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VISITA PASTORALE IN MOLISE

SANTA MESSA DAVANTI AL SANTUARIO DELLA MADONNA ADDOLORATA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Festa di San Giuseppe - Castelpetroso (Campobasso)
Domenica, 19 marzo 1995

 

“Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” (Es 3, 6).

1. La liturgia di questa III Domenica di Quaresima ci introduce profondamente nel mistero dell’Alleanza di Dio con l’uomo. La prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, ci colloca nell’ambiente del deserto, simbolo tipico del tempo quaresimale, ed ha per protagonista Mosè. È il racconto del “roveto ardente”, uno tra i più suggestivi e ricchi di significato dell’intera Scrittura santa, capace di alimentare in ogni tempo la meditazione dei credenti. Dal misterioso roveto, che arde senza consumarsi, Dio parla a Mosè: lo chiama, si fa conoscere a lui e lo incarica di condurre gli Israeliti fuori dall’Egitto. Infine, Dio rivela il proprio nome: “Io sono colui che sono – Jahvè – il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” (cf. Es 3, 14-15).

Questo episodio, che ebbe luogo alle pendici del monte Oreb, “monte di Dio” (Es 3, 1), costituisce come un nuovo inizio dell’antica Alleanza di Dio col suo popolo. In conformità coll’annunzio dato a Mosè, Dio guiderà Israele fuori dall’Egitto, dalla condizione di schiavitù, per condurlo attraverso il deserto nella Terra promessa. L’avvenimento dell’Oreb introduce l’intera azione salvifica di Dio nei riguardi di Israele: essa culminerà nel Patto del Sinai, il cui contenuto sarà il Decalogo.

2. “Tutte queste cose – avverte l’apostolo Paolo – ... sono state scritte per ammonimento nostro” (1 Cor 10, 11), affinché facciamo “opere degne della conversione” (Lc 3, 8) e non siamo come la pianta della parabola evangelica, sterile e priva di frutti (cf. Lc 13, 6-7). Infatti, “ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco” (Lc 3, 9; cf. Gv 15, 6).

Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo, carissimi Fratelli e Sorelle, dobbiamo intenderlo come una rinnovata offerta di Alleanza da parte di Dio, il quale è “buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Salmo resp.). La grazia del Signore, la sua infinita misericordia ci impegna – come singoli e come comunità – a coltivare la “pianta” della vita spirituale, a “zapparvi attorno” con la penitenza, a “mettervi il concime” della parola di Dio, affinché “porti frutto per l’avvenire” (cf. Lc 13, 8-9).

3. Oggi, 19 marzo, la Chiesa venera San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, anche se quest’anno la solennità liturgica verrà celebrata domani. È per me motivo di grande gioia trovarmi proprio oggi a Castelpetroso, in questo bell’ambiente, rigido ma bello e suggestivo, in questo bel Santuario dell’Addolorata, proclamata Patrona del Molise dal mio venerato predecessore, il servo di Dio Paolo VI. Qui, dove novant’anni or sono venne un gruppo di pellegrini dalla lontana Cracovia, giunge ora il Papa figlio di quella città e della terra polacca, che un singolare vincolo di fede e di sofferenza lega alla Madre Addolorata.

Vorrei rivolgere un saluto cordiale e riconoscente ai venerati Fratelli Cardinali qui presenti, all’Arcivescovo Metropolita, Mons. Ettore Di Filippo, e agli altri Presuli della regione ecclesiastica Abruzzo-Molise e il Nunzio Apostolico in Italia Monsignor Colasuonno. Saluto i Prefetti di Campobasso e di Isernia, i Presidenti della Giunta e del Consiglio Regionale, il Sindaco di Castelpetroso e quelli di tutti i paesi della Regione, oltre ai Parlamentari e agli Amministratori della Regione e delle Provincie di Campobasso e d’Isernia, alle altre Autorità civili, militari della cultura e del lavoro che hanno voluto presenziare a questo rito. Saluto abbracciandoli i miei fratelli Sacerdoti e i diaconi qui convenuti, come pure quelli anziani e ammalati, che sono in questo momento uniti a noi nella preghiera. Saluto le Piccole Discepole di Gesù con le bambine del villaggio, i Frati Francescani e le Suore Francescane dell’Immacolata, che curano il servizio liturgico e pastorale nel Santuario.

Ringrazio quanti hanno collaborato alla preparazione e all’organizzazione dell’odierna mia Visita, e tutti voi, Religiosi, Religiose e laici, che prendete parte a questo significativo evento spirituale. Vorrei esortare ciascuno a rimanere fedele alle tradizioni cristiane di questa terra, con quel fervore che spinse i vostri padri a contribuire generosamente all’edificazione del Santuario, offrendo anche il rame per la copertura del tetto.

Carissimi Fratelli e Sorelle, sappiate anche voi offrire al Signore le gioie e le fatiche quotidiane, in comunione con Cristo e per intercessione della Madre sua, qui venerata mentre presenta al Padre il Figlio immolato per la nostra salvezza. Sappiate offrire in particolare l’impegno per una profonda e fattiva unità: unità nelle Comunità familiari, unità nelle parrocchie, unità particolarmente fra il clero. Mai il cuore della Madre debba addolorarsi per le divisioni dei suoi figli!

