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CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER GLI UNIVERSITARI ROMANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì, 11 dicembre 1986

 

1. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti lo conquistano” (cf. Mt 11, 12). La basilica di San Pietro ci accoglie stasera per questo incontro ormai tradizionale durante l’Avvento con gli studenti delle Università romane e degli Istituti superiori di cultura, con la partecipazione di rettori e di professori provenienti anche da altre Università italiane. A tutti porgo il mio cordiale saluto con un pensiero deferente anche al signor ministro della Pubblica istruzione.

La vostra numerosa e qualificata presenza, cari rettori, docenti e studenti, è per me fonte di profonda gioia: è, questo, per me un incontro particolarmente caro. L’assemblea eucaristica è sempre e dappertutto, qui sulla terra, l’anticipazione di quel regno, al quale Dio conduce tutto il mondo creato, e in esso soprattutto l’uomo. Lo conduce in Cristo, in colui che è stato “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15). In Cristo si manifesta più pienamente la verità che ci fa conoscere il regno di Dio come dono del Padre e contemporaneamente come un compito. Da qui le parole sui “violenti che conquistano il regno”.

Riunendoci questa sera d’Avvento in questa comunità eucaristica, desideriamo accogliere il regno di Dio come dono: l’Eucaristia certamente è qui, sulla terra, il più grande dono del regno, e allo stesso tempo desideriamo assumerlo come un compito: “Il regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”.

2. Quando Cristo cominciò ad annunziare il regno di Dio in mezzo a Israele, diceva così: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi e fate penitenza” (Mc 1, 15). Allo stesso modo, il Precursore, del quale Gesù aveva fatto l’elogio - “tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista” (Mt 11, 11) - si era espresso precedentemente lungo le rive del Giordano.

Non so se ci rendiamo abbastanza conto che entrando in una comunità eucaristica occorre ascoltare anzitutto proprio questa voce, che esorta alla conversione, e rispondere alla sua chiamata. La conversione è sempre e dappertutto il punto di partenza verso il regno di Dio. Conversione significa entrare in se stessi, ritrovare se stessi nel profondo della coscienza: è un rivolgersi pieni di fiducia verso il Padre. “Ci hai creati per te e inquieto è il cuor nostro, finché non riposa in te”. Così il grande Agostino.

La prima parte della celebrazione eucaristica porta sempre alla considerazione di queste verità.

3. Perciò, all’inizio della liturgia della Messa, prima ci raccogliamo in silenzio. Questo silenzio deve servire alla “conversione” del cuore. Il regno di Dio viene a noi mediante la conversione. Così la conversione diventa quasi un ritmo normale della nostra vita, quasi un costante respiro dell’anima. Viviamo in questa consapevolezza. Viviamo costantemente convertendoci.

A volte, per convertirsi l’uomo deve risvegliare in sé quel “violento”, di cui parla Cristo; “il violento” che agisce quasi contro se stesso - contro la cupidigia, contro la superbia di questa vita, contro il peccato - ha il coraggio di “conquistare” il regno di Dio; di riaverlo nel proprio animo, di conquistarlo di nuovo. Così è stato per Agostino, il figlio di Monica, 1600 anni fa: “inquieto è il cuor nostro, finché non riposa in te”.

4. La Chiesa è il corpo di Cristo: lo è, e nello stesso tempo lo diventa continuamente. La Chiesa diventa corpo di Cristo al ritmo della conversione del cuore, che avvicina al regno di Dio. Per questo il sacramento della Penitenza è tanto importante nella vita d’ogni cristiano. Tutti siamo chiamati a dare a questo sacramento un posto centrale nella nostra vita - specialmente quando “è inquieto il nostro cuore”. Questo è il sacramento, che viene incontro alla inquietudine dei cuori umani, assetati di salvezza.

E se manca questa inquietudine? Se la coscienza si è attutita? Se qualcuno è insidiato dal “peccato contro lo Spirito Santo”? Che cosa fare allora? Allora dobbiamo tanto più implorare da Cristo di “destarci da un sonno profondo”, per ridestare dalle ceneri della coscienza quel “violento”, che è capace nuovamente di “conquistare il regno dei cieli”.

Sono meravigliosi tali risvegli. Diverse volte ho incontrato delle persone che hanno testimoniato conversioni radicali: quasi come quelle di Agostino, o Paolo di Tarso. Tali conversioni nel mondo di oggi sono possibili. E quanto ce n’è bisogno!

5. Radunati nella comunità d’Avvento, procediamo verso il regno, che è in noi e che è costantemente innanzi a noi. È un dono ed è un compito. Procediamo, ascoltando la Parola di Dio e meditandola.

Nell’odierna liturgia Dio ci parla tramite il profeta Isaia, ci parla con le parole del Salmo 144 (Sal 145), infine ci parla con il brano del Vangelo secondo Matteo. Al centro di queste parole e di queste letture è l’esortazione dell’Avvento: “Le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza” (Is 45, 8).

