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CONCELEBRAZIONE PER IL XXV ANNIVERSARIO
DELL'APERTURA DEL CONCILIO VATICANO II

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

San Pietro - Domenica, 11 ottobre 1987

 

1. “Il Signore è il mio pastore” (Sal 23, 1).

Quanto sovente la Chiesa pronunzia queste parole! Oggi desidera pronunziarle in spirito di particolare gratitudine e con volontà rinnovata di totale affidamento.

Oggi, 11 ottobre, è infatti il 25° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. E che cosa è stato questo Concilio, se non un’ennesima conferma dell’amore e della vigile sollecitudine del Signore, che è il buon pastore della sua Chiesa?

Nel tempo opportuno egli riunì i suoi servi, i vescovi di tutto il mondo i quali, accogliendo l’appello di Pietro nella persona del suo successore Giovanni XXIII, vennero sul colle Vaticano per intraprendere un comune lavoro a servizio del gregge, loro affidato.

Apparve chiaro, ancora una volta, che il buon pastore conduce il suo gregge ad “acque tranquille”, dove le pecore possono dissetare le loro anime. Apparve chiaro che egli trova per esse i “pascoli erbosi” e che prepara la mensa del Vangelo nel calore della comunità fraterna.

Coloro ai quali fu dato di partecipare, negli anni 1962-1965, ai lavori del Concilio in questa basilica di San Pietro, non dimenticheranno mai quale benedizione sia abitare nella casa del Signore. Quale benedizione sia essere riuniti nello Spirito di verità, che ci insegna costantemente ogni verità e ci permette di sentire sempre di nuovo quella consolazione, che è portata dalla presenza di Cristo, il buon pastore. “Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (Sal 23, 4).

2. Sì, il Concilio Vaticano II è stato un momento singolare, nel quale la Chiesa del nostro tempo ha sperimentato la presenza illuminante e rassicurante del buon pastore.

Il significato fondamentale del grande evento ecclesiale, le sue ragioni, i suoi scopi, le sue speranze furono delineati in quel mirabile discorso che Papa Giovanni XXIII pronunciò venticinque anni fa, propria in questa data, in occasione della solenne apertura del Concilio.

“I Concili Ecumenici - egli affermava - ogniqualvolta si radunano, sono celebrazione solenne della unione di Cristo e della sua Chiesa e perciò portano a universale irradiazione di verità, retta direzione di vita individuale, domestica e sociale; a irrobustimento di spirituali energie, in perenne elevazione verso i beni veraci ed eterni... Questo massimamente riguarda il Concilio: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace”. E spiegava dicendo che “dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, è necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina degna di venerazione, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella elaborazione: e si dovrà ricorrere a un modo di presentare le cose, che più corrisponda a un magistero, il cui carattere è preminentemente pastorale”.

3. In questa prospettiva pastorale i padri del Concilio si sono sforzati di orientare i propri lavori, offrendo alla Chiesa un grandioso corpo di dottrina che tocca un po’ tutti gli aspetti della vita cristiana ed ecclesiale, gettando così nuova luce sulle verità perenni del mistero cristiano.

Meravigliosa è stata la ricchezza di fattori che hanno concorso ai lavori e all’elaborazione di questo Concilio: 2860 padri vi hanno partecipato in rappresentanza delle Chiese presenti ormai in ogni parte della terra.

Anche altre Chiese cristiane e Comunioni ecclesiali hanno voluto partecipare a questo evento inviando loro osservatori.

Non è mancata una presenza del laicato cattolico mediante una significativa rappresentanza di “auditores” e di “auditrices”.

Una vasta schiera di esperti, circa 400 teologi, ha recato il suo valido contributo all’approfondimento dei problemi e alla elaborazione dei documenti. Il Concilio ha potuto così compiere un immenso lavoro di riassunzione del patrimonio dottrinale precedente e, nel contempo, ha tracciato, sulla base di quel patrimonio, un vasto programma di aggiornamento che riguarda pressoché tutti i campi dell’agire cristiano, a livello personale come a livello comunitario. Così che l’insieme degli insegnamenti del Concilio, rettamente inteso e interpretato nel contesto del magistero precedente, può ben dirsi il programma d’azione per il cristiano del nostro tempo.

Non è questo il momento di tentare una sintesi anche solo approssimativa di tanta ricchezza. A questo compito del resto si è già dedicato, in certa misura, il Sinodo straordinario convocato nel 1985, in occasione del ventesimo anniversario di chiusura del Concilio.

4. È una coincidenza significativa che l’odierna liturgia parli di un re che imbandì un banchetto per suo figlio.

