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VISITA PASTORALE NELLA DIOCESI DI BELLUNO-FELTRE

SANTA MESSA IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SAN GIOVANNI GUALBERTO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Pramarino di San Pietro di Cadore in Val Visdende (Belluno)
Domenica, 12 luglio 1987

 

Beato l’uomo . . . che si compiace della legge del Signore e la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1, 2).

1. Con queste parole del salmo responsoriale or ora recitato, desidero salutare tutti voi, fratelli e sorelle, convenuti in questa mirabile Val Visdende (veramente “Vallis videnda”) per la celebrazione dell’Eucaristia nella festa votiva di san Giovanni Gualberto, patrono degli operatori forestali.

Beato l’uomo che si compiace della legge del Signore, delle opere del Signore, dei segni imponenti della sua presenza nelle meraviglie del creato.

Davanti a questo panorama di prati, di boschi, di torrenti, di cime svettanti verso il cielo, noi tutti ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie delle sue opere, e vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione. Queste montagne, infatti, suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste meraviglie le ha create lo stesso Autore della bellezza. Ora, se siamo colpiti dalla loro presenza e attività, pensiamo da ciò quanto è più potente colui che le ha formate. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia se ne conosce l’autore (cf. Sap 13, 3-5).

2. Desidero salutare il signor card. Marco Cè, qui presente e, con lui, saluto il vescovo della diocesi di Belluno-Feltre, mons. Maffeo Ducoli, l’arcivescovo di Udine, mons. Alfredo Battisti, il vescovo di Treviso, mons. Antonio Mistrorigo, convenuti quassù per questa celebrazione.

Il mio saluto si estende altresì alle autorità dello Stato e della Regione; in special modo al ministro dell’Agricoltura e foreste, on. Filippo Maria Pandolfi, e al presidente della Regione Veneto, professor Carlo Bernini. Saluto ancora i rappresentanti dei paesi e delle comunità montane del Comelico e di tutto il Cadore, in particolare gli operatori forestali delle Regioni Veneto e Friuli, come anche i superiori e i membri del Corpo forestale dello Stato, preposti alla tutela e allo sviluppo di queste foreste.

Un saluto va anche ai turisti convenuti qui per il periodo delle loro vacanze e per un salubre sollievo, a contatto con un ambiente ancora libero dal degrado ecologico che insidia le città e i luoghi di lavoro.

A tutti rinnovo il saluto e l’augurio annunziato all’inizio di questa liturgia: La pace sia con voi. La pace di Cristo, la pace dell’anima, la pace che è suggerita al nostro cuore dalle opere di Dio.

3. Le pagine del libro sacro che abbiamo letto portano la nostra meditazione sulla vita di san Giovanni Gualberto, un santo fiorentino del secolo X, misteriosamente condotto dalla grazia a testimoniare l’eroica carità del perdono e a consacrarsi a Dio nella vita contemplativa. Come è noto, la giovinezza di Giovanni Gualberto, della famiglia dei Visdomini, era stata turbata dall’assassinio del fratello maggiore, Ugo. Il padre e la tradizione sociale del suo tempo, spingevano Giovanni Gualberto a vendicare il delitto con l’uccisione dell’assassino. Egli lo incontrò un venerdì santo; ma fu profondamente sconvolto nel suo proposito di vendetta dall’implorazione del colpevole, il quale, con le braccia in croce, chiedeva pietà in nome di Cristo. Il ricordo della misericordia di Gesù morente ebbe nell’animo di Giovanni Gualberto la forza di un messaggio irresistibile, che lo indusse al perdono e alla conversione. “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” (Lc 6, 27). La tradizione narra che Giovanni Gualberto fu confortato dal Crocifisso con queste parole: “Poiché hai perdonato al tuo nemico, vieni e seguimi”. Dopo avere lottato in Firenze contro la simonia, fino al punto di essere perseguitato per il suo zelo, Gualberto si ritirò nella solitudine di Vallombrosa per dare inizio a una comunità monastica benedettina, qui rappresentata oggi dall’attuale abate. Antiche testimonianze affermano che nella silenziosa foresta dell’Appennino Toscano, fedele al motto della preghiera e del lavoro, egli si applicò, insieme ai suoi monaci, all’orazione e alla coltura dei boschi. Nella dedizione a questa attività prediletta i discepoli di san Giovanni Gualberto intuirono le leggi che presiedono alla conservazione e allo sviluppo delle foreste, e in un’epoca in cui non era possibile parlare di norme forestali, la religiosa e sapiente costanza dei monaci vallombrosani poté tracciare metodi validi per un congruo sviluppo del patrimonio boschivo delle regioni.

