDA, AUSTRALIA E ISOLE SEICHELLES

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA E RITO DELL'INIZIAZIONE CRISTIANA
PER GLI ADULTI NELLO STADIO «QUEEN ELIZABETH II»

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Brisbane (Australia), 25 novembre 1986

 

«Che vuoi che io faccia?» . . . «Rabbuni, che io riabbia la vista!» . . . «Va’, la tua fede ti ha salvato» (Mc 10, 51-52).

Cari fratelli e sorelle.

1. Nello spirito del Vangelo della liturgia di oggi desideriamo riflettere sulla risposta che Gesù di Nazaret diede al cieco: “La tua fede ti ha salvato” (Mc 10, 52). Cos’è la nostra fede? Cos’è la fede del cieco che ridà la salute? Cos’è la fede che porta alla salvezza? E allo stesso tempo, cosa significa dire: io credo? Cosa significa credere in Cristo? Cosa significa essere cristiano, essere cattolico. Ispirato dalla parola di Dio, desidero meditare, insieme a tutti voi, sul quesito fondamentale della fede.

Questo ci unisce ai catecumeni - coloro che si stanno preparando al Battesimo - e agli altri candidati all’ammissione in piena comunione con la Chiesa cattolica. Allo stesso tempo, la fede è un elemento di base per tutti coloro che attraverso il Battesimo sono già entrati nella Chiesa e sono diventati cristiani e cattolici.

2. Lasciatemi dire, innanzitutto, che è una grande gioia essere con voi nella città di Brisbane nel Queensland. Saluto tutti voi nella pace di Cristo: i fedeli della Chiesa cattolica del Queensland e della parte settentrionale del New South Wales, insieme all’arcivescovo Rush di Brisbane e a tutti i miei confratelli vescovi. Mi rallegro della comunione di fede e carità che abbiamo avuto il privilegio di ricevere dal Signore e che trova espressione visibile in questa liturgia. È stata una gioia particolare incontrare e benedire gli ammalati e gli handicappati, che hanno un posto speciale nel cuore di Cristo e che hanno una parte importante nella missione della Chiesa.

Porgo calorosi ringraziamenti anche ai membri delle altre comunioni cristiane che sono presenti. Fratelli e sorelle in Cristo, continuiamo a impegnarci verso quella piena unità per la quale pregò lo stesso nostro Signore e che è così vitale per l’opera di evangelizzazione della Chiesa. Inoltre rivolgo un fraterno saluto a tutti i cittadini di questa parte dell’Australia. Sono felice di essere con tutti voi.

È un particolare piacere per me celebrare questa Eucaristia nella quale la Chiesa sta ufficialmente dando il benvenuto a un certo numero di voi tra le fila dei catecumeni o quali candidati all’ammissione nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Il ripristino del catecumenato o il rito di iniziazione cristiana degli adulti, è certamente uno dei più grandi frutti del Concilio Vaticano II. Mi rallegro nell’apprendere quanto successo abbia avuto il catecumenato in Australia, e in particolare in questa arcidiocesi. Questa è una grazia meravigliosa, e un chiaro segno della rinnovata presenza dello Spirito Santo nella Chiesa. In tutti i tempi e in ogni luogo la Chiesa è mandata a proclamare la buona novella della salvezza e a chiamare gli uomini alla conversione del cuore.

3. Le domande che ho citato all’inizio possono essere collegate a quelle che pone san Paolo nella sua Lettera ai Romani e che sono nella seconda lettura della liturgia di oggi: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? . . . Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà?”. (Rm 8, 31-33) Al centro delle domande di san Paolo vi è l’affermazione fondamentale: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?”. (Rm 8, 35) Egli fa queste domande e questa affermazione perché scrive a uomini che stanno cercando di rimanere fedelmente devoti a Cristo in mezzo alle persecuzioni e alle tribolazioni, e forse ad altri che si stanno preparando a impegnarsi per Cristo nelle medesime circostanze. Il grande apostolo prosegue facendo la fiduciosa affermazione di fede: “Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,37).

