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VIAGGIO APOSTOLICO IN URUGUAY, CILE E ARGENTINA

CELEBRAZIONE DELLA PAROLA A TUCUMAN

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Aeroporto «Benjamin Matienzo» a Tucumán (Argentina)
 Mercoledì, 8 aprile 1987

 

1. “Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18).

Con queste parole, san Paolo invitava i cristiani di Roma a levare lo sguardo al di sopra delle difficili circostanze che allora stavano attraversando, e a percepire la insondabile grandezza della nostra filiazione divina, che è presente in noi, anche se non si è ancora manifestata nella sua pienezza (cf. 1 Gv 3, 2). È un bene di tale immensità che tutta la creazione “geme e soffre” anelando di partecipare alla “gloria della libertà dei figli di Dio”, quella “che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18.21-22). Dietro queste rotte ispirate dall’Apostolo, il successore di Pietro è venuto alla terra tucumana per lodare con voi la misericordia di Dio Padre che ha voluto “chiamarci figli di Dio, e lo siamo realmente” (1 Gv 3, 1).

Lo facciamo qui, in questa città di san Michele di Tucuman, che chiamate Culla dell’Indipendenza, perché avete iniziato qui il vostro cammino nella storia come nazione indipendente. Da allora, voi abitanti del Nord argentino vi sentite specialmente legati a questo luogo; e avete coltivato un profondo amore alla vostra patria, sentendo inoltre la responsabilità di custodire la libertà e la tradizione culturale dell’Argentina. Nel cristiano questi nobili sentimenti si radicano nel dono della filiazione divina, e lì trovano anche il loro fondamento, il loro significato e la loro misura. È pertanto molto opportuno che ci riuniamo qui per ringraziare Dio Padre, noi che ci chiamiamo figli di Dio e lo siamo realmente; e la nostra azione di ringraziamento va unita alla nostra preghiera perché tutto nella nostra vita si renda conforme a questa verità essenziale: siamo figli di Dio!

2. In questo contesto, saluto le autorità qui presenti e le ringrazio per la loro presenza a questa celebrazione. La responsabilità politica acquista una nuova vitalità quando ciascuno tiene conto che è figlio di Dio, il che lo porterà a imitare la provvidenza e la bontà di Dio Padre, e pertanto a realizzare iniziative sempre più larghe e generose in favore di tutti.

Saluto con tutto il mio affetto i fratelli nell’episcopato; innanzitutto, l’Arcivescovo di Tucumán, così come i Vescovi delle diocesi suffraganee: Santiago del Estero, Santissima Concezione e Añatuya. E con loro saluto anche tutti i sacerdoti e le religiose e i religiosi qui presenti. In modo speciale il mio saluto si rivolge a tutti i seminaristi. So che c’è stato ultimamente un fiorire di vocazioni tra voi; e ciò ha spinto il vostro Arcivescovo a costruire un nuovo edificio per il Seminario, che è stato recentemente portato a termine. Esorto tutti voi a consolidare nella mente e nel cuore l’ansia di servire Cristo, collaborando con lui nel condurre “molti figli alla gloria” (Eb 2, 10).

Saluto tutti i Tucumani e Santiaghegni che hanno voluto partecipare a questa celebrazione liturgica. Siate degni eredi di quegli uomini e donne che vi portarono il seme della fede. Ringraziamo Dio perché la loro predicazione e la loro testimonianza ha attecchito profondamente tra voi, ispirando cristianamente la vostra vita individuale e sociale. Dovete sentire il sano orgoglio della vostra fede cristiana, della vostra condizione di figli della Chiesa cattolica e di figli di Dio.

3. La nostra condizione di figli adottivi di Dio è opera dell’azione salvifica di Cristo e si verifica in ciascuno attraverso la comunicazione dello Spirito Santo. È, pertanto, una realtà che ha le sue radici nel mistero centrale della nostra fede: la Santissima Trinità (cf. Ioannis Pauli PP. II, Dominum et Vivificantem, 52).

