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CELEBRAZIONE NELLA CHIESA DI SAN STANISLAO DEI POLACCHI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 28 giugno 1992

 

1. “Voi infatti, fratelli, siete chiamati a libertà” (Gal 5, 13). La liturgia della Parola dell’odierna domenica ci introduce nel mondo della libertà - affascinante, ma al tempo stesso estremamente difficile. Tema di grande importanza e attualità. Dio ha creato l’uomo libero. Gli ha affidato il dono della libertà. In questo dono è racchiuso un segno di particolare fiducia e amore da parte di Dio. Così la libertà è diventata una misura della grandezza dell’uomo tra tutte le creature, la sua vocazione, e al contempo la causa del suo dramma. L’uomo, però, attraverso il peccato ha abusato di questo dono. Ha rivolto la sua libertà contro Dio, e conseguentemente, anche contro se stesso. Ha infatti dimenticato che proprio Dio, la sua volontà e i suoi comandamenti costituiscono l’ultima garanzia della libertà. L’uomo è diventato schiavo del peccato. Tutte le altre schiavitù dell’uomo hanno un carattere secondario, rispetto a quella fondamentale, che è il peccato. Ed ecco, Dio manda il suo Figlio Unigenito, affinché liberi l’uomo dalla schiavitù del peccato. È stato molto alto il prezzo che Cristo ha pagato per la nostra libertà: è stato il prezzo della Croce. “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (Gal 5, 1) - ricorda l’Apostolo. Il vangelo della libertà, di cui San Paolo fu zelante annunziatore e difensore, è iscritto nella Croce di Cristo. Lo dobbiamo sempre di nuovo rileggere: ciascuno e tutti insieme, come Chiesa e come Nazione.

2. “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà . . .”. Nella prospettiva della Croce la libertà si presenta come dono e come vocazione - ma oggi spesso anche come sfida. La controversia circa la libertà umana e la sua impostazione riveste ai nostri tempi un carattere particolarmente drammatico. Oggi, difendere l’uomo significa difendere l’autentica comprensione della sua libertà, la comprensione evangelica. L’Apostolo ammonisce: “Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne” (Gal 5, 13). Queste parole meritano una sottolineatura speciale. Oggi si è allargata enormemente la sfera degli abusi della libertà e ciò conduce a nuove forme di schiavitù - tanto pericolose, perché camuffate sotto le parvenze della libertà. Ecco un paradosso, ecco il profondo dramma dei nostri tempi: nel nome della libertà, s’impone la schiavitù. Qual è quindi la soluzione? Come difendere oggi il dono della libertà? Come essere veramente liberi nel mondo d’oggi - liberi con questa libertà che Cristo ci ha portato?

3. “Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri!” (Gal 5, 13). Ecco la via verso la vera libertà, la via che l’Apostolo ci viene a indicare: l’atteggiamento di servizio e l’amore reciproco. L’uomo non si ritrova come un essere libero, se non mediante un dono disinteressato di se stesso a Dio e al proprio fratello. L’esempio di una tale libertà ci viene offerto oggi dal profeta Eliseo quando segue la chiamata divina, letta dalle labbra del profeta Elia; e anche dagli interlocutori di Cristo nel brano evangelico d’oggi, quando dicono: “Ti seguirò, Signore . . .” oppure “Ti seguirò dovunque tu vada” (Lc 9, 61. 57). Quanto è necessario oggi a noi l’insegnamento paolino sulla libertà, tratto dalla lettera ai Galati: “Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri”. Quanto è necessario oggi l’insegnamento sulla libertà, quando la Patria ha riacquistato la libertà, dopo il lungo periodo della schiavitù del sistema totalitario. Purtroppo all’orizzonte compare di nuovo lo spettro della “libertà d’oro” nelle diverse realtà storiche, comunque della libertà che non costruisce, ma distrugge. Quanto tristi sono i pensieri che destano in noi oggi le parole di san Paolo: “Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri” (Gal 5, 15). Non così si costruisce la vera libertà! Esiste una sola via: “Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5, 13-14). Ecco la legge fondamentale della libertà. Liberi - per amare. Liberi - per servire.

