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VISITA ALLA PARROCCHIA DI SANTA EMERENZIANA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 7 febbraio 1988

 

1. “Tutti ti cercano” (Mc 1, 37).

Iniziamo la nostra meditazione omiletica della Parola di Dio da questa frase dell’odierno Vangelo di san Marco. Tale Parola si rivolge a noi nella liturgia di questa domenica con i testi scelti da diversi libri della Sacra Scrittura: dal libro di Giobbe, dai Salmi, dalla prima lettera ai Corinzi, dal vangelo secondo Marco. La Chiesa ha predisposto per noi una tale scelta di letture, imbandendo in questa sacra Liturgia la tavola della Parola di Dio.

Che cosa vuol dirci oggi la Chiesa con questa parola? Che cosa vuole insegnarci? I testi che leggiamo sono antichi di millenni. Noi viviamo alla fine del ventesimo secolo dopo Cristo. Qualcuno potrebbe quindi pensare che siamo ormai tanto lontani nel tempo da trovare nei testi ora letti soltanto il valore di un venerando monumento letterario. Ma la Parola di Dio non passa. “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8).

2. Il Vangelo ci fa vedere Cristo tra i malati. Prima nella casa di Simone e di Andrea (è noto che erano fratelli) accanto alla suocera di Simone. Cristo la guarisce da una malattia, tanto che ella può subito mettersi a svolgere i servizi di casa.

E poi “gli portarono tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1, 32) perché alleviasse le loro sofferenze. Gesù guarì molti di essi (cf. Mc 1, 34), così come aveva guarito la suocera di Simone.

E quando, più tardi, si ritirò in un luogo deserto per pregare, arrivarono “Simone e quelli che erano con lui” per dirgli “tutti ti cercano” (cf. Mc 1, 36-37).

3. In questo modo il testo del Vangelo ci introduce in una situazione ben nota: Gesù insegna - Gesù guarisce i malati - Gesù in mezzo alla gente, vicino a tutti e vicino a ciascuno. Gesù un “uomo per gli altri” - per tutti e per ciascuno - e in modo particolare per i poveri e i sofferenti. Per quelli che lo cercano.

La liturgia dell’odierna domenica ci consente di leggere questo incontro di Cristo con la sofferenza umana in una duplice dimensione.

Anzitutto nella dimensione immediata della casa e della città di Simone e delle altre località di Galilea.

Poi nella dimensione sovratemporale. Infatti nella prima lettura dell’antico testamento parla Giobbe: l’uomo che può essere considerato un simbolo perenne della sofferenza umana. In un certo senso: un simbolo della sorte terrena dell’uomo.

Profondamente penetranti sono le sue parole: “Così a me sono toccati mesi d’illusione, e notti di dolore mi sono state assegnate . . . Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba . . . Non ha forse un duro lavoro l’uomo sulla terra? . . . I miei giorni sono stati più veloci d’una spola, sono finiti senza speranza” (Gb 7, 3-4. 1. 6).

4. Si può dire che l’antica figura di Giobbe, di quest’uomo giusto, colpito da una terribile sofferenza - umanamente non meritata - è un grande interrogativo per l’uomo di tutti i tempi. L’uomo pone continuamente la domanda circa le ragioni della sofferenza e circa il suo senso nel contesto dell’intera esistenza terrena.

Tale domanda è rivolta direttamente a Dio.

Il Vangelo dà la risposta. Cristo, sempre vicino alla gente che soffre; Cristo, che alla fine prenderà sulle spalle la croce - segno di obbrobrio - e su di essa finirà la vita, è lui stesso la risposta. Dio dà in lui la risposta al Giobbe dell’antico testamento e a tutti i Giobbe lungo i secoli e le generazioni. Questa risposta è discreta e insieme forte e definitiva.

Cristo è questa risposta. Per comprenderla è necessario penetrare fino in fondo al suo Vangelo. Il suo mistero.

Quanto mirabilmente in lui - in Cristo trovano compimento le parole del salmista:

“Il Signore . . .
risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite . . .

Il Signore sostiene gli umili”! (Sal 147 [146], 3. 6).

Egli pure, Gesù, “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53, 4).

In lui si è rivelato, fino in fondo, Dio, che è amore. Cristo infatti è il sacramento di Dio.

5. L’Apostolo, che è stato toccato in modo particolare dalla potenza del mistero pasquale di Cristo - Paolo di Tarso - esclama nell’odierna liturgia:
“Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9, 16).

Perché “guai”?

“Guai”, perché il Vangelo è una risposta di Dio ai continui interrogativi dell’uomo. La risposta unica e definitiva.

