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MESSA PER GLI UNIVERSITARI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro - Giovedì, 26 marzo 1987

 

1. “. . . Chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11, 23).

Iniziando col Mercoledì delle Ceneri, la Chiesa ha intrapreso il cammino del digiuno di quaranta giorni. In questo modo essa cerca di imitare Cristo: anch’egli infatti ha digiunato nel deserto per quaranta giorni, preparandosi ad iniziare la missione che aveva ricevuto dal Padre: la missione messianica.

Il luogo del digiuno di Cristo - il deserto - richiama alla memoria la grande esperienza del Popolo di Dio nell’antica alleanza: l’uscita dall’Egitto. Liberati dalla schiavitù del faraone, i figli d’Israele, sotto il comando di Mosè, avanzarono per quarant’anni attraverso il deserto, verso la terra promessa.

Le letture dell’odierna liturgia fanno riferimento a questa peregrinazione, durante la quale Dio provava il popolo da lui eletto, dandogli i suoi comandamenti ed insegnandogli la fiducia e la fedeltà.

“Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Ger 7, 23).

2. Tuttavia, proprio sulla via dell’esodo dalla schiavitù egizia, il popolo eletto si ribellò più volte a Dio, che lo aveva liberato.

Il profeta Geremia ne parla oggi con parole molto severe: “Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi procedettero secondo l’ostinazione del loro cuore malvagio” (Ger 7,24). Il profeta, che vive, come si sa, molto più tardi, abbraccia in retrospettiva tutta la storia del suo popolo, quando scrive: “. . . da quando i loro padri uscirono dal paese d’Egitto fino ad oggi. Io inviai a voi tutti i miei servitori, i profeti . . . sempre; eppure essi . . . non prestarono orecchio . . . Divennero peggiori dei loro padri” (Ger 7, 25-26).

Così il profeta Geremia.

E il salmista ricorda questo luogo, ancora durante la peregrinazione del deserto, dove gli antenati “tentaronoil loro Dio. Ed esclama:

“Ascoltate oggi la sua voce: “Non indurite il cuore, / come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, / dove mi tentarono i vostri padri: / mi misero alla prova, / pur avendo visto le mie opere”” (Sal 95, 8-9).

Quanto sono significative queste parole! L’uomo può “mettere alla prova” Dio! Può “tentarlo”. Sì, può provocarlo con il suo comportamento, con la sua infedeltà, con il suo peccato. Però questo è il Dio dell’alleanza. Il Dio che non solo ha chiamato all’esistenza, non solo ha creato l’uomo libero - ma: ha scelto l’uomo. Per questo “si espone” in un certo senso, per tutto ciò che da parte dell’uomo è contrario alla sua volontà. Alla sua volontà salvifica. Al suo amore.

L’Antico Testamento non esita a parlare di un Dio “geloso” (Es 20, 5).

3. Il cammino che la Chiesa percorre durante i quaranta giorni a partire dalle Ceneri, si riferisce costantemente alla storia dell’antica alleanza, e in particolare al viaggio d’Israele attraverso il deserto. Questo è il tempo di una prova speciale.

Cristo ha concluso il suo digiuno di quaranta giorni, accettando per tre volte di essere tentato. La liturgia l’ha ricordato nella prima domenica di Quaresima. Il Messia - cioè colui che viene “consacrato con l’unzione” dello Spirito Santo - riporta la vittoria sul tentatore: “il principe di questo mondo” e “padre della menzogna” (Gv 8, 44). L’odierna lettura del Vangelo secondo san Luca mostra la continuità di questa vittoria.

Essa appartiene alla missione del Messia, che, conforme all’antichissimo annuncio del Libro della Genesi, entrò nel flusso centrale stesso di quella “inimicizia”, che insieme al peccato ha pervaso tutta la storia dell’uomo sulla terra. Anzi, Cristo in diverse occasioni non esita a ricordare quell’“inimicizia” e ad indicare il “nemico”.

Ne parla l’odierno Vangelo. Gesù è così deciso in questa lotta e così vittorioso, che “alcuni” addirittura lo tacciano di un patto segreto con lo spirito maligno. “È in nome di Beelzebul, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni” (Lc 11, 15). Cristo tuttavia dimostra tutta la contraddizione, tutta l’assurdità di questo sospetto, come leggiamo nella odierna pericope, affermando: “Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio”(Lc 11, 20); in Matteo leggiamo “Io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio” (Mt 12, 28).

4. Così dunque ci troviamo sulla via del regno di Dio. La Chiesa vi rimane costantemente. Però - si può dire - nel periodo di Quaresima essa s’incammina per quella via con una particolare intensità. Per questo, proprio la Chiesa ci dimostra, giorno per giorno, la necessità di combattere tutto ciò che si oppone a questo regno. La necessità di andare alle radici stesse del male.

