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MESSA PER L'AZIONE CATTOLICA ITALIANA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 26 settembre 1987

 

1. “Ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore!” (Fil 2, 11).

Carissimi fratelli e sorelle dell’Azione Cattolica Italiana!

In queste parole di san Paolo si esprime il desiderio fondamentale di ogni cristiano: che il Vangelo possa diffondersi in tutto il mondo, che ogni coscienza possa lodare e ringraziare il nome di Cristo, che tutti gli uomini, in questo unico nome, siano salvi.

Sono parole tratte da un testo famoso nel quale l’apostolo Paolo enuncia il fondamentale principio dell’unità di noi cristiani; dell’unità della nostra missione, della nostra vita, della nostra speranza. Sono parole nelle quali è contenuto il programma della nostra azione. E anche, quindi, dell’Azione Cattolica, questa grande e gloriosa Associazione alla quale voi appartenete.

Siete qui convenuti, davanti alla basilica di San Pietro, da tante parti d’Italia - ragazzi, giovani, adulti e anziani - per pregare col Papa in preparazione dell’ormai imminente Sinodo dei vescovi, che tratterà in modo speciale della vocazione e della missione dei laici, alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, e in questo contesto, anche dell’apostolato specifico di voi laici di Azione Cattolica.

2. Vi saluto con profondo affetto e vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, per la vostra presenza, confortante e incoraggiante, nella quale ravviso un’eloquente conferma della vostra volontà di comunione con tutta la Chiesa che sta riflettendo sulla vocazione e missione dei laici. E ringrazio in modo particolare il vostro assistente generale, mons. Antonio Bianchin, per il cordiale indirizzo che, a nome di voi tutti, ha voluto rivolgermi.

L’iniziativa di riunirvi per riflettere e per pregare nell’immediata vigilia del Sinodo è quanto mai opportuna. Vi esorto a restare uniti con i padri sinodali lungo tutta la durata dell’assemblea e a coinvolgere coi voi nella preghiera le forze più vive delle vostre rispettive diocesi, perché sui lavori della prossima Assise ecclesiale scenda copiosa la luce dall’Alto.

Parafrasando le parole della seconda lettura, mi vien spontaneo di osservare che questo nostro incontro attorno all’altare del Signore è una vera “consolazione in Cristo”, è un “conforto derivante dalla carità”, è il segno di una profonda “comunanza di spirito”, che ci fa gioire tutti nell’unione dei cuori, “con la stessa carità, con i medesimi sentimenti”.

Questa unità e questa gioia si fondano nella comune partecipazione di noi, discepoli di Cristo, alla sua stessa missione: far conoscere il suo nome a tutte le genti, fino alla fine del mondo, “a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 11).

Infatti ogni cristiano in forza del battesimo è chiamato a collaborare al compimento di questa missione, in modo tuttavia diversificato in ragione della partecipazione al sacerdozio di Cristo secondo quelle attitudini o quei carismi che, a tal fine, ha ricevuto da Dio.

3. Nell’adempimento di tale compito - ossia nell’apostolato di evangelizzazione e di santificazione - “i laici - come dice il Concilio (Apostolicam Actuositatem, 6) - hanno la loro parte specifica e molto importante da compiere “per essere anch’essi cooperatori della verità” (Gv 3, 8). Specialmente in questo ordine l’apostolato dei laici e il ministero pastorale (del clero) si completano a vicenda”.

Il ruolo del laico, pertanto, ha una sua propria e insostituibile originalità, irriducibile a quella del ministero ordinato, per una piena e completa attuazione dell’unica e fondamentale missione della Chiesa, che è quella di condurre gli uomini alla salvezza eterna e, in tale prospettiva, di “animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico” (Apostolicam Actuositatem, 5).

La Chiesa, che costituisce in terra il germe e l’inizio del regno di Dio, con la sua azione apostolica purifica, salva e trasfigura il mondo: lo fa annunciando la Parola del Vangelo e amministrando i sacramenti della vita nuova in Cristo; ma lo fa anche promovendo i valori umani autentici nei loro molteplici aspetti e disponendoli ad essere elevati alla dignità trascendente del regno. Così la Chiesa, mediante la sua azione, prepara “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2 Pt 3, 13).

4. Nello svolgimento di questa grande missione di salvezza, il clero e i fedeli laici si aiutano e si completano a vicenda.

Ciò vuol dire che non tutto ciò che fanno gli uni può essere fatto dagli altri e viceversa; vi è tra loro una diversità “istituzionale” che deve armonizzarsi nello svolgimento dell’unica missione fondamentale, redentrice, della Chiesa.

Il prossimo Sinodo contribuirà certamente ad approfondire e chiarire la natura della missione del laico nella Chiesa, in modo tale che cresca un laicato autentico sempre più corresponsabile e capace di esprimersi nella sua specificità. Come lo Spirito Santo opera nei laici? Quanto meglio sapremo rispondere a questa domanda, tanto più comprenderemo che cosa è il laico cristiano.

5. Un importante chiarimento s’attende dal prossimo Sinodo: quello concernente le implicazioni derivanti dalla complementarità reciproca che deve esistere tra laici e pastori, nella costruzione della Chiesa e nell’opera della salvezza del mondo. È certo, tuttavia, che alla miglior attuazione di tale complementarità nulla potrà efficacemente condurre che un costante atteggiamento di disponibilità e di servizio degli uni verso gli altri. Si rivelano da questo punto di vista particolarmente pertinenti le parole che ci ha rivolto san Paolo nella seconda lettura: “Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma piuttosto quello degli altri” (Fil 2, 3-4).