Avere fede, credere in Cristo significa riconoscere la sua identità, accettarlo nella sua natura divina e nella sua natura umana, accogliere il suo messaggio, rispondere al suo amore, e decidere di appartenere totalmente a lui. E appartenere a Cristo significa partecipare al “trionfo” che egli riportò sulla morte e sul peccato attraverso la sua morte e risurrezione. Il suo trionfo è un trionfo mediante l’amore; è la vittoria dell’amore.

Iniziamo a partecipare alla morte e risurrezione di Cristo quando riceviamo il sacramento del Battesimo. È in questo modo che iniziamo a partecipare alla vittoria dell’amore. E questo sacramento iniziale di fede è il fondamento di tutta la vita della persona battezzata: il fondamento dell’“essere cristiano”.

4. Perché sono cristiano? Perché ho dedicato tutta la mia vita a Cristo? Queste sono domande che toccano le convinzioni stesse e i valori fondamentali sui quali abbiamo voluto basare i nostri pensieri e le nostre azioni.

La nostra vita si forma sulle scelte che compiamo in risposta alle iniziative di Dio. Ma le iniziative di Dio sono ancor più importanti della nostra risposta. Dio chiama, Dio agisce, e noi rispondiamo. È per questo che siamo cristiani. In Cristo, Dio è con noi, e questo è il significato della parola “Emmanuele”. In realtà, il Padre desiderò tanto essere col suo popolo che ci diede il suo unico Figlio, il suo Figlio prediletto. Nessun dono più grande poteva mai essere fatto. Ed ecco perché san Paolo dice: “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8, 32). In Cristo, il Padre ci ha scelto e ci ha giustificato mediante la sua grazia, dimenticando tutti i nostri peccati e offrendoci la salvezza eterna. “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?” (Rm 8, 35). E l’amore di Cristo giunge a noi attraverso la Chiesa. È per questo amore che ci dedichiamo a nostra volta a Cristo.

5. Vi sono alcune persone che erroneamente suppongono che Cristo possa essere separato dalla Chiesa, che sia possibile dedicare tutta la propria vita a Cristo senza riferimento alla Chiesa. Così facendo esse dimenticano la verità proclamata da san Paolo: “Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (Ef 5, 29-30). Come ho affermato nella mia recente lettera apostolica su sant’Agostino: “Poiché unico mediatore e redentore degli uomini Cristo è capo della Chiesa, Cristo e la Chiesa sono una sola persona mistica, il Cristo totale” (Augustinum Hipponensem, II, 3).

Amare Cristo, dunque, significa amare la Chiesa. La Chiesa esiste per Cristo, al fine di continuare la sua presenza e missione nel mondo. Cristo è lo sposo e il salvatore della Chiesa. Egli ne è il fondatore e il capo. Più arriviamo a conoscere e ad amare la Chiesa, più vicini saremo a Cristo. Voi che siete catecumeni vi renderete conto di questo sempre più chiaramente nelle settimane e nei mesi che verranno. Nel frattempo, oggi vorrei presentare alcune riflessioni sulla natura della Chiesa, perché anche voi ben presto sarete suoi membri.

La Chiesa è veramente un mistero, una realtà umana e divina che merita il nostro studio e la nostra contemplazione, e che tuttavia va molto al di là della comprensione della mente umana. Alcuni simboli ci aiutano a penetrare e comprendere questo mistero della natura intrinseca della Chiesa. Per esempio, san Paolo parla della Chiesa come di “un campo” che è coltivato e reso fertile da Dio (cf. 1 Cor 3, 9). Egli chiama i fedeli “il tempio” di Dio in cui abita lo Spirito Santo (cf. 1 Cor 3, 16-17). Parla della Chiesa come della “sposa di Cristo” che il Signore ama teneramente e per la quale ha dato la propria vita (cf. Ef 5, 21-23). In realtà san Paolo spesso identifica la Chiesa con Cristo stesso, chiamandola il corpo di Cristo (cf. Rm 12, 12 ss.). La chiama anche “la nostra madre” (cf. Gal 4,26) poiché grazie all’amore di Cristo e all’acqua del Battesimo essa dà vita a molti figli nel corso della storia. Tramite questi e molti altri simboli, arriviamo a vedere, in modo limitato ma reale, la grande ricchezza del mistero della Chiesa.

