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VIAGGIO PASTORALE IN ANGOLA, SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DAVANTI ALL’AEROPORTO DI CABINDA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Cabinda (Angola) - Lunedì, 8 giugno 1992

 

1. “Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini” (Col 3, 23). Così dice l’Apostolo San Paolo nell’esprimere il valore delle azioni dei cristiani, chiamati ad essere testimoni, davanti ai loro simili, del Redentore degli uomini, Cristo Nostro Signore. Sono felice di incontrarvi, di incontrare il vostro Pastore e Vescovo Paulino Fernandes Madeca e i Presbiteri, gli agenti della Pastorale, i religiosi e le religiose e i laici insieme a tutti i rappresentanti della Provincia di Cabinda. Molte grazie per l’accoglienza che avete riservato al Successore di Pietro, che viene da Roma per incontrarvi con particolare giubilo ed emozione. Egli viene a portare una parola di affetto e di stimolo alle vostre famiglie e ai vostri figli, affinché vi sentiate accompagnati nelle vostre quotidiane occupazioni in seno alla società di Cabinda. La liturgia della Chiesa ha concluso oggi il cosiddetto Ciclo Pasquale con la festa della Pentecoste, e comincia da oggi il Tempo Ordinario. Questo tempo ordinario, che terminerà con l’Avvento in preparazione al Natale, può anche significare per noi il tempo di sempre, il tempo nel quale siamo chiamati ad esprimere, con la nostra vita e con le nostre opere di bene e di amore verso Dio, il più profondo significato che Cristo volle imprimere all’umanità redenta dall’alto della Croce. Questa semplice constatazione vuole aiutarvi a riflettere - anche oggi che siete venuti ad ascoltare il Papa, interrompendo il ritmo normale delle vostre attività giornaliere - sul lavoro, questa realtà di enorme portata che la Provvidenza vi chiama a vivere.

2. Voi siete, in questo enclave della nazione angolana, un popolo dallo spirito imprenditore che intravede un futuro di prosperità e di benessere. Il Creatore del cielo e della terra vi ha dato in mano questa ricchezza e “vide che era cosa buona” (Gen 1, 10). Questa terra e il suo litorale sono il frutto della generosità divina che, come il seminatore divino, sparge semi di bontà per tutti i suoi figli. Ma voi siete stati chiamati a trasformare tutto quello che il Signore vi ha dato, attraverso il vostro lavoro e le vostre occupazioni giornaliere, in opere di bene e di progresso umano e spirituale. Siete stati chiamati, lasciatemelo dire - rifacendomi alla prima Enciclica del mio Pontificato, - per comprendere che la “Redenzione avvenuta per mezzo della Croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato” (Redemptor hominis, 10). Purtroppo, a causa del peccato, l’uomo ha pregiudicato non soltanto il suo rapporto con Dio e con gli altri uomini, ma anche con tutto il creato. L’uomo è divenuto egoista e pigro. Vuole godere adesso, ora e qui . . . senza farsi carico della durezza del lavoro e del sacrificio necessari a raggiungere quel benessere che ricerca. Dimentica che il lavoro accompagna inevitabilmente la sua vita sulla terra. Con esso sono presenti lo sforzo, la fatica, la stanchezza, che sono espressioni di quella affermazione divina: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gen 3, 19). La ricerca di strade facili e dal risultato immediato, il furto o il lavoro non produttivo né costruttivo che voi chiamate imbroglio, sono situazioni quasi sempre derivate dal peccato personale, ma anche dal peccato collettivo-sociale: la mancanza di pianificazione e di lavoro organizzato, nonché di spazio per la libera iniziativa, le guerre e le altre calamità che ostacolano la vera attività umana, tutti questi sono fattori che impediscono di apprendere, come persone e come popolo, la vera felicità di lavorare.

