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VISITA PASTORALE NELLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN MELCHIADE PAPA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 8 novembre 1987

 

Risorgeranno i morti in Cristo” (1 Ts 4, 16).

1. Cari fratelli e sorelle, che cosa ci vuol dire la Chiesa nella liturgia della domenica odierna?

Prima di tutto vuole rinnovare in noi la fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna: questa fede che da generazioni professiamo con le parole del Simbolo degli apostoli.

Oggi, maestro di questa fede è innanzitutto san Paolo, il quale ci si rivolge con le parole della Prima Lettera ai Tessalonicesi (1 Ts 4, 13): “Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza”).

La grande moltitudine dei morti non forma soltanto l’eredità della morte. Essa è abbracciata dalla potenza della risurrezione di Cristo: “Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui” (1 Ts 4, 14).

2. Queste parole, nella liturgia della domenica odierna, ci permettono di far riferimento alla solennità di Tutti i Santi e alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, che la Chiesa ha celebrato nei primi giorni di questo mese. Tutto il mese di novembre è quindi un tempo dedicato alla particolare preghiera per i defunti nelle famiglie, nelle parrocchie, in tutta la Chiesa.

È una cosa molto importante per noi - vivi - rileggere ciò che i nostri defunti ci dicono, non soltanto mediante la loro morte, ma soprattutto nel loro essere fondamentalmente congiunti col mistero pasquale di Cristo: con la sua morte e risurrezione.

3. Che cosa ci dicono?

Un’espressione particolare di questo mistero è la figura dello sposo del Vangelo odierno. La parabola delle dieci vergini che, conforme al costume nuziale israeliano, escono incontro allo sposo, contiene in sé un invito affinché noi guardiamo con gli occhi della fede anche alla morte umana, e più ancora alla vita umana, in quanto essa costituisce, in un certo senso, una preparazione alla morte.

Ecco, la morte non è soltanto una necessità biologica, un destino esistenziale e una predestinazione per ogni uomo, vivente su questa terra. La morte è contemporaneamente - alla luce della rivelazione e della fede - un grande incontro.

È l’incontro con lo Sposo. L’incontro in Cristo con Dio, che ha tanto amato ognuno di noi da dare il suo Figlio unigenito perché l’uomo non muoia ma abbia la vita eterna (cf. Gv 3, 16).

Da ciò attinge il suo senso cristiano la preparazione alla morte, e quindi, in un certo senso, tutta la vita dell’uomo sulla terra. Bisogna andare a questo “grande incontro” con la “lampada accesa” (cf. Mt 25, 7).

Chi ci aiuta ad accendere questa lampada? La lampada della fede e dell’amore, la lampada del “grande incontro”, la lampada della vita attraverso la morte? Lo Spirito Santo, che è stato dato alla Chiesa da Cristo, dallo Sposo, mediante la sua morte e risurrezione. È lo Spirito che dà la vita.

4. Proprio questo vuole dire la Chiesa nella liturgia della odierna domenica a noi, viventi ancora su questa terra. Desidera dirci questo, in un certo senso, nel nome dei defunti.

Dice dunque: non permettete che si verifichi una simile situazione: che lo Sposo venga mentre voi siete immersi nel sonno, e le vostre lampade sono rimaste senza luce! Non permettete che lo Sposo “entri alle nozze” in compagnia delle vergini sagge, lasciandovi fuori della porta a causa della pigrizia del vostro spirito! Non permettete che si debba dire: “Non vi conosco” (Mt 25, 12).

Non lo permettete! Non lo rischiate! In altre parole: “Vegliate . . . perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 13).

5. Vegliate! . . . Che cosa vuol dire: vegliate? Sembra che proprio su questo ci voglia intrattenere ancora la Chiesa nella liturgia della domenica odierna. Che cosa significa “vegliate”?

Si potrebbe pensare che “vegliare” significhi soltanto perseverare in attesa; ma questo sarebbe un modo piuttosto passivo che attivo. Invece le parole della liturgia ci fanno capire che “vegliare” vuol dire, ancora di più, “cercare”: cercare Dio, desiderare Dio.

La lettura tratta dall’Antico Testamento ci insegna che cosa significa desiderare la Sapienza, cercarla giorno e notte, faticare per trovarla (cf. Sap 6, 12-14).

Il salmista poi parla direttamente della ricerca di Dio: “O Dio, tu sei il mio Dio, / all’aurora ti cerco, / di te ha sete l’anima mia, / a te anela la mia carne” (Sal 63, 2).

