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VISITA PASTORALE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA

CONCELEBRAZIONE IN PIAZZA DELLA VITTORIA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Gorizia - Sabato, 2 maggio 1992

 

1. “Abbiamo un avvocato presso il Padre . . .” (Gv 2, 1). La liturgia dell’odierna domenica, la terza del tempo pasquale, è centrata sulla catechesi di Pietro. L’Apostolo parla al popolo come testimone di Cristo risorto: “Il Dio di Abramo, di Isacco e Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù” (At 3, 13). Dio ha glorificato colui che gli uomini avevano respinto. Hanno “rinnegato il Santo e il Giusto”, hanno “ucciso l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni” (cf. At 3, 13-15). Noi! “Noi” sta a indicare gli apostoli e tutti coloro a cui era stato dato di accogliere la verità della risurrezione di Cristo. In quel “noi” c’è la Chiesa primitiva. Le parole di Pietro suonano apparentemente come un’accusa, ma non lo sono; sono una testimonianza. La risurrezione è una realtà della quale i testimoni non possono tacere.

2. Sappiamo che tale testimonianza ha il suo inizio a Gerusalemme all’indomani del sabato pasquale. Le prime ad accorrere al sepolcro sono state le donne, e in seguito la presenza del Risorto si è fatta via via più manifesta. Venendo fra i suoi discepoli, il Cristo parla con loro, essi ne odono la voce: possono vederlo e ascoltarlo. È dato loro di toccare le cicatrici delle ferite della crocifissione. Per convincerli pienamente della realtà della risurrezione, Gesù consuma insieme con essi il cibo, come leggiamo nel testo evangelico secondo Luca, che viene proclamato nell’odierna domenica. E allo stesso tempo il Risorto istruisce gli Apostoli, richiamandoli alle parole dell’Antico Testamento: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc 24, 44). Così, dunque, la testimonianza apostolica del giorno di Pentecoste era stata accuratamente preparata. La catechesi pasquale diventa la fonte e il modello dell’annuncio della Chiesa per tutti i tempi. Questa catechesi l’ha fatta per primo lo stesso Cristo risorto.

3. Torniamo ancora alle parole di Pietro. Egli ricorda la verità degli eventi riguardanti la passione e la morte di Cristo; eventi che erano ancora vivi nella memoria di tutti, perché dal loro compimento erano trascorse solo poche settimane. Alcuni di quelli che lo ascoltavano forse avevano preso parte personalmente ai fatti del Venerdì Santo. L’Apostolo tuttavia non accusa. Dice: “Fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi” (At 3, 17). Anche se la morte di un innocente diventa invito alla penitenza e alla conversione, tuttavia, la piena verità degli eventi pasquali è più grande dell’uomo. “Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto” (At 3, 18). Le parole di Pietro sono eco fedele di quanto egli stesso aveva udito da Cristo subito dopo la risurrezione. Gli eventi pasquali sono il mistero di Dio: sono luce del Verbo incarnato che ha illuminato le tenebre dell’esistenza umana sulla terra: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5).

4. Così ha scritto l’Apostolo Giovanni nel prologo del quarto vangelo. Nella sua prima lettera, che abbiamo letto nell’odierna liturgia, è contenuta la conferma di quanto i presenti a Gerusalemme avevano udito da San Pietro: “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il padre: Gesù Cristo giusto” (1 Gv 2, 1). Le esortazioni degli Apostoli, - di Pietro e di Giovanni - sono a loro volta un’eco di ciò che Cristo stesso ha detto dall’alto della sua croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Cristo, avvocato presso il Padre; Lui solo assolutamente giusto: “Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Gv 2, 2).

5. Mediante il supremo sacrificio di Cristo, Dio “ci ha riconciliati con sé, e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18). Da allora, in chi liberamente lo accoglie, Egli non cessa di operare con la forza consolatrice del suo Spirito. Apriamo, carissimi fratelli e sorelle, il cuore alla potenza del suo amore. Cristo è la nostra pace; è lui che dà solidità all’impegno spirituale e vigore all’azione della Chiesa, sacramento di grazia e di comunione tra gli uomini. Alla luce di quest’invito, che ci viene dall’odierna liturgia, la vostra diocesi di Gorizia non è forse chiamata ad approfondire maggiormente la propria missione in questo particolare momento storico: posta all’incrocio di molteplici popoli e tradizioni, Gorizia ha la singolare vocazione di essere segno visibile di unità e di dialogo. Città di frontiera è la vostra, e la frontiera, si sa, può facilitare la tolleranza, la comprensione e l’accoglienza, ma può anche indurre alla chiusura e al rifiuto dell’altro. Voi siete ben consapevoli di ciò. Per questo vi preoccupate di riscoprire le profonde radici cristiane della vostra terra e volete fare della vostra Comunità diocesana un autentico “sacramento” della presenza di Dio in questa regione. L’ascolto attento della Parola divina, la pratica fraterna della vita ecclesiale vi aiuteranno senz’altro a superare ogni ostacolo che porta alla separazione, al non rispetto dell’altro, alla contrapposizione e alla chiusura del cuore dinanzi ai bisogni dei fratelli. So quanto è vasto il vostro sforzo in tale direzione: proseguite, carissimi fratelli e sorelle, senza lasciarvi abbattere dalle difficoltà.

