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VIAGGIO APOSTOLICO IN MADAGASCAR, LA RÉUNION, ZAMBIA E MALAWI

SANTA MESSA PER I FEDELI DELL’ARCIDIOCESI MALGASCIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Festa di San Giuseppe Artigiano
Fianarantsoa (Madagascar) - Lunedì
, 1° maggio 1989

 

“Derào i Jesòa Kristy Tòmpo!” (Sia lodato Gesù Cristo).

1. “Non è forse egli il figlio del carpentiere?” (Mt 13, 55).

Quando Gesù cominciò ad insegnare a Nazaret i suoi concittadini si chiedevano: “Donde gli viene questa saggezza e questi miracoli? Non è forse egli il figlio di un carpentiere?” (Mt 13, 54-55).

In questo primo giorno di maggio, la Chiesa ricorda nella liturgia san Giuseppe, il carpentiere, quel “carpentiere” di Nazaret presso il quale Gesù stesso si mise a lavorare con le sue mani.

San Giuseppe fu il capo di una famiglia umana, della famiglia nella quale è venuto al mondo Gesù Cristo, il Figlio di Dio, della stessa natura del Padre eterno, Dio nato da Dio, luce da luce. Si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria.

“Sua Madre non si chiama Maria?” (Mt 13, 55) domandavano i compatrioti di Gesù di Nazaret.

Giuseppe come capo della famiglia di Nazaret fu il custode del Figlio di Dio sulla terra; davanti agli uomini egli è stato suo padre.

Proprio Giuseppe, attraverso il suo lavoro di falegname, aiutato da Gesù si guadagnava la vita per sostenere la sua famiglia, la Santa Famiglia.

2. È proprio per questo che san Giuseppe è il patrono delle famiglie e del lavoro umano e di tutti coloro che compiono il loro lavoro nei diversi modi, nelle diverse professioni. Il lavoro agricolo, artigianale, il lavoro industriale - anche altri tipi di attività - il patronato di san Giuseppe vale infatti anche per coloro che lavorano essenzialmente con le loro mani.

Sono felice di celebrare questa festa di san Giuseppe in mezzo a voi, fedeli in Fianarantsoa e delle diocesi vicine. Io vi saluto e ringrazio della accoglienza tutti coloro che partecipano a questa assemblea, innanzitutto monsignor Gilbert Ramannatoanina, vostro Pastore, con i Vescovi che lo circondano, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i delegati delle numerose comunità locali e dei movimenti. Rivolgo un cordiale saluto agli appartenenti alle altre comunità cristiane e ad altre tradizioni spirituali. E vorrei rivolgere il mio saluto deferente anche ai rappresentanti dei pubblici poteri di queste regioni che hanno voluto unirsi a noi questa mattina per prendere parte a questa festa in famiglia.

3. San Giuseppe, il falegname, e Gesù che lo ha aiutato per tanti anni ci invitano oggi a riflettere sulla dignità del lavoro umano, del vostro lavoro di ogni giorno, miei cari fratelli e sorelle del Madagascar.

Voi siete in molti a coltivare la terra: voi sapete, forse meglio di chiunque altro, quali doni l’uomo riceve e quale responsabilità ha sulle sue spalle. La terra dei vostri antenati è per voi fonte di amore e occupa un grande posto nella vostra vita: con le vostre mani che guidano anche le generazioni future con l’intelligenza sempre in continuo sviluppo voi permettete a questo terreno di produrre alimenti e voi vegliate su raccolti fecondi.

In modo assolutamente naturale voi adempite la missione che il Creatore ha dato all’uomo, fatto a sua immagine di “sottomettere a se la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità”; come ha detto il Concilio Vaticano II ispirandosi alla Bibbia (Gaudium et Spes, 34).

Per portare a buon fine il vostro lavoro, voi fate tutti i giorni l’esperienza del dolore e dello sforzo che sono necessari. Inoltre sperimentate spesso l’incertezza e la paura, poiché tante cose non dipendono da voi! Voi dovete lottare contro le forze ostili della natura, dovete proteggere le vostre colture e vegliare sui vostri raccolti minacciati. Ma la bellezza dell’uomo che lavora è proprio la sua pazienza, la sua perseveranza e la sua capacità di superare gli ostacoli.

