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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SANTA CHIARA A VIGNA CLARA-DUE PINI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 22 febbraio 1987

 

“Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo”.

1. Così Dio disse a Mosè, dando i comandamenti al suo popolo. Qui si tratta in modo particolare del comandamento dell’amore verso il prossimo, e l’amore è la contrapposizione dell’odio. Occorre ponderare bene tutte le parole della prima lettura che è stata proclamata (Lv 19, 1-2.17-18), perché vi troviamo come una preparazione al discorso della montagna, che leggiamo nell’odierno Vangelo di Matteo (Mt 5, 38-48).

Nell’insegnamento di Gesù di Nazaret è contenuta un’analoga motivazione del comandamento dell’amore. Infatti il Maestro dice: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). In base a una tale motivazione Cristo proclama l’amore del prossimo, che comprende anche l’amore dei nemici.

2. Questo brano evangelico contiene uno degli insegnamenti più importanti e più caratteristici della morale cristiana: la prevalenza dell’amore sulla giustizia. “Prevalenza” non vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o tanto meno contraddette; al contrario - come ho spiegato nell’enciclica Dives in Misericordia (Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia, 12.14) - l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia; mentre dal canto suo “l’autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia” (Ivi, n. 15).

“Ma io vi dico - afferma Gesù - di non opporvi al malvagio” (Mt 5, 39). Non si tratta qui certamente di acconsentire al male. E neppure ci viene proibita una legittima difesa nei confronti dell’ingiustizia, del sopruso o della violenza. Anzi è a volte soltanto con un’energica difesa che certe violenze possono e debbono essere respinte.

Quello che Gesù ci vuole insegnare innanzitutto con quelle parole, come con le altre che abbiamo letto nel Vangelo, è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza.

3. Ma Gesù ci vuole anche e soprattutto insegnare questa preminenza, che ho detto, dell’amore e della misericordia sulla giustizia.

L’amore cristiano, infatti, promuove tra gli uomini un rapporto più profondo di quello che non possa essere garantito dalla semplice giustizia; e di fatto l’amore, in quanto animato dalla grazia divina, corregge i difetti della giustizia umana e la conduce a una perfezione che da sola non potrebbe raggiungere.

L’amore cristiano, con la sua disponibilità al perdono, con la sua attitudine alla generosità, alla pazienza e alla benevolenza assicura una superiore giustizia nei rapporti umani, garantisce, nelle comunità, una pace e uno spirito di fratellanza, che la giustizia da sola non saprebbe assicurare.

Certamente la disponibilità al perdono, così propria dell’etica cristiana, non cancella l’ordine fondamentale della giustizia: “in ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizioni del perdono” (Ioannis Pauli PP. II, Dives in Misericordia, 14).

Così pure il basilare principio cristiano: “Amate i vostri nemici” (Mt 5, 44) evidentemente non va inteso nel senso di un’approvazione del male compiuto dal nemico. Gesù invece ci invita a una veduta superiore, magnanima, simile a quella del Padre celeste, per la quale, anche nel nemico e nonostante sia nemico, il cristiano sa scoprire e apprezzare aspetti positivi, meritevoli di stima e degni d’essere amati: primo fra tutti, la persona stessa del nemico, creata, come tale, a immagine di Dio, anche se, al presente, è offuscata da un’indegna condotta.

4. Il fondamento ultimo di questa concezione morale del Vangelo ha le radici nell’Antico Testamento, come possiamo vedere dalla prima lettura, e consiste nel riferimento a Dio che è “buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore”. Egli esige sì soddisfazione, e tuttavia è anche clemente, e non ci punisce tanto quanto meriteremmo; è un Dio “pietoso”, perché “sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere”. Così il “Signore ha pietà di quanti lo temono” (Sal 103, 8.14.13), cioè di coloro che si pentono e fanno ritorno a lui. Egli è insomma un Dio di misericordia, la quale è amore che perdona, l’amore che si piega su ogni male come su di una ferita dolente che dev’essere curata. L’amore che è sempre più grande di qualsiasi male: che è sempre capace di andare “oltre” la misura della giustizia e dell’uguaglianza. L’amore che si sente in dovere di dare all’altro non soltanto il “suo”, ma anche molto più del “suo”. Quell’amore per il quale non doniamo solo qualcosa, ma noi stessi.

5. Quindi, anche a uno che si comporta nello spirito di un tale amore è dato di dimostrarsi superiore a qualunque umiliazione possa aver ricevuto. Questa superiorità, questa larghezza d’animo, è la forza specifica dell’amore. Essa suppone una sorgente di bontà in certo qual modo inesauribile, che non si lascia spaventare dai torti ricevuti, che non viene intaccata dalle offese subite. Una specie di sorgente d’acqua pura che sempre rinasce limpida, nonostante il fango che le si possa gettar sopra. Tale è la bontà divina. E noi siamo chiamati a partecipare, sia pure in modo evidentemente limitato, di questa infinita generosità.

