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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI
SAN CIRILLO ALESSANDRINO A TOR TRE TESTE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 20 marzo 1994

 

Sia lodato Gesù Cristo,

Voglio ancora una volta salutare tutta la comunità della Parrocchia di San Cirillo Alessandrino. L’ho già salutata all’inizio della Messa, ma voglio salutarla ancora insieme con il Cardinale Vicario di Roma, Camillo Ruini, con Monsignor Mani, Vescovo di questa zona, e poi voglio salutare insieme a voi tutti i nostri ospiti di Francia.

Vi è uno speciale legame tra questa parrocchia e Marsiglia. Marsiglia è stata una strada per il cristianesimo in Gallia, nella Francia, è presente qui, a Roma, attraverso questa comunità che costituisce qui il corpo dei pastori. Salutiamo soprattutto il vostro antico pastore che ora è Arcivescovo di Monaco, in Francia. Insieme a lui salutiamo tutti i membri di questa comunità apostolica presbiterale.

1. Noi oggi ci avviciniamo già alla Settimana Santa. Per vivere la Settimana Santa si dovrebbe andare a Gerusalemme perché là tutto ciò che appartiene al suo contenuto sacro si è realizzato. A Gerusalemme dovremmo andare e ripercorrere passo dopo passo, momento dopo momento, tutto quello che Gesù ha vissuto, ha detto, ha sofferto. Facciamo questo con la mente e con il cuore fissi su Gerusalemme. E lo fanno tutti i fedeli nel mondo, anche se sono molto lontani come in Nuova Zelanda, come in Giappone, come in Argentina: tutti si ritrovano idealmente a Gerusalemme durante queste giornate sacre, durante questo Triduo Sacro. Passano per il Cenacolo, per il Getsemani, e poi passano attraverso i tribunali, poi attraversano la tremenda notte di prigionia di Gesù, poi passano da Ponzio Pilato, da Erode, alla flagellazione, all’incoronazione di spine, e poi seguono la Via Crucis e la Crocifissione. E riascoltano le ultime parole di Gesù: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34).

2. Qui a Roma noi abbiamo il nostro modo di vivere questi giorni, questa Settimana Santa, come dappertutto. Li viviamo attraverso la Liturgia. La Liturgia Romana è piena di contenuti stupendi, commoventi. Si comincia con la celebrazione di San Giovanni in Laterano per la memoria dell’Ultima Cena, della lavanda dei piedi. Si passa poi attraverso la notte di una Vigilia accanto a Cristo in prigione, già molto umiliato; poi si passa alla grande celebrazione del Venerdì Santo nella quale non celebriamo l’Eucaristia, non usiamo farlo: ricordiamo quello che è la fonte dell’Eucaristia, il sacrificio vero. E alziamo la Croce: è un momento molto commovente quando il celebrante, sia esso il Papa o il Vescovo o il sacerdote, canta “Ecce lignum crucis in quo salus mundi pependit. Venite adoremus”. E tutta l’assemblea si mette in ginocchio adorando. Dobbiamo adorare la Croce perché sappiamo bene che Cristo umiliato, Cristo Crocifisso è il Figlio di Dio e si è fatto crocifiggere per i nostri peccati, li ha presi su di sé. Ha preso su di sé questo peso incredibile, incomprensibile, incommensurabile di tutti i peccati dell’umanità. E così è andato alla “Via Crucis” fuori della porta di Gerusalemme. Noi andiamo così al Colosseo, perché il Colosseo ricorda la Via Crucis di tanti cristiani. È una testimonianza. Al Colosseo si dice a Gesù: “Non sei solo”. Non sei solo. C’erano tanti con te, qui crocifissi e martirizzati nel tuo nome. E noi oggi, credenti, testimoni della fede siamo con te, siamo con te. La Via Crucis al Colosseo è un segno molto eloquente della nostra similitudine con Gesù che porta la croce. È un’aspirazione della nostra unità intorno a lui, intorno a Cristo Crocifisso. In questo anno abbiamo la gioia che la meditazione per la Via Crucis è stata preparata dal Patriarca di Costantinopoli. È un grande segno ecumenico. E poi sappiamo bene che il Venerdì Santo è la giornata in cui si prega per tutto il mondo, per tutta l’umanità, per tutti i popoli, per tutti i Cristiani e i non Cristiani, si prega in diverse lingue del mondo, asiatiche, europee, africane. Perché Cristo ha redento tutti; tutto il mondo è stato redento da questa Croce di Gesù.

Poi lo portiamo al Sepolcro. Attorno a questo sepolcro comincia la nostra Veglia Pasquale: il Sabato Santo, la Messa . . . aspettiamo tutta la notte che giunga il mattino, quando questo Sepolcro si aprirà e le donne di Gerusalemme ascolteranno la parola “Non è qui. È risorto” (Lc 24, 6).

3. Volevo prepararvi, carissimi, a questa grande celebrazione della Settimana Santa ormai vicina. In questa Settimana Santa si sente un grande grido. E la Liturgia della domenica odierna ci parla di questo grande grido. Ce ne parla Giovanni nel Vangelo e ce ne parla Paolo: un grido, Cristo grida. Ma Cristo era silenzioso, non diceva nulla davanti ad Erode. Davanti a Pilato ha detto cose che sono quasi la chiave della sua missione. Taceva portando la croce, taceva flagellato, taceva incoronato di spine, taceva crocifisso. Taceva. Gridava solamente al Padre “Perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). E questo grido grande di Cristo è un grido per tutta l’umanità. Grida, sta gridando: Fermatevi! fermatevi! non andate avanti così! Non distruggete voi stessi con le guerre, con l’odio! Non distruggetevi ciascuno con il peccato! Fermatevi! Io sono la Pietra su cui potete edificare, costruire.

Carissimi, avvicinandosi la Pasqua di Cristo ci rendiamo conto che celebriamo nella fede un grande Mistero. Sì, entriamo negli avvenimenti che si svolgono a Gerusalemme, che si svolgono a Roma, che si svolgono in tutto il mondo dove ci sono i cristiani; ma entriamo soprattutto nel grande Mistero tra Dio e l’uomo, un grande mistero d’amore. L’amore è più forte della morte. Il mistero dell’amore è più forte delle nostre debolezze, a lui dobbiamo affidarci, convertirci, confidarci.

Auguro a tutti voi questo spirito della Quaresima, della Settimana Santa.

 

© Copyright 1994 - Libreria Editrice Vaticana

 



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