6. Dunque: “vegliare” significa, sì, perseverare in attesa, ma tale perseverare è possibile soltanto in base al principio del “cercare” Dio: in base al principio dell’intimo sforzo della fede, della speranza e della carità; in base all’aspirazione - e a questo lavoro particolare dello spirito umano, che permette di avvicinarsi a Dio e attingere in un certo senso, alla sovrabbondanza del suo Spirito, nel Cristo crocifisso e risorto.

7. Accogliete questo messaggio della liturgia della domenica odierna, cari fratelli e sorelle della comunità della parrocchia di San Melchiade, che partecipate numerosi a questa celebrazione, insieme col card. vicario al quale va il mio saluto cordiale.

La vostra parrocchia è una comunità nuova e tuttora in pieno sviluppo. Forse non sono pochi tra di voi coloro che ricordano i primi insediamenti in questo territorio, quando ancora non esisteva un piano regolatore e mancavano quasi tutti i servizi necessari a un quartiere. Allora la borgata, cresciuta spontaneamente per l’affluenza di tante persone da varie regioni d’Italia, usava di una piccola cappella come povero e umile punto di riferimento. Era allora parroco mons. Marino Pallone scomparso di recente, al quale va la riconoscenza di quanti hanno potuto sperimentarne le doti di pastore zelante e generoso. Saluto il suo successore don Enrico Ghezzi e il giovane sacerdote che collabora con lui, auspicando che l’opera iniziata da chi li ha preceduti possa essere validamente proseguita.

La comunità si è, nel frattempo, accresciuta. Altre case sono sorte e ora già nuovi grandi edifici annunciano l’arrivo di altre persone, di altri fratelli con i quali fare comunione in seno all’unica Chiesa. Ecco, è questa chiesa di pietre, costruita poco più di dieci anni fa, che costituisce il segno della presenza in mezzo a voi di Cristo che convoca il suo popolo che ama gli uomini, che desidera far giungere loro la sua parola; di Cristo il quale vuole fare di tutti voi l’edificio di Dio, il suo regno spirituale e perfetto, una comunità di uomini che sa attendere il suo ritorno.

Sappiate formare attorno a Cristo una comunità unita e concorde, anche se provenite da differenti tradizioni religiose, da molteplici esperienze di vita parrocchiale. Tale fatto, invece di creare difficoltà per la formazione di una comunità omogenea e concorde, potrà essere un’autentica ricchezza, un motivo di convergenza e una ragione forte per la solidarietà spirituale. Ciò avverrà se vorrete moltiplicare le occasioni d’incontro e di conoscenza tra di voi.

Forse le prime famiglie, qui arrivate, trovarono nella fatica e nel lavoro l’incentivo alla loro solidarietà. Oggi c’è una missione da compiere per aiutare ogni uomo a non emarginarsi nel contesto di una convivenza più fortunata, ma non meno bisognosa di aiuti morali. Il Signore rivolge quindi a tutti voi l’appello di divenire tempio dello Spirito affinché siate per tutti l’eco della viva voce di Gesù nell’opera di evangelizzazione del vostro quartiere.

Saluto pertanto con affetto tutti coloro che servono la Chiesa nella catechesi, specialmente nella preparazione dei fanciulli e dei ragazzi alla Comunione e alla Cresima, dei giovani al sacramento del matrimonio, delle famiglie al Battesimo dei figli. Mi compiaccio anche per i gruppi della catechesi agli adulti e formulo voti affinché si moltiplichino tali gruppi di adulti, che insieme meditano la Sacra Scrittura.

Il mio particolare pensiero va ai giovani dell’Azione Cattolica, ai ragazzi dell’ACR e a tutti coloro che dedicano tempo e impegno per la formazione della gioventù.

Saluto anche le suore collaboratrici della parrocchia, le Oblate del Sacro Cuore; le suore del Calvario, che curano l’asilo, e le suore di Maria SS.ma Consolatrice, che si dedicano alla Casa di riposo.

A tutti voi il mio incoraggiamento e la mia benedizione perché la missione che compite in questa zona di Roma sia confortata dalla grazia di Cristo. Siate tutti missionari della voce del Signore che chiama ogni fedele a essere suo apostolo. È mediante la vostra testimonianza che Gesù Cristo sollecita ogni uomo ad essere vigilante, a tenere accesa la lampada della sua fede, fino al giorno dell’incontro con Dio nell’eternità.

8. “Così ti benedirò finché io viva, / nel tuo nome alzerò le mie mani” (Sal 63, 5).

Cari fratelli e sorelle! Accogliete insieme con l’odierna visita del vescovo di Roma questo eloquente messaggio del mese di novembre:

del mese di Tutti i Fedeli defunti,

del mese di Tutti i Santi,

del mese di Cristo-Re.

 

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