Per altro verso, la filiazione divina interessa la nostra persona nella sua totalità, tutto ciò che siamo e facciamo, tutte le dimensioni della nostra esistenza; e, allo stesso tempo, incide, in modo specifico, sulle realtà in cui si dispiega la vita degli uomini, vale a dire tutto l’universo creato. troviamo lo stile di vita che dobbiamo condurre, affinché tutte le nostre opere siano conformi alla no

In questa prospettiva stra condizione di figli di Dio. San Paolo, infatti, insegna che la predestinazione di figli ha avuto luogo “affinché fossimo santi e immacolati al suo cospetto” (Ef 1, 4); e, per conseguenza “conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8, 29). La filiazione divina è, pertanto, una chiamata universale alla santità; e ci indica inoltre che questa santità deve configurarsi secondo il modello del Figlio diletto, in cui il Padre si è compiaciuto (cf. Mt 17, 5).

Ci troviamo allora nel cuore dei misteri della nostra fede. In questa prospettiva vi invito ora a riflettere con me su due caratteristiche fondamentali di questa filiazione divina: la libertà e la pietà.

4. Nel linguaggio biblico, i concetti di libertà e di pietà appaiono intimamente legati. La libertà, infatti, è la condizione propria dei figli; opposta alla schiavitù dei servi. La differenza fra gli uni e gli altri stava nel fatto che i figli partecipavano all’eredità del loro padre vale a dire ai loro beni e possedimenti. Ciò permetteva loro di vivere nella libertà e nella dignità, senza essere soggetti ad altri uomini per poter sopravvivere.

È logico, allora, che i figli riconoscessero nel padre non solo l’origine della propria esistenza, ma anche della propria libertà e dignità; sentendosi inoltre impegnati a onorarli nella maniera dovuta, e a conservare il patrimonio paterno. E per l’appunto questo onore tributato ai padri, insieme con la fedeltà all’eredità, costituisce la pietà, una virtù che è fondamento dell’amore filiale e racchiude il riconoscimento e la gratitudine verso i padri, insieme con l’obbedienza alle loro indicazioni.

Riferito alle relazioni fra Dio e il suo popolo, tutto ciò acquistava in Israele un significato trascendente. Essere liberi significava prima di tutto non essere schiavizzati dal peccato, non servire divinità estranee o idoli di qualsivoglia forma, compreso il proprio io. E, in positivo, significava la santità; vale a dire la completa dedizione al culto e alla venerazione di Dio. La libertà si basava sul possesso della terra che Dio promise e consegnò agli Ebrei; e anche sulla promessa di una “eredità che non si corrompe, che non si macchia e non marcisce, perennemente fresca” (1 Pt 1, 4), che sarebbe divenuta realtà mediante l’avvento del Messia. Donde la pietà dei figli consisteva nella fedeltà a Dio e nella obbedienza ai suoi precetti e comandi.

Tutto ciò, tuttavia, fu una prefigurazione della libertà di figli di Dio, che Cristo ottenne per noi. “Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Gv 8, 36), aveva detto Gesù agli Ebrei che allora “avevano creduto in lui” (Gv 8, 31). E la stessa cosa dice Gesù oggi a tutti noi; e io stesso lo ripeto a tutti gli Argentini da questa carissima città di Tucumán: “Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero!”.

5. Vorrei, ora, che rapportaste queste realtà all’esperienza storica della vostra patria. Dalla sua nascita come nazione, che fu sancita nella casa di Tucumán, l’Argentina è andata avanti guidata da questo istinto sicuro che collega strettamente la libertà della sua gente alla fedeltà a questo retaggio, costituito dalle vostre terre, dal vostro patrimonio, dalle vostre nobili tradizioni.

Inoltre, tutta la cultura che la Spagna promosse in America fu impregnata di principi e sentimenti cristiani, formando uno stile di vita ispirato a ideali di giustizia, di fraternità e di amore. Tutto ciò ebbe molte e felici realizzazioni nelle attività teologica, giuridica, educativa e di promozione sociale. L’uomo del nord argentino si abbeverò a queste fonti spirituali e perfino le diverse vicende storiche del paese che sorgeva, indussero non pochi dei vostri grandi predecessori a porre nelle mani di Dio e della Vergine il destino che allora si mostrava incerto per il vostro popolo.