Trovandomi poi vicino alla patria del mio venerato predecessore Celestino V, di cui si è celebrato lo scorso anno il settimo centenario dell’elezione al Pontificato, invio un caro saluto alla Comunità diocesana di Isernia ed al suo Pastore, Mons. Andrea Gemma. Auspico di cuore che, seguendo l’esempio di san Celestino, essa cresca nella fedeltà a Cristo e nella testimonianza evangelica.

4. Il nostro sguardo non può quest’oggi non soffermarsi sulla figura di San Giuseppe. Egli si colloca sulla soglia della Nuova Alleanza, che Dio ha stretto con l’umanità in Gesù Cristo, Figlio di Maria. Di questa Alleanza la Chiesa celebrerà tra pochi giorni il vero e proprio inizio, cioè l’Annunciazione. In questo mistero, nel quale la Vergine “piena di grazia” (Lc 1, 28), adombrata dallo Spirito Santo (cf. Lc 1, 35), pronuncia il suo “fiat” (Lc 1, 38), il Verbo si fa carne (cf. Gv 1, 14), il Figlio di Dio prende la natura umana nel grembo di Maria: inizia così la Nuova e definitiva Alleanza di Dio con l’uomo.

In tale nuovo inizio, Giuseppe, promesso sposo di Maria, ha la sua parte. A dissipare in lui il legittimo sconcerto dovuto alla scoperta che la sua sposa attende un figlio, giunge anche a lui da Dio un messaggio chiarificatore, che nel suo contenuto essenziale è simile all’annuncio a Maria. L’angelo del Signore gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1, 20-21).

La liturgia, pertanto, loda l’obbedienza della fede di cui sia Maria che Giuseppe han dato prova, un’obbedienza simile a quella dimostrata da parte di Abramo, “nostro padre nella fede” (Canone romano).

5. Ma cosa significa che Dio stringe alleanza con l’uomo? Come è possibile che ciò avvenga? È possibile perché Dio ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza. Diversamente da tutte le altre creature, l’essere umano è in grado di parlare con Dio. E Dio vuole che questo rapporto sia vissuto nella forma del dialogo. Così, sin dal principio, Dio affida all’uomo l’intero mondo creato, dicendo: “Soggiogate la terra” (cf. Gen 1, 28), ed istituisce con tali parole l’ordine del lavoro umano, inscritto nel disegno dell’Alleanza. Lavorando gli uomini sottomettono la terra, ricavano dalle realtà create sempre nuove risorse, indispensabili per mantenere in vita loro stessi e le loro famiglie.

La Chiesa considera suo precipuo dovere annunziare il “vangelo del lavoro”, che costituisce un aspetto essenziale della sua dottrina sulla giustizia sociale. E qui possiamo ritornare al Libro dell’Esodo ed alla missione liberatrice affidata da Dio a Mosè. Si tratta infatti di una liberazione anche in senso sociale. L’ingiustizia che i figli e le figlie di Israele sperimentano consiste nello sfruttamento del loro lavoro, anche allo scopo di distoglierli dalla vita familiare e dal servizio di Dio. Il faraone ritiene che in questo modo cesseranno di essere pericolosi per l’Egitto.

La strategia del faraone, di assoggettare mediante il lavoro, costituisce un significativo paradigma, entro il quale Mosè rappresenta quanti nel corso della storia non cessano di intraprendere la lotta per la giustizia sociale. Questa consiste per un aspetto essenziale nel riconoscimento della giusta dignità del lavoro umano e in un’equa remunerazione, grazie alla quale il lavoratore possa mantenersi insieme con la propria famiglia. D’altra parte, essa richiede anche adeguati interventi a favore di coloro che, pur non volendolo, si trovano nella precaria e avvilente situazione di disoccupati.

Il lavoro deve contribuire allo sviluppo dell’uomo e non al soffocamento servile della sua dignità. Questo è il postulato fondamentale del “vangelo del lavoro”. Gesù, impegnato accanto a Giuseppe al banco di lavoro, proclama questo vangelo mediante la sua stessa vita nascosta a Nazaret. La dottrina sociale cristiana e tutte le Encicliche sociali, cominciando dalla Rerum Novarum, rappresentano la manifestazione di tale “Sollicitudo rei socialis, di quella sollecitudine per la giustizia sociale, che la Chiesa non si stanca di promuovere e di attuare annunziando il Vangelo dell’Alleanza di Dio con l’uomo. E questa tematica deve essere sempre riproposta nella giornata festiva di San Giuseppe. Questo umile carpentiere di Nazaret, accanto a Gesù di Nazaret, rappresenta anche la problematica della giustizia sociale per tutti noi, per il mondo del lavoro e per la Chiesa.

6. Carissimi, da questo Santuario, espressione della fede di un popolo laborioso e tenace, affido alla Madre Addolorata le attese e le speranze dell’odierna società, in particolare le attese del mondo del lavoro. Colei che al Calvario è stata unita al Sacrificio redentore di Cristo, ottenga ai suoi figli di essere sempre fedeli al Dio dell’Alleanza. Ottenga di portare frutti abbondanti di giustizia e di pace, mangiando “lo stesso cibo spirituale” e bevendo “la stessa bevanda spirituale” di cui ci parla la liturgia di oggi.

I nostri Padri – ricorda san Paolo – bevevano “da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo” (1 Cor 10, 4). Cristo resta la roccia alle cui acque beviamo anche noi.

Amen!

 

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