Chi è rivestito d’autorità nella Chiesa deve saper riconoscere in ogni fedele le qualità o i doni che il Signore ha posto in lui, e in tal senso deve sentirlo come “superiore” a se stesso. Applicata a noi pastori la parola dell’Apostolo, significa che dobbiamo prestare ascolto attento ai laici, in ciò che la loro specifica esperienza e competenza può suggerire. E dobbiamo mettere, inoltre, a loro servizio proprio quel dono in base al quale siamo chiamati a prestare un servizio all’interno del popolo di Dio. I laici, a loro volta, devono porsi in atteggiamento di responsabile disponibilità nei confronti dei loro pastori, facendo convergere al bene della Comunità, sotto la loro guida, qualità ed energie di cui dispongono.

Il laico infatti - il Concilio lo ha ricordato con forza - possiede particolari doni dallo Spirito Santo: e questi doni lo mettono nella condizione e diciamo pure nel dovere di cooperare con gli stessi pastori nello svolgimento della comune missione. Il laico non è chiamato a fare di meno e il sacerdote a fare di più; egli è chiamato a fare qualcosa di proprio e di originale, che il sacerdote, normalmente, non può fare, e qualcosa di altrettanto utile alla edificazione della Chiesa. Il Concilio si esprime in questi termini: “I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo” (Lumen Gentium, 33).

6. “A loro particolarmente spetta - dice ancora il Concilio (Ivi, 31) - di illuminare e di ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e Redentore”. Nell’affrontare i problemi dell’ordine “temporale” - che toccano, per esempio, la famiglia, la scuola, il lavoro, l’economia, la cultura, la politica, la società - essi devono assumere “la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero” (Gaudium et Spes, 43).

Circa questi interventi nell’ordine temporale, occorre fare “una chiara distinzione - dice ancora il Concilio (Gaudium et Spes, 76) - tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori”. Queste ultime possono toccare anche l’ordine temporale, quando ci sono in gioco dei valori di fondo, come i diritti inalienabili delle persone, la libertà religiosa e la salvezza delle anime.

A tale riguardo desidero esprimere la mia partecipazione e solidarietà alle preoccupazioni manifestate dalla Conferenza episcopale italiana per quanto concerne le difficoltà che sembrano insorgere circa l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche scelto da un così gran numero di genitori e di giovani. All’impegno pastorale dei vescovi si sente associato il Papa, come vescovo di Roma e come pastore della Chiesa universale.

7. Il Sinodo, nell’approfondire il discorso sulle varie forme di apostolato dei laici, non mancherà di riflettere anche su quella forma specifica di apostolato, che è stata spessissimo qualificata come “collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico” e cioè l’Azione Cattolica. Essa si caratterizza per il concorso di quattro note specifiche: ha come scopo immediato il fine apostolico della Chiesa, al quale i laici collaborano secondo il modo loro proprio agendo a guisa di corpo organizzato, sotto la direzione della gerarchia, che può sancire tale cooperazione anche per mezzo di un “mandato”. Questa fisionomia della vostra Associazione è stata tratteggiata dal Concilio Vaticano II nel n. 20 dell’Apostolicam Actuositatem, un testo fondamentale al quale i soci di Azione Cattolica devono fare costante riferimento nello svolgimento della loro attività apostolica. Questa medesima fisionomia si concretizza nel ruolo degli assistenti ecclesiastici e in modo tutto particolare del vescovo assistente generale, la cui presenza nell’Azione Cattolica è il segno e la garanzia della speciale comunione col Papa e con l’episcopato italiano.

8. Fratelli carissimi!

“Buono e retto è il Signore, / la via giusta addita ai peccatori; / guida gli umili secondo giustizia, / insegna ai poveri le sue vie” (Sal 25,8-9). Quanta ricchezza d’insegnamenti ci offre oggi la Chiesa sul compito dei laici! E altra luce possiamo attenderci dall’approfondimento della parola di Dio.

Ma intanto, però, è urgente la messa in pratica, con coerenza, di quanto già ci viene insegnato nel nome del Signore. In tal modo “agiremo con giustizia e rettitudine, e faremo vivere noi stessi” (cf. Ez 18, 27).

La dottrina del sacerdozio comune dei fedeli, messa in luce dal Concilio, è ricca ancora di meravigliose possibilità. La dignità cristiana del laico ha la sua radice in quel Battesimo che lo rende partecipe “dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo” (Lumen Gentium, 31).

È in questi termini, cari fratelli laici di Azione Cattolica, che il Padre celeste vi manda oggi a “lavorare nella sua vigna”. Non comportatevi come quel figlio che, a un’adesione verbale alla volontà del Padre, non ha poi fatto seguire l’impegno concreto dei fatti. Se davanti alle ardue esigenze della volontà di Dio ci fossero state tergiversazioni e titubanze, non ci si deve tuttavia scoraggiare: il Padre è misericordioso e pronto a perdonarci.

Riprendete dunque con speranza e buona volontà il cammino.
Cristo conta su di voi. Sentite in voi la fierezza di essere chiamati a collaborare al suo disegno di salvezza. Possa così, grazie anche al vostro impegno, affrettarsi l’avveramento dell’anelito presente nel grande cuore dell’apostolo Paolo: “Ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Amen!

 

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