Ora vi trovate di fronte a una nuova tappa del vostro cammino nella storia. Dovete percepire la necessità di conseguire una autentica riconciliazione fra tutti gli Argentini, una maggiore solidarietà, una effettiva partecipazione di tutti ai progetti comuni. È realmente una missione grande e nobile quella che avete davanti a voi!

Ma, al di là delle iniziative concrete che dovete promuovere e che sono di vostra competenza, il Papa vuole ricordarvi - in piena consonanza con la vostra stessa esperienza storica - le parole del salmista che abbiamo recitato, meditandole, pochi momenti fa, e che ci inducono a porre lo sguardo e la speranza in Dio:

“Se il Signore non costruisce la casa, / invano vi faticano i costruttori; / se il Signore non custodisce la città, / invano veglia il custode” (Sal 127, 1).

Argentine e Argentini, comportatevi in conformità con la “libertà con la quale Dio ci liberò” (Gal 5, 1), che fornisce il senso, la misura e la consistenza a qualunque altra forma di libertà di dignità umane, e così amerete la vostra patria e la servirete con generosa dedizione.

6. La libertà che ci ha dato Cristo ci libera, come insegna san Paolo, dalla schiavitù degli “elementi del mondo” (Gal 4, 3); vale a dire dalla erronea scelta dell’uomo che lo porta a servire e a farsi schiavo di “divinità che in realtà non lo sono” (Gal 4, 8): l’egoismo, l’invidia, la sensualità, l’ingiustizia e il peccato in qualsiasi delle sue manifestazioni.

La libertà cristiana ci conduce a onorare Dio Padre seguendo l’esempio di Cristo, il Figlio unigenito che, essendo “uguale a Dio”, si fece “simile agli uomini; e nella sua condizione di uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). Il Salvatore ci ha redenti obbedendo al Padre per amore, e “fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5, 7). Gesù portò a compimento il disegno salvifico del Padre animato dallo Spirito Santo. E questo stesso Spirito, che “Dio ha mandato nei nostri cuori, grida: Abbà” (cf. Gal 4, 6). Questa parola “Abbà” era il nome familiare con il quale un bimbo si rivolgeva a suo padre in lingua ebraica; una parola foneticamente molto somigliante a quella che solete impiegare e con la quale perfino vi rivolgete a Dio Padre, chiamandolo Tata Dios, con tanta venerazione e fiducia.

Per Gesù fare la volontà di Dio era l’alimento della sua esistenza (cf. Gv 4, 34) quello che sosteneva e dava significato al suo comportamento fra gli uomini. E lo stesso deve accadere nella vita dei figli di Dio: dobbiamo concepire la nostra esistenza come un atto di servizio, di obbedienza al disegno libero, amoroso e sovrano del nostro Padre Dio! Facendo ciò che Dio vuole, anche con sacrificio, ci investiamo della libertà, dell’amore della sovranità di Dio.

Comprendete che questo è un compito che ci supera; ma non siamo soli; è lo stesso Spirito che “intercede per noi con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26). Dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito Santo, come si richiede ai figli, e far morire in noi stessi le opere del corpo; non vivere secondo la carne, bensì secondo lo Spirito (cf. Rm 8, 4.13-17), ponendoci a servizio “mediante la carità gli uni degli altri” (Gal 5, 13). Le opere della carne si conoscono, dice san Paolo, e menziona, fra le altre: la lussuria, le inimicizie, le risse, le invidie, le ubriachezze (cf. Gal 5, 19-21). I frutti dello Spirito, invece, sono carità, gioia, pace, bontà, mitezza, continenza (cf. Gal 5, 22-23)! E tutto ciò significa libertà. La libertà fu data all’uomo non per fare il male, bensì il bene, per crescere nell’amore. La libertà si realizza attraverso l’amore, l’amore dei nostri fratelli. È questa la vera libertà: senza questa dimensione, etica, spirituale della libertà, una persona umana non è libera veramente. Rimane sottomessa, rimane schiava delle sue passioni, dei suoi peccati. Non è più libertà questa. Si ha libertà quando la persona umana adempie tutto quello che è il bene, come ci insegna san Paolo: il bene maggiore fra tutti i beni è il bene dell’amore, dell’amore di Dio, dell’amore dei fratelli.