Questa è in un certo senso una particolare sfida rivolta a mettere in questione la realtà del male, del peccato e specialmente le sue più profonde radici, sia dentro di sé che fuori! Anche se allo stesso tempo egli è braccato così fortemente da questo male!

Da qui un’osservazione di natura “metodologica”: ascoltando il Vangelo, leggendolo, non dobbiamo cedere alla tentazione della “riduzione”. Seguiamo tutto il realismo della parola di Dio!

5. Vale anche la pena di ricordare che tutta la liturgia quaresimale era e continua ad essere, una particolare catechesi destinata a coloro, che si preparavano ed anche oggi si preparano a battesimo. Ai catecumeni.

Così è nelle missioni. E qui, nella Basilica di san Pietro, ogni anno, durante la veglia pasquale, alcune decine di catecumeni adulti - donne e uomini - ricevono i sacramenti dell’“iniziazione” cristiana: battesimo e confermazione, partecipando nello stesso tempo all’Eucaristia e ricevendo per la prima volta il corpo e il sangue del Signore.

Ed ecco, a ciascuno di questi catecumeni il Papa si rivolgerà la notte della veglia pasquale con queste domande:

“Rinunci al peccato, per vivere nella libertà dei figli di Dio?”.

“Rinunci alle seduzioni del male per non lasciarti dominare dal peccato?”.

“Rinunci a Satana, origine e causa di ogni peccato?”.

Queste domande, come vediamo, conservano lo spirito dello stesso realismo che troviamo nell’odierno Vangelo - ed anche in tutta la Bibbia.

La notte della veglia pasquale ci prepara alla manifestazione della vittoria definitiva di Cristo - crocifisso e obbediente fino alla morte - sul male del peccato e della morte. Questa vittoria è nella vita della Chiesa il coronamento di tutto il cammino del digiuno di quaranta giorni. Cristo si presenta davanti agli occhi della nostra fede come colui che è “più forte” non solo del male, della morte e del peccato, ma “più forte” innanzitutto di colui che è l’“artefice” originario del male nella storia dell’uomo.

Nella prospettiva, dunque, di questa vittoria, bisogna intendere anche le parole dell’odierna pericope: “Chi non è con me, è contro di me” - e quelle successive - “e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11, 23).

6. Chiediamoci dunque oggi che cosa significano queste parole per noi, qui riuniti. Il periodo della Quaresima non è per noi tempo di catecumenato nel senso stretto della parola. Abbiamo, infatti, ricevuto, generalmente il sacramento del battesimo nei primissimi giorni della nostra vita, prima ancora di raggiungere l’uso della ragione, e dunque prima di prender coscienza della fondamentale importanza di questo sacramento.

Prima del battesimo eravamo “catecumeni”, ma non abbiamo sperimentato ciò che sin dall’inizio della Chiesa era - e continua ad essere - il catecumenato vero e proprio. In un certo senso, si può dire che questo catecumenato è stato “spostato”, nella nostra vita, a più tardi. Al solo periodo di preparazione alla prima santa comunione? o alla confermazione? In una certa misura, sì. Ma non solo. Noi dobbiamo adempiere con tutta la nostra vita ciò che nell’esperienza cristiana è la preparazione al santo battesimo. Il periodo di Quaresima è, da questo punto di vista, un tempo privilegiato. Già nel Mercoledì delle Ceneri risonava nella santa Messa questa esortazione: “. . . vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio . . . Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (2 Cor 6, 2).

E questa sera Cristo dice: “. . . Chi non raccoglie con me, disperde”.

7. Nel porgere a tutti i presenti un cordiale saluto, rivolgo un grato e deferente pensiero ai magnifici rettori delle università, ai docenti, agli studenti.

Mi piace poi rilevare che, con questa celebrazione eucaristica, si apre anche il convegno promosso dalla Commissione della diocesi di Roma per la pastorale universitaria. Tale convegno, che si prefigge di approfondire i rapporti della Chiesa con l’Università dell’Urbe, è una buona occasione per voi, docenti e studenti, in questo periodo di grazia che è la Quaresima, per rendervi sempre più consapevoli del dono battesimale che avete ricevuto e di portarlo ad una maggiore fruttificazione, conforme alle esigenze poste dall’attività culturale che state svolgendo.

Che lo spirito di questo convegno - per il quale esprimo il mio vivo compiacimento - si ispiri a questo “raccogliere con Cristo” del quale parla il Vangelo di Luca.

Che la vostra presenza di cristiani all’Università di Roma sia questo fermento di sintesi e di riunificazione nella luce della parola di Dio, questo principio di unità e di pacificazione nella verità, che è rappresentato dall’immagine del “raccogliere” usata dal divino Maestro.