4. L’istinto della vendetta, purtroppo tanto radicato nei sentimenti dell’uomo, è stato definitivamente superato e pienamente vinto dalla forza dell’amore che perdona. Il Vangelo oggi ci dice che non solo gli amici, ma anche i nemici devono essere oggetto dell’amore cristiano: “Fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6, 27-28). Il perdono cristiano esige non solo la rinuncia alla vendetta, ma una risposta di amore verso il nemico; non una pura passività davanti all’insulto e al torto, ma la risposta morale più eloquente che si possa dare: l’affetto e la preghiera per chi è nemico. Solo la forza di Dio e la grazia di Cristo possono condurci a questo atteggiamento di amore. La lettura di san Paolo, perciò, ci invita ad attingere “forza nel Signore e nel vigore della sua potenza” (Ef 6, 10).

Ma la conquista della capacità di perdonare e di amare i propri nemici passa attraverso una trasformazione più profonda del cuore. L’esistenza umana ha bisogno di essere guarita e salvata dalla costante tentazione dell’egoismo. Occorre, allora, una conversione assidua, che coinvolge tutte le espressioni della persona: la fatica del pensare, la preoccupazione dell’agire, lo sforzo della volontà. L’aspirazione dell’amore non deve rimanere muta, informe, infeconda, né oppressa e distrutta al momento della prova. Il Signore ci invita, perciò, a liberare costantemente la nostra personalità dalla grettezza e dalla povertà del calcolo, dalle motivazioni interessate che nascondono una insidiosa presenza di egoismo anche in tanti gesti umanitari: “Da’ a chiunque ti chiede . . . Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? . . . Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo” (Lc 6, 30-35). Il vero discepolo di Gesù Cristo ama il suo prossimo “senza sperarne nulla”, in atteggiamento di costante e gratuito dono di sé ai fratelli. “Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo loro . . . Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 31-36).

Può capitare nella vita - come nel caso di san Giovanni Gualberto - che si presentino difficoltà estremamente acute, momenti in cui la logica umana ha bisogno di essere rivoluzionata dalla forza del precetto della carità, circostanze che impongono la necessità di rivedere e purificare la coscienza che l’uomo ha di se stesso e del suo posto nella comunità dei fratelli. È in tali momenti che urge “indossare l’armatura di Dio” (Ef 6, 3), cioè fare delle scelte secondo Cristo, il modello unico del comportamento cristiano. Ciò esige una revisione radicale dei valori, richiede una sorta di seconda nascita, la tenace volontà di percorrere una via simile a quella di Cristo, fino a entrare nello spogliamento della sua croce. Cristo è la fonte di queste scelte: in lui ogni credente si illumina e spera, anche se si sente chiamato ad affrontare una lotta tremenda contro i propri sentimenti e contro la mentalità prevalente nel mondo. Resistete nel giorno del malvagio (cf. Ef 6, 13), ci ha detto san Paolo, cioè in quel giorno e in quei momenti che ci mettono alla prova circa le scelte consequenziali della fede.

Al termine di questo faticoso processo per la coerenza della carità evangelica sta, però, una grande speranza: “Date e vi sarà dato, una misura buona, pigiata, scossa e traboccante” (Lc 6, 38), perché la grandezza del dono sperato è infinitamente maggiore della fatica impiegata per meritarlo.

5. La festa odierna riguarda in modo speciale voi, operatori forestali, per il problema ecologico che è sotteso al vostro impegno.

È noto quanto oggi sia urgente diffondere la coscienza del rispetto per le risorse del nostro pianeta. Tutti ne sono coinvolti, poiché la terra che abitiamo rivela sempre più chiaramente la sua intrinseca unitarietà, sicché le vicende inerenti alla conservazione del suo patrimonio riguardano tutti i popoli senza distinzione. La conservazione e lo sviluppo del patrimonio boschivo in qualsiasi zona è fondamentale per il mantenimento e la ricomposizione degli equilibri naturali indispensabili alla vita. Ciò va affermato ancora di più oggi, mentre ci accorgiamo di quanto sia urgente realizzare una decisa inversione di tendenza in tutti quei comportamenti che portano a preoccupanti forme di inquinamento. Ciascun uomo è tenuto ad evitare iniziative e azioni che possono intaccare la purezza dell’ambiente, e giacché le piante, nel loro insieme, svolgono un ruolo indispensabile sugli equilibri naturali, necessari alla vita in tutti i suoi gradi, la loro tutela e il loro rispetto divengono sempre più un fatto umano di singolare necessità.

