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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DEL SACRO CUORE DI GESÙ

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 29 novembre 1987

 

Tu, pastore d’Israele, ascolta” (Sal 80, 2).

1. Fratelli e sorelle, eccoci alla prima domenica di Avvento. La liturgia della Chiesa ascolta la voce dell’antica alleanza. Questa voce risuona nel salmo responsoriale con un fervore particolare: Avvento vuol dire venuta, vuol dire pure attesa.

Il Salmista grida:

“Tu, pastore d’Israele, ascolta . . . Risveglia la tua potenza e vieni in nostro soccorso” (Sal 80, 2-3).

E poi risuona lo stesso grido che sale direttamente dal cuore, sale dal profondo delle esperienze degli uomini dell’antica alleanza:

“Dio degli eserciti, volgiti, / guarda dal cielo e vedi / e visita questa vigna, / proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, / il germoglio che ti sei coltivato” (Sal 80, 15-16).

2. Parlare così, può soltanto un uomo consapevole dell’alleanza con Dio. Consapevole della scelta. Consapevole del fatto che Israele è il gregge del divino Pastore. Perciò non grida soltanto “vieni!”, ma “volgiti!” e “visita!”. Chiede che Dio, con la stessa potenza che ha dimostrato nei momenti decisivi della storia del suo popolo, entri di nuovo in questa storia. Per proteggere la vigna che lui stesso ha piantato. Per venire in soccorso.

Il linguaggio del Salmo è poetico, metaforico. Ma il significato delle parole univoco. Il Salmo è preghiera per la nuova venuta di Dio, che si è legato con Israele col vincolo dell’alleanza.

Perché una nuova venuta? Perché l’eredità dell’alleanza è minacciata fra gli uomini. il Salmista grida: “Da te più non ci allontaneremo, ci farai vivere . . .” (Sal 80, 19).

3. Prima domenica di Avvento. Prendiamo in prestito queste calde parole dell’Antico Testamento: l’Avvento infatti è sempre il periodo di un tale grido a Dio - sia nell’antica come nella nuova alleanza. Ovunque e sempre, dove l’uomo grida a Dio “vieni!”, si rinnova l’Avvento.

Questo non è un grido nel vuoto. L’uomo che grida a Dio “vieni . . . volgiti . . . visita!” è consapevole che Dio non è soltanto colui che esiste in se stesso, sopra e oltre il mondo, ma è colui che si muove verso il mondo creato, verso l’uomo in questo mondo.

Proprio questo annunzia il profeta Isaia nella splendida prima lettura della liturgia odierna:

Tu vai incontro a quanti praticano la giustizia / e si ricordano delle tue vie” (Is 64, 4).

E quando non “pratichiamo” questa giustizia, quando ci dimentichiamo delle “vie del Signore”, allora - leggiamo - “Dio nasconde il suo volto da noi e ci mette in balia della nostra iniquità” (cf. Is 64, 6).

È proprio questo spaventa il profeta. Ha paura di questa indifferenza da parte dell’uomo, perché, in pari tempo, ha paura che Dio si allontani, e le nostre iniquità “ci portino via, come il vento porta via le “foglie avvizzite” (cf. Is 64, 5).

4. È profondamente penetrante questo dialogo del profeta con Dio. Con colui che è Dio del continuo Avvento, che sempre “va incontro”. Isaia ne è certo, nonostante tutti i peccati e le apostasie dell’uomo. Perciò grida:

“Ma, Signore, tu sei nostro padre. / Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, / tutti noi siamo opera delle tue mani” (Is 64, 7).

Il Dio di Isaia è creatore. Creando “è andato incontro” al suo creato, “è andato incontro all’uomo” nel mondo. Non si è fermato a distanza, indifferente nei confronti di ciò che ha creato e di chi ha creato.

“Orecchio non ha sentito, / occhio non ha visto - confessa il profeta - / che un dio, fuori di te, abbia fatto tanto / per chi confida in lui” (Is 64, 3).

Sì. Il Dio di Isaia, Dio d’Israele e Dio della rivelazione, è pure il Dio “per” il mondo, il Dio “per” l’uomo. Cristo dirà un giorno di lui, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché l’uomo non muoia” (cf. Gv 3, 16), ma abbia la vita eterna.