6. La Chiesa è essenzialmente un mistero di comunione. È un segno o sacramento di quell’unità in Cristo della quale parla san Paolo nella seconda lettura di oggi quando dice: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 38-39).

La comunione a cui partecipiamo nella Chiesa è sia verticale che orizzontale: è una comunione con le Tre Persone della santissima Trinità e gli uni con gli altri nel Corpo di Cristo. Essere in comunione implica un profondo rapporto personale di conoscenza e di amore. È questo il tipo di rapporto che il catecumenato mira a promuovere, e dunque comporta molto di più del semplice imparare alcune cose su Dio. Il catecumeno inizia un viaggio verso l’amicizia intima con Cristo, un viaggio che richiede apertura di mente e di cuore alla parola di Dio che dà la vita, un viaggio che richiede una continua conversione del cuore.

Questo viaggio non termina quando il catecumenato è completato. In realtà, il catecumenato non fa che preparare la strada al sacramento del Battesimo, che è il fondamento della comunione nella Chiesa. Nel Battesimo rinasciamo quali figli del Padre; siamo resi amici intimi di Cristo e riceviamo il dono dello Spirito Santo. Questa comunione col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è accresciuta e rinnovata nella celebrazione dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. E anche gli altri sacramenti approfondiranno questa comunione. In particolare il sacramento della Penitenza la accresce la rafforza e ristabilisce l’unione con Dio quando essa è stata infranta dal peccato.

7. La Chiesa che vive come comunione è un segno di unità tra tutti i popoli. La parola stessa “cattolica” significa universale. Per questa ragione la Chiesa cattolica non conosce alcun confine nazionale o culturale. Non può limitare se stessa a una qualsiasi sola razza o lingua. Invece è chiamata a essere veramente universale, una comunità di fede in Cristo che abbraccia i popoli di ogni nazione e cultura sulla terra, e tuttavia rimane sempre una. Così descrive san Paolo l’universalità della Chiesa: “Poiché quando siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 27-28).

Questa comunione organica della Chiesa cattolica è così profonda da rimanere sempre una benché essa sia presente in situazioni molto diverse, in molte diverse Chiese particolari. Ciascuna Chiesa particolare è un’autentica espressione della Chiesa universale e arricchisce l’intero corpo di Cristo attraverso i doni speciali che ciascuna possiede e generosamente mette in comune. Così la Chiesa cattolica che è una è tanto asiatica quanto europea, tanto slava quanto australiana, tanto africana quanto americana, tanto bizantina quanto latina.

Una tale unità e universalità sono doni che richiedono uno sforzo comune e una continua vigilanza. Non solo ci rallegriamo di questi doni, ma dobbiamo anche difenderli e accrescerli. Le Chiese particolari devono dare testimonianza di perfetta unità nella fede e nella comunione ecclesiale. Esse devono lavorare insieme a mantenere inalterato il contenuto della fede cattolica, e allo stesso tempo tradurre questa fede in una legittima varietà di espressioni, in accordo con le diverse culture (cf. Evangelii Nuntiandi, 63-65).

Di particolare importanza è il servizio dell’autorità, e in modo peculiare il ministero del Papa. Poiché il successore di Pietro è incaricato della speciale responsabilità di presiedere a tutto il gregge nella carità, e di proteggere la legittima varietà garantendo allo stesso tempo che una tale varietà non pregiudichi l’unità. Questa è una delle ragioni per le quali io visito costantemente le Chiese particolari, quali quelle dell’Australia, al fine di proclamare la nostra unità in Cristo.

8. Il dono della comunione di cui la Chiesa cattolica si rallegra porta con sé importanti responsabilità nei confronti del mondo, poiché la Chiesa vuole essere per tutti i popoli uno strumento di unita, e riconciliazione.

Le parole del profeta Isaia, nella prima lettura di questa liturgia, definiscono questa missione della Chiesa. Il Signore dice: “Ecco, l’ho costituito testimonio fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni” (Is 55, 4). La Chiesa prende sul serio la sua missione nel mondo. È per questo che il Concilio Vaticano II ha affermato: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo . . . Perciò la Chiesa, che è insieme «società visibile e comunità spirituale», cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (Gaudium et Spes, 40).