4. Cari fratelli e sorelle, celebriamo questa Eucaristia nella chiesa romana di san Stanislao, vescovo e martire, in occasione dell’anniversario della sua consacrazione. È un giubileo assai importante per la Chiesa polacca e per la nostra Patria. La chiesa di san Stanislao in Roma è un luogo tutto particolare. Essa, unitamente al collegato ospizio, è stata fondata 400 anni fa come risposta, appunto, al richiamo di San Paolo: “Siate al servizio gli uni degli altri”. “Mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri” . . . Già da allora questo tempio serve ai polacchi che vengono qui, alle tombe degli Apostoli per rafforzare la propria fede, serve alla causa della Chiesa e serve alla causa della Patria. Quando parlo della Polonia, penso a tutti i polacchi, sia a quelli cioè che lì vivono, sia a quelli sparsi in tutto il mondo, perché proprio qui, presso questa chiesa ha trovato sede il centro della Pastorale degli Emigranti. La chiesa di san Stanislao, quindi, è come un libro aperto sulla storia della Polonia degli ultimi secoli. Essa ha condiviso fino in fondo la sorte della Nazione nei suoi misteri dolorosi e gaudiosi. Qui si sono innalzate le preghiere quando minacciavano dei gravi pericoli e qui si è cantato il solenne Te Deum di ringraziamento per le vittorie ottenute. Questa chiesa è un particolare testimone del difficile cammino polacco verso la libertà, cammino segnato dal martirio di molte generazioni. Ne parlano le numerose memorie raccolte in questo tempio come una specie di reliquie nazionali.

5. Vengo qui oggi spinto dal profondo bisogno del cuore, di ringraziare Dio, insieme con voi cari compatrioti, per questo sacro luogo e per le grandi opere che qui si sono compiute e si compiono tuttora. Nel giorno del giubileo dei 400 anni della consacrazione di questa chiesa rivolgiamo al trono di Dio la nostra preghiera di lode e di ringraziamento per il dono di questo tempio che è stato nella storia ed è ancora testimone particolare del vangelo della libertà. Chiediamo a Maria, Regina della Polonia, a sant’Adalberto e a San Stanislao, vescovi e martiri, San Stanislao in veste di patrono di questa chiesa, che la nostra Nazione sia sempre fedele alla propria vocazione, perché sappia attingere la sua forza alle radici del Vangelo e perché si lasci guidare dallo Spirito Santo (cf. Gal 5, 18). Richiamiamo oggi alla nostra grata memoria il grande fondatore di questa chiesa e dell’ospizio: il Cardinale Stanislaw Hozjusz, nonché il Cardinale Jerzy Radziwill, vescovo di Cracovia, il quale l’ha consacrata proprio nell’anno 1592. Ricordiamo anche i suoi rettori, specialmente quelli degli anni più recenti, grandi e meritevoli protettori degli emigranti polacchi: l’Arcivescovo Józef Gawlina e il Cardinale Wladyslaw Rubin, di venerata memoria. Rivolgiamo il nostro grato pensiero anche al Rettore attuale, cioè a Sua Eccellenza Mons. Szczepan Wesoly e ai suoi collaboratori nel servizio pastorale. Grazie alla premura di Sua Eccellenza, questa chiesa - recentemente rinnovata in maniera così splendida - aiuta ancor di più le anime dei polacchi ad elevarsi a Dio. Desidero anche salutare, insieme a tutti qui riuniti, il Cardinale Vicario di Roma, i rappresentanti della Repubblica Polacca nelle persone degli Ambasciatori presso la Santa Sede e presso il Quirinale, e anche con gioia dare il benvenuto ai Monsignori Vescovi e particolarmente gli Arcivescovi - Metropoliti delle nuove sedi polacche - i quali sono venuti per ricevere domani il Sacro Pallio.

6. In questo momento di svolta storica che vive la nostra patria, vogliamo qui, in questo luogo santo, accogliere di nuovo il messaggio di Cristo sulla libertà. Vogliamo metterlo in pratica nella nostra vita personale e sociale. Vogliamo intensificare la nostra lotta contro tutte le forme di schiavitù che oggi ci minacciano. Vogliamo diventare apostoli del regno di Dio, che è regno di libertà, di giustizia, di amore e di pace. Ci chiama il Cristo. Egli stesso dice dalle pagine del Vangelo: “Seguimi!” (Lc 9, 59). In questa chiamata si risente una specie di sollecitazione. Bisogna affrettarsi, bisogna lasciare le cose talvolta molto vicine all’uomo per dedicarsi completamente a quella causa più importante: “. . . tu va’ e annunzia il regno di Dio!” (Lc 9, 60). Sì. Alle soglie del terzo millennio il mondo invoca Cristo e il suo Vangelo di libertà.

Il mondo, l’Europa, la Polonia - aspettano la nuova evangelizzazione.

Cristo non si stanca di invitare e di chiamare: “Seguimi!”. . . “. . . tu va’ e annunzia il regno di Dio!” . . .

 

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