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MESSA «IN CENA DOMINI» NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì Santo, 16 aprile 1992

 

1. “Colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6, 57). Queste parole Gesù aveva pronunciato tempo prima, nei pressi di Cafarnao, dopo la miracolosa moltiplicazione dei pani. Oggi è venuto il momento in cui queste parole che, allora, erano un annuncio e una promessa, diventino realtà. L’ora dell’ultima Cena. Precedentemente, nei pressi di Cafarnao, Gesù aveva detto: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6, 57). Il “mandato” che viene dal Padre si avvicina al suo compimento. Il “mandato” della verità: il Vangelo. Il “mandato” della vita. La vita, che è in Dio, è l’unità del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. Il Figlio vive “mediante il Padre”. Vive “per il Padre”. Questa vita è diventata carne. È diventata la comunione dell’uomo con Cristo, Figlio dell’uomo. Per compiere la missione del Padre è necessario che questa vita - vita del Figlio - sia partecipata agli uomini: “Colui che mangia di me vivrà per me”.

2. L’ora dell’ultima Cena. È venuto il tempo della rivelazione. È venuto il tempo del discernimento. Il tempo della Pasqua. In essa si compirà fino in fondo il “mandato” che il Figlio ha ricevuto dal Padre. I discepoli hanno davanti agli occhi dell’anima quella prima pasqua: l’esodo. Il popolo di Dio, per mezzo della forza di Jahvè, era uscito dall’Egitto. Ciò era avvenuto a seguito della morte di tutti i primogeniti nella terra d’Egitto. Quella morte aveva sconvolto il faraone e il suo popolo. Nello stesso tempo, però, la morte dell’Agnello senza difetto era stata un segno di salvezza. Si erano salvati i figli d’Israele e avevano potuto, liberi, lasciare la condizione di schiavitù. Tutti hanno nella memoria quella prima pasqua: Gesù e gli Apostoli. Quella pasqua era un annunzio. Era una “figura”. Ecco, è venuto il tempo del compimento dell’annunzio. È venuto il tempo della realtà, che è il compimento della “figura”. Il Figlio è stato inviato dal Padre, affinché si compisse in Lui il mistero dell’Agnello senza difetto, il cui sangue libera: libera dalla morte. La morte dell’anima è il peccato. Il rifiuto di Dio è la morte dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio stesso. Opposta a questa morte è la vita che viene da Dio.

3. L’ultima Cena è un “prendere cibo”. Mangiarono l’agnello i figli e le figlie d’Israele prima di uscire dall’Egitto. Questo “prendere cibo” è rimasto come la più grande festa dell’Antica Alleanza. Il cibo serve per sostenere la vita mortale. Per introdurci nel mistero della Vita immortale che viene da Dio, Gesù prende il pane e il vino. Lo dà ai Discepoli. Dice: Prendete e mangiatene . . . prendete e bevetene (cf. Mt 26, 26-27). Proprio in questo momento si compie l’annunzio eucaristico che aveva suscitato tante difficoltà tra gli ascoltatori delle parole di Gesù nei pressi di Cafarnao: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6, 52). Cristo dice agli Apostoli: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi . . . Questo è il calice del mio sangue . . . versato per voi e per tutti in remissione dei peccati” (dalla Liturgia della Messa) (cf. 1 Cor 11, 24-25). “Ogni volta . . . che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Cor 11, 26). Il pane e il vino, il cibo e la bevanda, sono indispensabili per sostenere la vita mortale. La morte di Cristo - Agnello, che toglie i peccati del mondo - è indispensabile per raggiungere la vita immortale. Questa vita viene da Dio. È il dono della Redenzione di Cristo. Ricevendo tale dono, rendiamo grazie. Un grazie particolare, perché quel dono è il più grande. Per questo il sacramento dell’ultima Cena si chiama Eucaristia.

4. Da questo momento, dal momento dell’istituzione, viviamo di compimento. Cristo ha compiuto l’annuncio eucaristico. Egli - mandato dal Padre - ha la pienezza della vita “per il Padre”. Noi, che mangiamo la sua Carne, viviamo “per Lui”. Tutto questo ha preso inizio nel Cenacolo di Gerusalemme, il giorno prima di Pasqua, quando Gesù, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). “Sino alla fine”: nel corpo “offerto”, nel sangue “versato” è la testimonianza suprema dell’amore di Cristo che, morendo per noi, ci ha dato la possibilità di vivere per Lui e - in Lui - per il Padre.

 

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