5. Fratelli e sorelle, la nostra consapevolezza dell’Avvento cresce sul terreno della rivelazione dei Dio dell’alleanza. È Dio che desidera la salvezza dell’uomo: “Da sempre ti chiami nostro redentore”, dice il profeta (Is 63, 16). E, preso da una santa “spavalderia”, come un tempo Mosè sui versanti del Sinai, grida:

“Se tu squarciassi i cieli e scendessi! / Davanti a te sussulterebbero i monti” (Is 63, 19).

È un grande grido dell’anima umana. Un grido perenne. Isaia esprime il desiderio che travaglia più profondamente lo spirito umano. Questo desiderio dirige l’uomo verso l’Avvento definitivo.

6. Nella seconda lettura, tratta dalla Prima Lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi, si parla dell’Avvento che si è già compiuto come “grazia che ci è stata data - a noi uomini - in Cristo Gesù”. In lui “siamo stati arricchiti di tutti i doni: nessun dono di grazia ci manca”. Al tempo stesso siamo tuttora in attesa della “manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (cf. 1 Cor 1, 4.5.7).

L’Avvento della nuova alleanza rende testimonianza a ciò che è già stato compiuto, a colui che già si “è fatto carne” e nello stesso tempo in modo nuovo ci prepara ancora alla venuta del “giorno del Signore nostro Gesù Cristo”(cf. 1 Cor 1, 8). All’ultimo giorno. Viviamo dunque tra un “già” e un “non ancora”.

Contemporaneamente l’Apostolo sottolinea che Dio, il quale ci ha chiamati alla comunione con suo Figlio, “è Dio fedele” (cf. 1 Cor 1, 9).

Si può dire, ritornando alle parole di Isaia, che egli “ha già squarciato i cieli ed è sceso” (cf. Is 63, 19), e contemporaneamente che, nella comunione con lui, noi aspettiamo ancora l’Avvento definitivo: il definitivo squarciarsi dei cieli alla fine del mondo.

7. Perciò la parola centrale del Vangelo diventa la parola “Vegliate”:

“Vegliate perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà”.

“Siate attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso” (Mc 13, 35.33).

Questo “vegliate” evangelico, anno per anno, assume sempre di nuovo un significato attuale.

E benché il tempo dell’antica alleanza sia già passato e la profezia di Isaia si sia avverata, tuttavia si può, e si deve, ulteriormente ripetere, sugli uomini della nostra epoca, ciò che una volta disse il profeta:

“Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?” (Is 63, 17).

Indurito: l’uomo della nostra epoca non cessa forse di essere sensibile a Dio? Non si adegua forse a un programma di vita, concepito come se Dio non esistesse?

8. L’esperienza del “cuore indurito” nell’uomo del nostro tempo, rende più urgente, questa sera, una domanda: qual è la vocazione e la missione di una parrocchia dedicata al Cuore di Cristo in uno dei centri più dinamici di Roma, crocevia di speranze e culture, di istituzioni e iniziative?

A cento anni dalla dedicazione di questo glorioso tempio, sorto grazie alla volontà di due Papi, nonché di vari vescovi del mondo e del loro clero, ma soprattutto all’impegno generoso di san Giovanni Bosco - ormai giunto alla sera della sua vita - e della Società salesiana, è opportuno fermarsi un momento, all’inizio dell’Avvento, per riscoprire insieme il progetto di Dio su questa porzione del suo popolo.

Due particolari mi sembrano significativi nella storia di questa basilica. All’indomani dell’unità d’Italia don Bosco la volle più lunga del previsto; nel 1929, poi, alcuni ex allievi salesiani la resero più alta collocandovi la statua del Redentore. Due segnali storici e architettonici che oggi ci consegnano una realtà di servizio e di fede: una chiesa in crescita orizzontale e verticale, come luogo di fraternità nello spazio e nel tempo e come costante richiamo alla paternità trascendente di Dio. Qui si rispecchia il “genio dell’umile sacerdote”, don Bosco: offrire a Roma e al mondo, in obbedienza alla volontà del Papa e con proprio non lieve sacrificio, una chiesa emblematica, che attraverso il messaggio del cuore di Cristo si faccia “casa di fratelli” perché “casa del Padre”.