Mentre promuove unità e riconciliazione nel mondo, la Chiesa cattolica prega anche e lavora per la completa unità tra i cristiani. Così il dialogo ecumenico e la collaborazione sono una priorità importante nella Chiesa, e una parte essenziale dei suoi sforzi di costruire la famiglia umana nell’unità e nella carità. Poiché la mancanza di piena unità tra i cristiani è di impedimento alla Chiesa nella sua chiamata a essere per tutti i popoli un sacramento di riconciliazione e comunione. Noi possiamo dare un valido contributo al dialogo ecumenico solo se portiamo in esso la ricchezza della tradizione cattolica. Il nostro dialogo sarà autentico e fruttuoso solo se diciamo la verità nell’amore e con fedeltà alla nostra identità. Qualsiasi mancanza di chiarezza in quelle cose che tuttora ci separano non può servire alla causa di Cristo e del Vangelo.

9. Voi che siete catecumeni avete reso pubblico il vostro desiderio di cambiare la vostra vita e di arrivare a conoscere e amare Dio in seno alla comunità cattolica. Voi chiedete alla Chiesa cattolica il dono della fede ed esprimete la vostra disponibilità ad accettare gli insegnamenti del Vangelo quale fondamento della vostra vita quotidiana.

Questo è un giorno di gioia e di speranza per tutti noi nella Chiesa. Siamo desiderosi di aiutarvi a crescere nella fede cristiana. Insieme a voi guardiamo al giorno del vostro Battesimo, Cresima e prima Comunione, al giorno in cui sarete ricevuti in piena comunione nella Chiesa cattolica. Vi consideriamo già parte della casa di Cristo, col diritto a essere nutriti con la parola di Dio e a prendere parte a riti liturgici particolari. Via via che cammineremo insieme a voi, cercheremo di aiutarvi nei vostri sforzi di pregare, di praticare la carità, di avere fiducia in Dio in mezzo alla difficoltà. Cercheremo di aiutarvi ad avvicinarvi a nostro Signore Gesù Cristo e a Maria, che è sua Madre e che riconosciamo quale Madre della sua Chiesa. I vostri padrini avranno un ruolo primario da assolvere in questo processo, ma tutta la Chiesa vi accompagna.

La liturgia della parola di oggi contiene un invito al Battesimo. “O voi tutti assetati venite all’acqua” (Is 55, 1). E il salmo responsoriale riprende lo stesso tema: “Attingete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12, 3). Per mezzo del profeta Isaia, il Signore ci parla degli effetti del Battesimo quando dice: “Io stabilirò per voi un’alleanza eterna” (Is 55, 3).

Questa alleanza è stata saldamente fondata da nostro Signore Gesù Cristo mediante la sua morte salvifica e la sua gloriosa risurrezione. E nel Battesimo essa si rinnova per ciascuno di noi individualmente. A seguito di questa alleanza del Battesimo, nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 39).

Nulla! Per mezzo della fede e del battesimo apparteniamo alla Chiesa di Cristo. E nella sua Chiesa apparteniamo per sempre a Cristo! Per sempre! Amen.


Ai fedeli presenti

Carissimi fratelli e sorelle di Brisbane, ho già visitato la vostra città tredici anni fa, nel 1973. Non speravo proprio di tornare a Brisbane come Vescovo di Roma. Dico questo per esprimere la mia profonda umiltà dinanzi alla volontà e al disegno di Nostro Signore. Voglio poi ringraziarvi per la vostra entusiastica, totale e devota partecipazione alla celebrazione eucaristica di oggi. Grazie a tutti voi, al coro, ai sacerdoti, ai miei fratelli vescovi e una parola speciale ai nostri fratelli e alle nostre sorelle che si preparano a ricevere il sacramento del Battesimo, ai catecumeni. Sia benedetta la Chiesa, attraverso questi candidati al Battesimo e alla piena Comunione nella Chiesa di Gesù Cristo.



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