A questo prezzo voi traete dal vostro lavoro quello che vi serve per vivere; ciò che è necessario alla vostra famiglia e perché i vostri fratelli possano vivere. Per utilizzare al meglio i doni di Dio le vostre mani di uomini abili sono in grado di offrire dei doni nuovi a tutta la famiglia umana. E non penso soltanto all’agricoltura, ma a tutte le professioni: il vero senso del lavoro dell’uomo è sempre di essere “coloro che prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai loro fratelli” (Gaudium et Spes, 34).

Proprio in questo ambito vorrei ricordare “quanto è grande la responsabilità dell’uomo nei confronti della natura”, quella sua stessa natura che il Creatore gli ha affidato. Dal Nord al Sud della vostra grande isola, ho potuto ammirare la bellezza, le diverse ricchezze della terra e dei suoi frutti. E, al tempo stesso, sappiamo che l’uso che ne viene fatto rischia di degradare e rendere sterile questa terra. Un po’ ovunque, nel mondo, ci si sta rendendo conto dei danni provocati da uno sfruttamento che ha distrutto molto senza tenere in considerazione le generazioni future. Oggi, tutti gli uomini condividono il grave dovere di mostrarsi degni della missione affidata loro dal Creatore di assicurare la salvaguardia della creazione.

4. Affinché venga pienamente rispettata la dignità dell’uomo del lavoro, il primo valore umano che deve ispirare tutti gli uomini è proprio la giustizia, quella di una retribuzione del proprio lavoro che permetta al lavoratore e alla sua famiglia di vivere. E, nella società di oggi, dove è impossibile vivere chiusi in gruppo ristretto, è giusto che i servizi necessari siano equamente distribuiti, senza prelevare una parte eccessiva del prodotto del lavoro; penso alle possibilità di acquisire gli strumenti di lavoro senza che questi divengano opprimenti, penso anche ai mezzi di trasporto e alla commercializzazione dei prodotti. Non sono altro che dei semplici esempi: li faccio per ricordare che tutti gli uomini sono solidali qualunque sia il loro tipo di attività. In tutti questi settori si incontrano la giustizia e la fraternità: i richiami del Vangelo all’amore del prossimo raccolgono le aspirazioni di tutti.

Nel vostro come in altri paesi esistono dei forti motivi di preoccupazione che non possiamo far passare sotto silenzio: soprattutto per i giovani è diventato molto difficile trovare un lavoro. La disoccupazione causa molte sofferenze. So bene che un problema come questo non si risolve con le parole. Ma non bisogna forse riflettere e agire dal momento che si è ben compreso che in tutta la società è giusto assicurare a tutti i membri della comunità la possibilità di sostentarsi con il proprio lavoro? Tutti coloro che occupano posti di responsabilità possono contribuire a questo elementare rispetto nei confronti dei loro fratelli, dovrebbero operare per offrire mezzi adatti alla formazione professionale o per utilizzare meglio le risorse naturali a vantaggio di tutti gli abitanti. In tutto il mondo c’è ancora molto da fare in questo senso.

Il vostro popolo ha un grande senso dell’amicizia, della condivisione; nella vostra cultura tradizionale ognuno si sente legato alla società, dando la priorità allo spirito sui beni materiali. Sono dei valori che la vita moderna non deve compromettere. Al contrario sono indispensabili affinché si realizzi un progresso veramente umano. Abbiamo la convinzione di fede che lo sforzo dell’uomo, con l’aiuto di Dio creatore e salvatore, può condurlo a “perfezionare se stesso e a fare regnare l’ordine più umano” nel mondo (cf. Gaudium et Spes, 35).

5. Creando l’uomo e la donna, Dio li ha chiamati a “sottomettere la terra e a esserne i padroni” (cf. Gen 1, 26-28). Questo significa che l’uomo ha una vera responsabilità, ma anche che deve ricordarsi di Dio quando svolge i suoi compiti. Per produrre, utilizza ciò che è stato creato da Dio.

Il Salmo di questa Messa ci dice: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 127, 1). L’uomo non può dimenticare che tutta la sua attività e il suo lavoro sono una collaborazione all’opera divina della creazione. Senza di questo, “invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare”, come ricorda il salmista (cf. Sal 127, 2).