9. Dalla basilica alla comunità parrocchiale.

In mezzo a una popolazione residente di tremila persone, con un migliaio di nuclei familiari, la vostra presenza pastorale si concepisce e si realizza sempre di più come servizio al cuore di Cristo che cerca il cuore degli uomini concretamente viventi in questo territorio.

Missione sublime e difficile!

Per questo siete impegnati a riproporre in tutte le occasioni, con mezzi antichi e nuovi, la buona novella del suo amore, i progetti del suo cuore; per questo la liturgia, la catechesi, l’attenzione ai giovani, e la carità operosa sono la base della vostra pastorale, in sintonia col piano diocesano di “comunione e comunità missionaria”. Il Papa vi esorta nel generoso sforzo di ridare un volto, un’identità a coloro che risiedono stabilmente nel quartiere. Proprio perché attraversato da un alto tasso di non residenti e perché densamente occupato da servizi commerciali, questo quartiere ha bisogno di abitanti non timorosi né passivi, ma coraggiosi e ricchi di fantasia. Tutti i gruppi parrocchiali si sentano impegnati a dare profonde motivazioni umane e cristiane a piccoli e anziani, giovani e adulti per la ricomposizione del tessuto sociale. Ognuno ha ricevuto dallo Spirito un dono per l’utilità comune.

10. Dai residenti, infine, a quanti approdano nei modi più diversi a questo quartiere la vicina stazione Termini è una calamita di problemi, ma moltiplica anche le occasioni di bene. Gli uni e le altre, normalmente, vanno al di là delle forze e delle competenze della singola comunità parrocchiale: qui, più che altrove, si avverte l’esigenza del coordinamento tra parrocchie e organismi diocesani da un lato, e del collegamento con le istituzioni civili e professionali dall’altro.

È un difficile banco di prova, che vi vede già all’avanguardia con iniziative socio-culturali e spirituali che testimoniano e stimolano la solidarietà: il benemerito Centro di accoglienza “Don Bosco” per giovani stranieri, in collegamento con la Caritas diocesana, le case-alloggio per emarginati, il comitato di coordinamento per i problemi e le feste del quartiere, gli incontri periodici per fasce d’età e famiglie, le liturgie per la comunità filippina di Roma e il prezioso, ininterrotto ministero del sacramento della penitenza.

In questo cammino per fare della parrocchia una comunità veramente aperta, vi animi sempre il carisma missionario di don Bosco e la spinta della Chiesa italiana, che sollecita ogni parrocchia a diventare “comunione di comunità”, luogo prioritario in cui nascono, si riconoscono e maturano i diversi ministeri della Parola, dell’Eucaristia e della Carità.

Saluto con affetto il card. vicario Ugo Poletti e il vescovo ausiliare del Settore Roma-Centro, mons. Filippo Giannini . . . saluto pure il parroco, don Filippo Giua e i sacerdoti che con lui collaborano, indirizzando loro una particolare parola di apprezzamento per le molteplici iniziative parrocchiali in cui sono impegnati ed esortandoli a perseverare in esse con slancio rinnovato. E un saluto molto cordiale rivolgo infine ai laici che generosamente spendono parte del loro tempo nelle varie attività della parrocchia, favorendone l’irraggiamento pastorale in ogni ambiente del quartiere.

Cristo, che ha aperto il mistero insondabile del suo cuore ai piccoli, doni a tutti la vittoria sulla “durezza del cuore”, per “accoglierci gli uni gli altri con animo mite e generoso”.

11. Infine, fratelli e sorelle, cominciando l’Avvento, i nostri cuori si rivolgono a colei che la Chiesa invoca con le parole: “Alma Redemptoris Mater”.

E ci rivolgiamo a lei particolarmente in questo Anno mariano, che prepara la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo.

In questo momento della storia ci rivolgiamo alla Vergine, scelta per essere la madre del Redentore. Seguendola nel pellegrinaggio della fede, noi speriamo di avvicinarci a colui che continuamente “viene incontro” all’uomo.

“Alma Redemptoris Mater”, sii la nostra guida nel cammino che ci conduce incontro al tuo Figlio!

 

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