Nello spirito di questo “guai” l’Apostolo spiega in pari tempo che cosa significa predicare il Vangelo.

Ecco le sue parole:
“. . . mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”.

Questo significa, per Paolo di Tarso, “predicare il Vangelo” (1 Cor 9, 19. 22).

L’Apostolo aggiunge: “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor 9, 23).

6. In occasione dell’odierno incontro con la vostra parrocchia conviene che - alla luce delle parole dell’Apostolo - poniamo la domanda: parrocchia di santa Emerenziana fai anche tu, come l’Apostolo, tutto per il Vangelo, per diventarne partecipe?

La risposta a questo interrogativo dipende dal confronto con le esigenze presenti nel Vangelo, che è il codice di vita del cristiano.

A tali esigenze uniformò tutta la sua vita la piccola, grande santa alla quale è dedicata la vostra parrocchia: sant’Emerenziana! Un’antica “passio” la ricorda e la addita all’ammirazione come “virgo sanctissima, licet cathecumena”. In una improvvisa persecuzione contro i cristiani, all’epoca dell’imperatore Diocleziano, la giovane Emerenziana, invece di fuggire, professò coraggiosamente la propria fede nel Cristo crocifisso e risorto, non temendo di affrontare la morte per il suo Vangelo. Fu così annoverata tra gli eletti in virtù del Battesimo di sangue. Ecco un luminoso esempio di chi veramente ha saputo “fare tutto per il Vangelo”. A questa coerenza evangelica desidero rendere onore nel compiere la visita a questa parrocchia, che la venera come celeste protettrice.

7. Unitamente al Cardinale Poletti e al Vescovo del Settore Nord, monsignor Boccaccio, saluto tutti voi qui presenti e i vostri cari che sono rimasti a casa. Rivolgo la mia parola di apprezzamento al parroco, monsignor Cesare Marelli, e a tutti i sacerdoti suoi collaboratori, i quali in fraterna unione dedicano tutte le loro energie per aiutarvi a progredire nel cammino della fede.

Il mio grato pensiero va poi alle associazioni ed ai gruppi che si occupano delle attività pastorali e caritative nei settori della catechesi e dell’assistenza alle persone anziane o ammalate. Ricordo, in particolare, le Volontarie Vincenziane della Carità, gli “Amici di sant’Emerenziana”, la “Legio Mariae”, il Gruppo dei Donatori di Sangue, il Gruppo missionario “Jonathan” e il “Fraterno Aiuto Parrocchie” che si adopera per raccogliere fondi destinati alla costruzione di una chiesa parrocchiale nel quartiere romano di Centocelle.

So anche che in questa parrocchia sono attivi alcuni “Gruppi coniugi” e “Gruppi famiglia” che operano nell’ambito di un programma pastorale rivolto a restituire alla famiglia la sua identità cristiana e il suo ruolo di prima e fondamentale cellula della società. Mi compiaccio sinceramente di queste iniziative, in un momento in cui si avverte una certa tendenza alla disgregazione del nucleo familiare. Non mi stancherò di ripetere che ogni sforzo inteso a rigenerare la famiglia è oggi più che mai meritorio ed urgente. Siate certi che quello che saprete fare in questo delicato campo non mancherà di portare i suoi frutti, procurandovi la soddisfazione di vedere casi difficili avviarsi a felice soluzione. Non cessate di prodigarvi finché non vedrete rifiorire la gioia, la serenità e l’armonia cristiana in ogni focolare, finché non otterrete che i cuori si aprano al perdono e alla riconciliazione nella luce soprannaturale della grazia, che il Signore non fa mancare a chi si mette sulle sue tracce e lo cerca con animo sincero.

8. “Tutti ti cercano”.

Queste parole sono state rivolte un tempo a Gesù da Simone e dagli apostoli.

Alla luce dell’odierna liturgia abbiamo meditato sul loro significato. Gesù Cristo è una viva risposta di Dio stesso alle fondamentali domande dell’uomo, unite al senso della sua esistenza sulla terra, in particolare al senso della sua sofferenza.

Il desiderio più fervente della Chiesa, ricevuto in eredità dagli apostoli, è che tutti lo cerchino e trovino in lui la risposta decisiva.

Ed è per questo che l’Apostolo grida: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”.

Quindi, in occasione di questo incontro, traggo dalle parole della lettera ai Corinzi i miei auguri per la vostra parrocchia: fate tutto per il Vangelo, per diventarne partecipi.

Mediante il vostro servizio, “tutti” cerchino qui Cristo. E lo trovino! Amen!

 

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