Bisogna avere dunque Dio davanti agli occhi, cominciando il proprio lavoro e portandolo a termine. Bisogna ricordarsi che le nostre responsabilità e la nostra solidarietà, nel lavoro come altrove hanno origine nella volontà di Dio.

Questo ci viene insegnato prima di tutto da Gesù lavoratore, lui che lavorò al fianco di san Giuseppe e questo ci viene insegnato da Giuseppe stesso, il falegname di Nazaret.

6. Il Salmo della liturgia di oggi, dopo il lavoro, evoca la famiglia: “Ecco dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (Sal 127, 3).

L’uomo, creato uomo o donna, è chiamato dal Creatore alla vita in famiglia. I genitori che trasmettono la vita ai loro figli, a degli uomini nuovi sono i collaboratori del Creatore. La vita umana è essa stessa dono di Dio.

Più profondamente ancora che nel lavoro, gli uomini e le donne sono vicini a Dio nella loro comunità familiare. La bellezza della famiglia, è di riflettere e condividere l’amore di Dio in una unità fiduciosa fedele e feconda.

7. Il Matrimonio è la vocazione più grande. Impegnarsi per tutta la vita è rispondere all’appello di Dio. È realizzare un meraviglioso sbocciare di ciascun essere grazie alla felicità che l’altro gli dona. È vivere in maniera autentica la capacità di amore che è insita nella natura profonda dell’uomo e della donna. Davanti alla grandezza del Matrimonio, voglio ripetere quale rispetto, quale stima la Chiesa ha per le famiglie, quale desiderio ha di vederle riuscire nella costruzione del loro focolare.

E tutto il mondo capisce che, di fronte alle difficoltà incontrate da troppe coppie, la Chiesa desidera aiutarle ad approfondire il senso del loro impegno comune. Famiglie e sacerdoti devono cooperare per aprire ai giovani la prospettiva più favorevole: quella della donazione della coppia in un amore maturato liberamente affinché sia un dono senza ritorno. I cambiamenti attuali nelle condizioni di vita portano con sé una troppo frequente instabilità delle coppie, soprattutto perché la ricerca del piacere immediato ha la priorità per alcuni suoi valori più realmente umani del dono di se stessi al proprio compagno per tutta la vita. Io vorrei incoraggiare le famiglie cristiane nella loro fedeltà che costituisce un’ammirabile immagine vivente dell’amore che viene da Dio. E io chiedo loro anche di sostenere con una benevolenza fraterna quelli che sono feriti dalla rottura della loro unione.

8. Nel loro amore comune, l’uomo e la donna hanno ricevuto la capacità meravigliosa di donare la vita a loro volta. Essi partecipano così in modo particolare alla vitalità continua dell’azione creatrice di Dio. Questo potere di trasmettere la vita deve essere rispettato, non bisogna lasciarsi prendere dall’idea generale di considerarla come una cosa secondaria, o anche di volere impedire alla fertilità umana di operare. È vero che è una responsabilità molto alta delle famiglie: l’insegnamento della Chiesa insiste perché la paternità sia decisa in piena lucidità dagli sposi stessi. Ma essa chiede che la loro vita coniugale resti aperta alla venuta dei figli. Quando una pianificazione delle nascite sembra in coscienza necessaria, le coppie sono invitate ad agire con padronanza di se stessi, soltanto con metodi che rispettano la natura. L’insegnamento della Chiesa sembra difficile; ma molte coppie testimoniano che è possibile seguirlo e che c’è anche una liberazione in rapporto a quello che si chiama “l’imperialismo contraccettivo” che si esercita così spesso a detrimento della donna.

A maggior ragione i cristiani tengono soprattutto a promuovere il rispetto della vita del bambino dal momento del suo concepimento. Non accettate che l’aborto sia banalizzato! Recare danno alla vita fragile ma umana del bambino che deve nascere non deve essere un diritto, perché non possiamo disporre di una vita che è già una persona. La dignità dell’uomo è coinvolta.

La stabilità delle famiglie, la loro apertura alla vita, questo non si associa a quanto c’è di meglio nelle tradizioni dei vostri antenati? Vi preoccuperete di trasmetterle ai vostri figli. Genitori, voi siete i primi educatori, potete essere quelli che hanno più influenza sui giovani se voi testimoniate lo slancio che ha reso possibile la vostra vita coniugale, se restate aperti nel dialogo agli interrogativi dei vostri figli, se voi date loro un sostegno affettuoso nel momento dell’incertezza e anche nel momento dei fallimenti e delle ferite. Per dare questa educazione, la Chiesa e le istituzioni possono aiutarvi, ma non dovete sottrarvi ad essa.