Il mondo del sapere e della cultura sente oggi un enorme bisogno di un principio di unità che non coarti le singole discipline, ma anzi le salvi nella loro legittima autonomia. Soltanto Cristo può offrire questo principio supremo di unità. È solo raccogliendo attorno a lui l’umano sapere, che questo trova la suprema sintesi che, con le sue sole forze, non è capace di trovare.

8. Siamo dunque chiamati a “raccogliere con Cristo”. Che cosa vuol dire questo?

“Raccogliere” con Cristo vuol dire approfondire il suo mistero pasquale, che è allo stesso tempo il mistero della redenzione del mondo: della nostra redenzione.

Occorre ritrovare questo mistero in lui - e contemporaneamente in noi stessi.

La redenzione è inscritta in tutta la storia dell’uomo. Nel medesimo tempo essa è inscritta nell’umanità stessa di ciascuno di noi. L’uomo è in un certo senso l’incessante via di questo mistero, che si manifesta e agisce per opera dello Spirito Santo.

“. . . Io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio” - dice Cristo - con “il dito di Dio”; e anche lo Spirito viene chiamato “il dito”: “digitus paternae dexterae”.

Ecco dunque l’obiettivo: ritrovare se stessi sul cammino del digiuno di quaranta giorni - ritrovare se stessi sul cammino del mistero della redenzione.

Sì! Ritrovare se stessi! Cristo “svela” l’uomo all’uomo - come insegna il Concilio, gli indica la sua vera e definitiva vocazione.

“Raccogliere con Cristo” - vuol dire: scoprire questa vocazione.

Identificarsi con essa. Identificarsi con essa sullo sfondo di tutta la lotta tra il bene e il male che invade il mondo.

9. Ora comprendiamo anche il perché dei sacramenti. Perché il battesimo all’inizio del nostro “raccogliere con Cristo”.

Ma anche perché la penitenza, specialmente ora durante la Quaresima! Perché la confessione? “Raccogliere con Cristo” vuol dire: costantemente ritornare, fare dietro-front dalla “dispersione”. “Chi non raccoglie con me, disperde”.

Il sacramento della penitenza è la magnifica misura del passaggio dalla “dispersione” dei tesori interiori della nostra umanità - al “raccogliere”, a “raccoglierli” in uno “con Cristo”.

Allora diventa chiaro anche il rapporto tra la penitenza e l’Eucaristia. Questo è il punto culminante sulla via del “raccogliere in uno” tutti i tesori della nostra umanità insieme con colui che “conosce ogni cosa nell’uomo” (cf. 1 Gv 3, 20) e che “amò sino alla fine” (Gv 13, 1) ciascuno di noi. Proprio l’Eucaristia è l’espressione sacramentale di tutto questo.

10. E ancora una cosa . . .

Sapete che per l’anno in corso è stata fissata l’assemblea del Sinodo dei Vescovi. L’argomento sarà: “I laici e la loro partecipazione nella missione della Chiesa” - uno dei temi fondamentali del Concilio Vaticano II.

“Raccogliere con Cristo” (non “disperdere”) possiede anche un senso ecclesiale. La Chiesa è “il sacramento” del nostro “raccogliere” con Cristo. E in questo senso è il corpo di Cristo - perché “il corpo” è l’organismo, è l’unità, è la vitalità, è anche l’epifania del Dio invisibile nel mondo visibile.

In questo mondo la Chiesa rappresenta la pienezza del cammino dell’uomo dalla “dispersione”: dal “caos” al “cosmo”, all’ordine salvifico in Cristo.

Così dunque in quest’anno siamo chiamati in modo particolare ad inserirci più consapevolmente e in modo più maturo nella missione della Chiesa, che ebbe inizio il giorno di Pentecoste. E all’inizio di questo cammino sappiamo che - insieme con gli apostoli - vi era Maria. E lei costantemente “precede” in questo cammino. Costantemente ci aiuta a “raccogliere” con Cristo. A passare dalla “dispersione” e dal caos, al cosmo, alla “salvifica fusione” di quelle molteplici vie lungo le quali procede l’uomo, nel pensare come nell’agire.

11. Cari partecipanti all’odierno incontro quaresimale. Cari professori e studenti!

Accogliete questa meditazione sulla liturgia di oggi. Nella preghiera dei fedeli cercate di esprimere tutto ciò che concerne o assilla il vostro ambiente universitario.

“Venite, in ginocchio adoriamo il Signore che ci ha creati” (Sal 95, 6). Nell’Eucaristia accogliamo ancora una volta nei nostri cuori il mistero redentivo di Cristo! Il dono del suo amore! Ritroviamo in esso sempre più pienamente noi stessi e la nostra altissima vocazione! Stiamo con lui! Raccogliamo con lui! Superiamo la divisione e la “dispersione”! Raccogliamo!

 

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