In tale banchetto possiamo infatti trovare un’analogia dell’assemblea conciliare. La differenza sta nel fatto che al Concilio gli invitati si recarono volentieri, partecipando di buon grado a quello speciale “banchetto” del Figlio di Dio, il quale vuole essere presente, mediante la potenza dello Spirito Santo, nella comunità dei suoi vescovi, pastori della Chiesa.

E, inoltre, uno dei punti principali dell’insegnamento conciliare non è stata forse la dottrina di una grandiosa esaltazione dell’uomo in Cristo? O - potremmo dire - di una speciale “regalità” dell’uomo?

Quanto eloquentemente testimonia di ciò la costituzione dogmatica Lumen Gentium (Lumen Gentium, n. 36): “Cristo fattosi obbediente fino alla morte, e perciò esaltato dal Padre (cf. Fil 2,8-9), entrò nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1 Cor 15, 27-28). Questa potestà egli l’ha comunicata ai discepoli, perché anch’essi siano costituiti nella libertà regale e, con l’abnegazione di sé e la vita santa, vincano in se stessi il regno del peccato (cf. Rm 6, 12), anzi, servendo Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli a quel Re, servire il quale è regnare. Il Signore infatti desidera dilatare il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici, il regno cioè della verità e della vita, il regno della santità e della grazia, il regno della giustizia, dell’amore e della pace; e in questo regno anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione, per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cf. Rm 8, 21)”.

Quindi, veramente “Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (Mt 22, 2).

E i brani riportati dalla costituzione Lumen Gentium si applicano in modo particolare al Sinodo, che dedica la sua attenzione principale alla vita e alla vocazione dei laici nella Chiesa.

5. In questa domenica desideriamo quindi ringraziare il Signore, buon pastore, per la opera svolta dal Vaticano II, inaugurato 25 anni fa.

Nel corso di questi anni la Chiesa e in essa singole comunità hanno anche vissuto molte prove. Diversi fedeli hanno dovuto “camminare in una valle oscura” (cf. Sal 23, 4), in mezzo a varie tribolazioni che hanno potuto suscitare nei loro animi sentimenti di trepidazione e di paura.

Tuttavia il salmista dice: “Non temerò alcun male, perché tu sei con me” (Sal 23, 4).

E l’Apostolo riprende il medesimo pensiero, quando scrive nella Lettera ai Filippesi (Fil 4, 13): “Tutto posso in colui che mi dà la forza”.

E nelle parole seguenti esprime ancor più pienamente il suo totale affidamento al Signore, quando scrive:

Dio... colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù” (Fil 4, 19).

Veramente, cari fratelli e sorelle, occorre che la Chiesa postconciliare diventi, sempre più, comunità che vive un affidamento totale, sull’esempio del salmista, sull’esempio dell’Apostolo.

6. Non possiamo non richiamare alla nostra memoria un’altra circostanza. Il giorno dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962, era, secondo il calendario liturgico di allora, la festa della Maternità di Maria. Attualmente questa solennità è celebrata il 1° gennaio come ottava di Natale.

Non dimentichiamo quella ricorrenza liturgica, in considerazione anche del fatto che l’odierno 25° anniversario cade nell’Anno mariano.

Il Concilio, del resto, non ha forse arricchito la nostra mariologia con uno splendido capitolo sulla Madre di Dio presente costantemente nel mistero di Cristo e della Chiesa?

Chi è questa “beata che ha creduto” (cf. Lc 1, 45) e che precede l’intero popolo di Dio nella peregrinazione della fede? (cf. Lumen Gentium, 58.63).

È lei, la Madre del nostro Signore e Madre della Chiesa: non è stata forse, Maria, presente e assidua nella preghiera, sin dal primo giorno dell’assemblea conciliare - in questo cenacolo “vaticano” dei tempi nuovi -, così come è stata con gli apostoli nel cenacolo gerosolimitano al momento della venuta del Consolatore, lo Spirito di Verità?

Le analogie sono fin troppo eloquenti.

7. Terminando questa meditazione nella medesima Basilica Vaticana che fu testimone, 25 anni or sono, dell’inizio del Concilio, esprimo - con le parole dell’odierna liturgia - questo fervente augurio indirizzato a tutti i presenti e a tutti coloro che costituiscono la prima generazione postconciliare dei discepoli di Cristo:

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi della nostra mente perché possiamo conoscere qual è la speranza della nostra chiamata” (Ef 1, 17-18).

Sì. Il Signore è il vero pastore.

Il Signore è il nostro pastore. Amen.

 

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