3. È ora che tutti noi cristiani proclamiamo con forza che il lavoro è un dono di Dio. Ogni lavoro onesto si presenta come partecipazione all’opera creatrice di Dio che, nel creare l’uomo, ha detto: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominatela” (Gen 1, 28). Oltre ad essere assunto da Cristo, il lavoro si presenta come realtà redenta e redentrice che ci introduce nella sfera del mistero della salvezza umana del Figlio di Dio, fatto Uomo. Vi sono alcune religioni che educano gli uomini alla paura di fronte alla creazione, alle forze della natura e agli avvenimenti o movimenti degli astri e della terra. Questa paura paralizza l’uomo e lo rende passivo, in atteggiamento di spettatore, quasi vittima di queste forze e situazioni che interpreta come volute e comandate dalle sue divinità. Al contrario, noi cristiani proviamo una grande gioia nel pensare all’immenso panorama di pace e di vivida speranza svelatoci dal nostro Redentore il quale, per amore verso gli uomini, ci ha indicato la gloria del suo Regno, nelle azioni di tutti i giorni. Grande è il privilegio del cristiano nel sapere che il cammino che Dio gli chiede di santificare si trova in mezzo alle normali occupazioni quotidiane, nel suo tempo ordinario. Quando ci sentiamo colpiti dalle parole esigenti e compromettenti di Cristo: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48), possiamo farci prendere da un certo sussulto, motivato dai nostri interrogativi più profondi: come? perché? Dunque, cari fratelli e sorelle di Cabinda, è necessario ripetere molte volte che Gesù non si è rivolto a un gruppo privilegiato di persone, dotate di qualità eccezionali per comprendere il Suo messaggio, ma è venuto a rivelare a noi tutti l’amore universale di Dio. Tutti gli uomini e le donne sono amati da Dio, da tutti Dio attende amore. Da tutti si aspetta che facciano ogni cosa “nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre” (Col 3, 17). Con il lavoro, “l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo” (Laborem Exercens,, 9), cioè diventa, in collaborazione con Dio, agente e soggetto del progresso del suo Paese. Con il lavoro, l’uomo crea e sviluppa la solidarietà e la fratellanza con gli altri suoi fratelli. Dio lo chiama nelle vicissitudini della vita quotidiana, nella sofferenza e nella gioia delle persone insieme alle quali vive, nelle aspirazioni umane dei suoi compagni, nei piccoli eventi della vita familiare. Lo chiama anche nei grandi problemi ed impegni che segnano l’epoca storica, a collaborare per trovare soluzioni ai destini dell’umanità. “Qualunque sia il tipo di attività alla quale l’uomo si dedica, essa ha sempre una intrinseca dignità che va molto al di là del quadro economico e produttivo, grazie ai valori umani e morali che esprime e incarna” (Angelus, 10 febbraio 1991). Per questo, il lavoro è un diritto e un dovere di tutte le persone, che deve essere protetto e stimolato, in ogni ambito, dalle autorità competenti. Un diritto e un dovere anche per i mutilati e i minorati, per tutti gli uomini e le donne. E quando parlo del lavoro parlo anche dello studio, anch’esso lavoro costruttivo.

4. Queste condizioni ideali conferiscono al lavoro umano un valore e una dignità tali da renderlo paragonabile a quello che Cristo stesso faceva nella Sua umile casa di Nazaret. Gesù ha assunto e ha vissuto il lavoro in mezzo al suo popolo: i vicini di Nazaret si riferivano a Lui indistintamente come “faber” e “fabri filius”: lavoratore e figlio di lavoratore. Il Signore, prima come bambino, poi come adolescente, aiutando nell’officina di Giuseppe, non ha rifiutato il sacrificio per compiere bene i suoi doveri. San Marco lo ha documentato, affermando che: “omnia bene fecit”, fece bene tutto ciò che fece (Mc 7, 37).

“Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (Mt 25, 21). Così ci dice il Signore nella Parabola dei Talenti, dandoci il sigillo definitivo della benedizione eterna. Essere fedeli nel poco, nel poco di tutti i giorni, nell’ordinario, ma fatto con amore a Dio e verso quelli che sono intorno a noi, nell’ambiente professionale, familiare o sociale, è un pegno che ci apre le porte del cielo, quando compiamo con la maggiore perfezione possibile le azioni di tutti i giorni in unione con la Santissima Trinità, e con la nostra anima in grazia di Dio. Come è bello contemplare Maria, la madre del Dio fatto Uomo, mentre svolge le sue occupazioni con amore e dedizione, intimamente unita, in pensieri e opere, al Suo Figlio Gesù.

5. Le grandi opere che distinguono i cristiani in mezzo al mondo, devono portare un segno di amore. Un amore spinto fino all’estremo, dove il più piccolo dei gesti non è mai banale, ma pieno di vita, perché trascende fino alla grandezza di Dio. Attraverso il suo lavoro generoso e pieno di abnegazione, il popolo dell’Angola potrà produrre tutto ciò di cui ha bisogno nella costruzione di una Nazione prospera e felice nell’edificare la sua vita in Cristo che, con la sua Incarnazione, con la sua Vita, Morte e Resurrezione, ha redento l’umanità e, come dice San Marco, ha attirato “a sé tutte le cose” (Mc 6, 3). La vostra Patria, questa grande Angola, ha bisogno del lavoro e della solidarietà di tutti per la sua ricostruzione. La ricostruzione non progredisce senza la pace. Spero che tutti aiutino a risolvere i problemi di Cabinda senza violenza, ma con la pace e il dialogo, rispettando il popolo e le sue ansie, ma guardando anche alle necessità dell’intero Paese. Così con il lavoro, con la solidarietà, aiutandosi l’un l’altro, un’era di pace e di prosperità potrà arrivare per tutti. Gesù, Giuseppe e Maria la vostra patrona, alla quale vi rivolgete con il titolo di Immacolato Cuore di Maria, vi insegnino a sentire la vocazione di collaboratori di Dio nello sviluppo della vostra terra e nello sviluppo integrale di tutto il vostro Popolo, in particolare dei più poveri e bisognosi che aspettano da voi non soltanto compassione, ma effettiva solidarietà. Cari fratelli e sorelle di Cabinda, cercate di accogliere quella esortazione che San Paolo ha diretto ai Colossesi, e che oggi ripete per noi: “Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che quale ricompensa riceverete dal Signore l’eredità” (Col 3, 23).

Sì. Riceverete l’eredità!

“Servite a Cristo Signore!” (Col 3, 24).

Amen.

 



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