6. L’epoca in cui viviamo sembra lontana da questa esortazione. Non è l’uomo a prepararsi la propria sorte? Egli attende la salvezza che gli verrà dal di fuori della storia propria dell’umanità e del mondo. Sì, si “apra” la terra davanti all’uomo, affinché egli possa conoscerne le ricchezze ed esplorarle. Ma non basta ammirare le bellezze del mondo solamente ed esclusivamente in un “circuito chiuso”: il mondo - l’uomo - il mondo!

Quando il profeta grida perché si “apra la terra”, ha in mente il superamento di questo circuito. Questo circuito infatti non è chiuso. Il mondo porta in sé un incessante riferimento al Creatore, e il cuore umano “è inquieto finché non si fermi accanto a lui. Finché non si ritrovi in lui”.

7. Venendo “dal mondo”, per trovarci in questa comunità eucaristica quali discepoli di Cristo, attraversiamo la soglia. Passiamo da un mondo chiuso intorno all’uomo, a quello che si apre - mediante “il cuore”, mediante il “cuore inquieto” - verso Dio.

La liturgia ci aiuta a superare questa soglia. La parola della rivelazione divina attraverso le letture dell’Avvento schiude davanti a noi la prospettiva del regno. Mette in evidenza il fatto, che l’uomo non vive in un circuito chiuso e rimane sempre attuale l’invocazione dell’Avvento per la venuta del Messia, del Mediatore tra Dio e gli uomini, tra gli uomini e Dio. Del Cristo.

8. Non è lui soprattutto quel santissimo “violento” di tutti i tempi? Un violento che conquista il regno di Dio lungo la storia dell’umanità? In lui: in Gesù, Figlio di Maria, il regno di Dio, il regno dei cieli, è dato più pienamente all’uomo come dono! E allo stesso tempo: in lui, in Gesù Cristo, il Servo del Signore martoriato e crocifisso, lo stesso regno di Dio, il regno dei cieli, è dato all’uomo come compito.

È dato come compito, come nuova alleanza; è dato come compito e come sacramento. È dato come compito, come contenuto del discorso della montagna. È dato come compito, come il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo; come il comandamento dell’amore sociale. È dato come compito, come modello definitivo. Come una nuova civiltà e cultura. Come verità, giustizia e amore. È dato come compito, nella libertà. È dato come compito, come dignità d’ogni persona umana sin dal concepimento e fino alla morte. È dato come compito, come valore della vita e della morte. Come speranza dell’immortalità.

9. Stiamo partecipando all’Eucaristia. Si rinnova il sacrificio della redenzione. Cristo stesso lo rinnova nel sacramento del corpo e del sangue. Ascoltiamo: “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo” (Gv 1, 29). Queste parole le ha già pronunciate Giovanni nel Giordano, quando ha visto per la prima volta Gesù di Nazaret. Le riascoltiamo costantemente nella liturgia. E contemporaneamente: non è lui, l’Agnello di Dio, quel santissimo “Violento” di tutti i tempi che “conquista il regno”? E non conquista proprio perché “toglie il peccato del mondo”? “Conquista” il regno di Dio, il regno dei cieli, per noi! Per ciascuno e per tutti. In lui il regno di Dio diventa un dono definitivo. E contemporaneamente un compito definitivo: di ciascuno e di tutti. La Chiesa, il Corpo di Cristo, si edifica proprio così: con questo dono e con questo compito.

10. L’Eucaristia è la comunione, Cristo ci invita. Dice: prendete e mangiate . . . prendete e bevete . . . questo è il nuovo sacramento nel mio sangue . . . Dice dunque: accettate il dono e assumete il compito! Accettate il regno come un dono datovi nel sacramento pasquale del mio corpo e sangue. E insieme: Assumete questo regno come il compito della vostra generazione. Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura (cf. Mc 16, 15).

Nascano da questa comunione eucaristica i “miti e umili di cuore” e insieme i “violenti” che conquistano il regno. Lo conquistano in se stessi e per gli altri. Per il mondo. Poiché il mondo non è un circuito chiuso. Il mondo è chiamato alla gloria. In Gesù Cristo il regno di Dio è il suo destino.

11. Cari docenti e studenti delle Università romane! Accogliete questa predica d’Avvento del vostro vescovo. Desidero, che nella nostra assemblea eucaristica della liturgia di questa sera, risuonino tutte queste “gioie e speranze” e insieme tutte “le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi” (Gaudium et Spes, 1), che travagliano il vostro ambiente universitario.

E non soltanto in Roma, ma altrove, in Italia, in altri paesi d’Europa e del mondo. Dappertutto. Ne daremo un’espressione possibilmente penetrante nelle intenzioni della Preghiera dei fedeli. Di pari passo vada tuttavia la speranza. Vadano il coraggio e la fortezza di coloro che si “impadroniscono del regno di Dio”: dei santi violenti.

Gesù Cristo ieri e oggi . . . da ogni longitudine e latitudine geografica, da ogni distanza storica, lui - nato nella stalla di Betlemme, crocifisso sul Golgota, risorto - ripete costantemente alle successive generazioni dei suoi discepoli: Non abbiate paura. Io Sono.

Si. Il Signore è vicino. Che la vostra “gioia” per la sua nascita sia piena. Che “nessuno vi tolga questa gioia” (Gv 16, 22).

 

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