Gesù è per noi modello assoluto, a nostra misura, di questa per dir così incoercibile generosità, che nulla è capace di scoraggiare: anzi essa sembra farsi sempre più nobile e delicata, quanto più penosi e pesanti sono gli attacchi che riceve, fino a giungere al vertice dell’estremo sacrificio proprio per coloro che maggiormente ci hanno fatto del male, come dice Gesù sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 33). Mentre poco prima, “nella notte in cui fu tradito”, il divino Salvatore aveva istituito il sacramento dell’amore più sublime e generoso: il sacramento dell’Eucaristia.

6. Desidero ora rivolgere a tutti voi qui presenti un cordiale saluto: al card. vicario, al parroco mons. Giovanni Todescato e ai suoi collaboratori, al consiglio parrocchiale, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e alle catechiste, ai gruppi parrocchiali, in particolare a quello dell’Azione Cattolica e della “san Vincenzo”, agli altri gruppi giovanili e scoutistici.

Saluto di cuore le famiglie, i lavoratori stranieri, numerosi in questa zona, e tutti gli uomini e le donne del lavoro, della produzione e delle varie attività sociali e civili. Saluto con affetto gli anziani, i malati, le persone in difficoltà o che soffrono per qualunque motivo. Saluto anche chi fosse presente pur non riconoscendosi in questa comunità di fede. A tutti l’espressione della mia gioia di essere oggi con voi, di portarvi la parola del pastore della diocesi!

7. La vostra è una parrocchia grande, ricca di attività tese anche ad aiutare altre parrocchie. La vita sacramentale è viva e sentita, soprattutto la Santa Messa e la santa comunione. Numerose sono le opere che si svolgono, grazie a vari istituti, a beneficio dei sofferenti, degli anziani e dei bisognosi. In esse è impiegato un folto numero di persone consacrate, soprattutto di religiose. Ma grande è anche l’impegno dei laici, in modo particolare in attività di carattere sociale, artistico e culturale, che attirano l’attenzione e la collaborazione anche dei non credenti, con la conseguenza di un dialogo rispettoso e costruttivo.

Di tutto ciò mi rallegro vivamente, e vi esorto a proseguire con fiducia e tenacia in questo senso, mentre vi auguro maggiore abbondanza di risultati.

Vi sono certamente, come in tutte le cose di quaggiù, anche dei problemi e dei limiti: la presenza, in special modo, di un certo elevato benessere economico tende purtroppo a mettere in difficoltà, se non in pericolo, l’apertura ai bisogni degli altri. Un certo modo di concepire la cultura - non certo corretto - spinge altri ad escludere dai propri interessi vitali qualunque forma di valore religioso. Esiste anche una certa tendenza all’individualismo e a un offuscamento dell’identità cristiana.

Le ricchezze e la cultura - lo sappiamo bene, cari fratelli - sono fatte di per sé per servire l’uomo e non per asservirlo. Esse sono dono di Dio e a lui devono condurre.

La vostra parrocchia è dedicata a santa Chiara: essa, insieme col suo fratello Francesco, insegni a tutti questa superiore saggezza. Da questi due grandi e immortali maestri dello spirito proviene una particolare “scuola” di seguaci dell’“amore-sino-in-fondo”, ossia di quell’amore evangelico che non si limita a dare a ciascuno ciò che gli spetta, ma gli dona in sovrabbondanza per un bisogno di puro amore.

Impariamo da questa scuola!

8. “Chi osserva l’insegnamento di Cristo, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”. Queste parole della prima Lettera di san Giovanni (Gv 2, 5) in un certo senso riassumono tutto il ricco contenuto dell’odierna liturgia della parola.

Dinanzi a tutto ciò che abbiamo ascoltato, particolarmente nel Vangelo, sull’amore dei nemici possiamo chiederci: come è possibile? Come gli uomini possono essere perfetti come è perfetto il Padre celeste? Questo può sembrare impossibile all’uomo. Del resto l’esperienza quotidiana non riconferma forse un tale dubbio? Non siamo forse sommersi, da diverse parti, dalle notizie che testimoniano contro il Vangelo? Contro il discorso della montagna?

Eppure.

L’uomo è da Dio. E in definitiva Dio rimane la “misura suprema” per l’uomo.

San Paolo dice: “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 21.23).

Così ciò che umanamente è impossibile, diventa possibile in Cristo. In lui la “divina misura” della vita dell’uomo si è rivelata come “umana”.

Ritorniamo sempre a questa misura! Non cancelliamola! Non permettiamo che si offuschi né si ottenebri! È la misura della dignità dell’uomo. La misura del vero bene. La misura della salvezza del mondo.

 

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