6. Con quest’auspicio, avvalorato da un particolare ricordo nella preghiera, sono lieto di salutare tutti voi che prendete parte alla celebrazione eucaristica. Saluto, innanzitutto, il vostro Pastore, il carissimo Mons. Antonio Vitale Bommarco e i Presuli presenti. Saluto i Presbiteri, i Religiosi e le Religiose, i rappresentanti dei vari Movimenti ed Associazioni ecclesiali. Mi rivolgo, poi, con deferenza alle Autorità politiche, amministrative e militari, che hanno voluto prendere parte alla nostra assemblea liturgica. Penso con profondo affetto agli ammalati e a quanti non hanno potuto essere di persona tra noi, ma che ci seguono attraverso la radio e la televisione. Penso soprattutto alle famiglie che rappresentano il luogo privilegiato per educare i giovani ai valori del rispetto della vita e alla solidarietà. La vostra Comunità diocesana sta portando avanti un piano pastorale, da proseguire nei prossimi anni, con l’obiettivo di rimettere la famiglia al centro della vita ecclesiale e sociale. Vi rendete ben conto che, proprio perché il nucleo familiare sta attraversando difficili situazioni di disagio e sofferenza, occorre intensificare e concentrare su di esso lo sforzo pastorale della Diocesi. Se la famiglia respira un’atmosfera dove prevalgono modelli scarsamente significativi, è doveroso far di tutto per promuovere e alimentare nella società una autentica mentalità di fede; se la famiglia appare impoverita di ideali umani e cristiani e appesantita dal costume dominante, è necessario con ogni mezzo renderla capace e preparata a rispondere con la fede alle sfide della nostra epoca. La famiglia è insostituibile per un progetto di crescita umana e spirituale della società. Essa è come il crocevia obbligato di maturazione dell’uomo e del cristiano, dal quale dipende in buona parte il nostro futuro. È la culla dove si sviluppano il dono della vita, la prima socializzazione e la fondamentale educazione ai valori; è il luogo per la crescita armoniosa della affettività, della solidarietà, della socialità, del dialogo con le culture diverse e della tolleranza. Da essa dipende anche il futuro della vostra comunità cristiana e opportuna è, perciò, la scelta pastorale di insistere nella catechesi sul valore e sulla missione della famiglia. Bisogna riaccendere nel cuore dei cristiani la stima per i valori dell’amore fedele e fecondo; bisogna aiutare gli adulti ad essere soggetti maturi di fede e di missione.

7. Questo, carissimi fratelli e sorelle, è certamente un programma complesso, che richiede un’azione comune condotta con pazienza e perseveranza. Ma Gesù, il Risorto, cammina e opera insieme con noi. Il suo messaggio, che la Chiesa proclama con singolare enfasi in questo tempo pasquale, è colmo di luce: “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto” (Sal 4, 7). Si tratta di una luce che ha sempre la stessa forza. Penetra nelle tenebre del peccato e del male, che si sono accumulate nella storia delle coscienze umane, nella storia delle società umane, nella storia dell’intera famiglia umana. Bisogna, dunque, ascoltare e fare nostra anche la voce dei Salmi dell’Antico Testamento: “. . . Rispondimi, Dio”. “Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato; pietà di me, ascolta la mia preghiera” (cf. Sal 4, 2). “. . . Rispondimi, Dio”.

Cristo crocifisso e risorto: ecco la risposta di Dio all’uomo di ogni tempo. Carissimi, apriamo il cuore ad accogliere questa definitiva risposta. Apriamo il cuore a Cristo! Amen!  

Rivolgendosi ai fedeli sloveni presenti, Giovanni Paolo II pronuncia queste parole.  

Rivolgo ora un cordiale saluto ai fedeli di lingua slovena, che fanno parte della comunità ecclesiale, e a quanti sono qui convenuti per questa particolare circostanza. Esorto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, a restare fedeli ai valori della fede e a trovare nel Vangelo la sorgente costante di quella collaborazione solidale che è nel comune auspicio e che insieme voi cercate di costruire. A voi e alle vostre famiglie la mia affettuosa benedizione.

 



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