Di fatto, voi famiglie, siete chiamate a prendere la vostra parte della missione della Chiesa; trasmettendo ai vostri figli ciò che avete di meglio, voi li aprite alla fede, li preparate a occupare il loro giusto posto in una società veramente umana. Sui punti che vi ho appena evocato ascoltate i vostri pastori. Essi vi hanno appena indirizzato una lettera che ci espone la concezione cristiana della famiglia. Vedete in questo insegnamento che esige del rispetto e della fiducia, la preoccupazione di accompagnare le famiglie nel loro cammino, alla luce del Vangelo.

9. Il vostro Vescovo vi ha giustamente ricordato che ci troviamo vicino a Marana dove riposa il mio compatriota il padre Jean Beyzym. Tengo molto a ricordarlo, proprio in questo luogo; poiché egli è venerato, qui in Madagascar e nel mio Paese come un vero servitore di Dio. Sono felice di celebrare dinanzi alla Croce ed all’icona di nostra-Signora di Czestochowa che egli aveva portato a Marana e di offrire il santo sacrificio con il suo calice. Grazie per aver portato qui questo ricordo prezioso. Siamo riconoscenti a padre Beyzym di aver dato ogni sua energia e tutto il suo amore al servizio dei lebbrosi costruendo l’ospedale che esiste ancora oggi, è lì che egli ha prestato le sue cure, che ha pregato e si è aperto alla speranza, nel centro stesso della sofferenza. Nel ricordare la figura di padre Beyzym vorrei salutare tutti coloro che oggi si dedicano al servizio dei malati. E vorrei dire ai malati di lebbra e agli altri malati, qui e in tutto il vostro Paese, quanto la Chiesa desideri portare loro conforto e sollievo per le loro sofferenze, quanto ella desideri che venga fatto tutto il possibile per vincere il male che li ha colpiti, quanto ella conti sulle loro preghiere e le loro offerte, quanto essa li ami!

10. Ecco che la liturgia della festa di san Giuseppe, il falegname ha orientato la nostra meditazione verso la famiglia e verso il lavoro umano.

La lettura della lettera ai Colossesi deve essere per noi un insegnamento su questo tema: come vivere pienamente da cristiani nella famiglia? Come compiere veramente da cristiani il nostro lavoro?

Scrive l’Apostolo: “Al di sopra di tutto vi sia poi la carità, che è vincolo della perfezione” (Col 3, 14).

Senza amore non c’è vera vita nella famiglia. Anche se si attraversano momenti di difficoltà o di sconforto e di sofferenza se l’amore dimora al suo interno la famiglia garantisce la sua solidità e la sua coesione. E il lavoro? Si sa perfettamente che il lavoro richiede dolore e fatica: ma anche nel lavoro bisogna amare i propri colleghi, coloro a cui il nostro lavoro porta beneficio seguendo l’esempio di Gesù e di Giuseppe di Nazaret. Conducete nella speranza la vostra vita familiare e il vostro lavoro. Potete stare certi che “la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5).

11. Scrive l’Apostolo: “La parola di Cristo dimori abbondantemente tra di voi . . . tutto quello che fate in parole ed opere tutto si compia nel nome del Signore Gesù Cristo rendendo per mezzo di lui grazie al Padre” (Col 3, 15-17).

“Sapendo quale ricompensa riceverete dal Signore l’eredità” (cf. Col 3, 23-24).

E infine: “E la pace di Cristo regni nei vostri cuori” (Col 3, 15). Questa pace che solo Cristo dona, lui che, tornando al Padre ci ha lasciato in eredità. Questa pace è la pace divina.

Fratelli e sorelle qui radunati,
fratelli e sorelle di tutto il Madagascar!

Il Papa Giovanni Paolo II vi ringrazia della vostra ospitalità, della vostra presenza e della vostra partecipazione alla preghiera.

Il Papa augura che la pace di Cristo regni nei vostri cuori!

“Ho Tahin’ Andriamanitra isika rehetra!” (Che il Signore ci benedica!).



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