7. Lo stile di vita dei figli di Dio deve informare tutte le dimensioni dell’esistenza umana; e pertanto, anche la vostra stessa identità come cittadini, come Argentini, insieme al vostro comportamento a livello individuale, familiare e sociale.

È così perché come ci insegna il Concilio Vaticano II, “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (cf. Eb 4, 15) (Gaudium et Spes, 22)! Tutto il nostro essere e agire di uomini è stato assunto ed esaltato nella persona divina del Figlio di Dio.

Inoltre, Cristo, mediante il dono dello Spirito Santo, ci ha resi partecipi del dominio che egli ha su tutto il creato. A lui obbediscono, “perfino il vento e il mare”, come abbiamo constatato nella narrazione del Vangelo di san Marco (Mc 4, 41), proclamato pochi momenti fa. In lui devono essere ricapitolate tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra (cf. Ef 1, 10); e “quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 28)!

A voi, cattolici argentini, spetta, pertanto il compito di contribuire a che “il mondo intero si incammini realmente verso Cristo” (Apostolicam Actuositatem, 2): restaurare, lavorando con tutti gli uomini, l’ordine delle cose temporali e perfezionarlo senza tralasciare, secondo il valore proprio che Dio ha dato, considerati in se stessi, i beni della vita e della famiglia, la cultura, l’economia, le arti e professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali, etc. (Apostolicam Actuositatem, 7). Contate a questo scopo sulla luce e la forza dello Spirito Santo.

Tra le molte considerazioni che qui si potrebbero fare, il Papa vuole riferirsi a una concreta: la pietà nella vita civile, conosciuta nella nostra epoca come amore per la propria patria o patriottismo. Per un cristiano costituisce una manifestazione, in concreto, dell’amore cristiano; è anche l’osservanza del quarto comandamento, giacché la pietà, nel significato che le andiamo attribuendo include - come ci insegna san Tommaso d’Aquino (S. Thomae, Summa theologiae, II-II, q. 101, a. 3, ad 1) - l’obbligo di onorare i padri, gli avi, la patria. Il Concilio Vaticano II ha lasciato, anche a questo riguardo, un insegnamento luminoso. Dice così: “I cittadini coltivino con magnanimità e lealtà l’amore verso la patria, ma senza ristrettezze di spirito, cioè in modo tale da prendere contemporaneamente sempre in considerazione e volere il bene di tutta la famiglia umana, che è unità con ogni sorta di legami tra razze, popoli e nazioni” (Gaudium et Spes, 75).

Considerate, dunque, che l’amore a Dio Padre, proiettato sull’amore alla patria, vi deve condurre a sentirvi uniti e solidali con tutti gli uomini. Ripeto: con tutti! Pensate anche che la miglior maniera di conservare la libertà che i vostri padri vi lasciarono si consolida, soprattutto, con l’accrescere quelle virtù - come la tenacia, lo spirito di iniziativa, l’ampiezza di vedute - che contribuiscano a fare della vostra terra un luogo più prospero, fraterno e accogliente.

8. Crescete in Cristo! Amate la patria! Compite i vostri doveri professionali, familiari e di cittadini con competenza e animati dalla vostra condizione di figli adottivi di Dio!

So che lo farete. Vedo riflessa nei vostri volti la speranza dell’Argentina che vuole aprirsi a un futuro luminoso e che conta sulla promessa dei giovani, sul lavoro dei suoi uomini e donne, sulle virtù delle sue famiglie, la gioia nei suoi focolari, il fervente desiderio di pace, solidarietà e concordia fra tutti i componenti della grande famiglia argentina.

Affido i vostri nobili aneliti e legittime aspirazioni alla vostra patrona e madre, nostra Signora di Luján, nostra Signora della Mercede. A ciò la imploro di intercedere presso il Figlio amatissimo, mentre con tutto il mio affetto vi imparto la mia benedizione apostolica.

 

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