È impegno morale per il cristiano avere cura della terra “affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna dell’universale famiglia umana” (Gaudium et Spes, 57).

6. Chiedo a Dio per tutti voi, operatori forestali, e per tutti voi, uomini e donne della montagna, appassionati cultori delle solide tradizioni di queste terre, che le vostre comunità conservino sempre le preziose eredità della cultura che vi riguarda. La gente della montagna possiede il gusto della contemplazione della natura, e con questa una conseguente profonda religiosità, che investe tutti i settori della vita, suscitando laboriosità, spirito di sacrificio, attaccamento alla famiglia e alla propria terra. Può essere che la forza da cui traete il sostentamento vi appaia talvolta dura ed esigente per il lavoro che vi chiede; ma voi amatela come un dono di Dio, come un meraviglioso ambiente nel quale egli si rivela ai vostri occhi nello splendore delle cose da lui create.

Desidero perciò esprimere il mio compiacimento e il mio più vivo incoraggiamento ai responsabili della Regione e dello Stato per tutti gli impegni finora assunti al fine di sostenere e incoraggiare la permanenza delle popolazioni in questa regione montana, nel tentativo di arrestare o almeno ridurre la tendenza ad abbandonare i luoghi d’origine. La montagna non deve spopolarsi, e un sincero plauso va rivolto a tutti coloro che contribuiscono a fare in modo che questi luoghi, conservati e sviluppati secondo le esigenze della loro naturale vocazione, siano una valida fonte di lavoro per l’economia degli abitanti.

Prego, ancora, Dio che voglia mantenere tra di voi le nobili tradizioni di solidarietà e di fraterna carità che da tempi antichissimi regolano le vostre forme di vita sociale. Confermo l’auspicio già espresso ai vostri vescovi nel corso della recente visita “ad limina”: possano le vostre comunità rinsaldare la loro radice etica e spirituale, nel contesto di una identità culturale non attinta al di fuori delle loro tradizioni genuine.

7. Tutto quello di cui viviamo, la natura, la comunità, la cultura, la carità fraterna, tutto ci è stato donato da Dio, come una vocazione che ci sprona a fare in modo che la famiglia umana possa trarne sollievo e gioia. Le intenzioni di Dio, le sue volontà, sono intenzioni di amore, conducono a salvezza esigono comunione, parlano di vita eterna. Nella creazione egli ci ha posti come servitori di una volontà universale di bene e vuole che ogni nostra opera sia utile a tutti, affidandoci il servizio della carità come impegno prezioso del suo paterno amore. Sforziamoci di ritrovare o ricostruire in ogni uomo una personalità veramente cristiana, per poter essere nel mondo cooperatori della bontà di Dio, nostro Padre.

Beato l’uomo che medita la legge del Signore giorno e notte.

Ai fedeli di lingua tedesca

Mit einem herzlichen “Grüß Gott” heiße ich zum heutigen festlichen Gottesdienst auch alle anwesenden Gläubigen deutscher Sprache willkommen. Der gemeinsame Glaube und das gemeinsame Gotteslob verbinden uns in der Kirche über alle sprachlichen und geographischen Grenzen hinweg zu dem einen Volke Gottes. Seid euch, liebe Brüder und Schwestern, als gläubige Katholiken dieser beglückenden Wirklichkeit stets bewußt. Die heutige Begegnung mit dem Nachfolger des Petrus und vielen anderen Mitchristen bestärke euch in dieser frohen Gewißheit und schenke euch neuen Mut, euch auch in den Pflichten des Alltags-in der Familie, am Arbeitsplatz, im öffentlichen Leben-als überzeugte Christen treu zu Christus und seiner Kirche zu bekennen. Das wünsche und erbitte ich euch von Herzen mit meinem besonderen Gebet und Segen.

 

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