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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI AUSTRIACI

 

Ai Venerabili Fratelli
Franz Cardinale Konig, Arcivescovo di Vienna
Franz Zak, Vescovo di Sankt Polten
Anton Hofmann, Vescovo di Passau
Maximilian Aichern, Vescovo di Linz

Come “Lucerna Ardens” e rilucente (Gv 5, 35), in quell’epoca oscura, durante la quale l’impero dei Romani cominciava a vacillare per l’irruzione dei Germani e di altre popolazioni nel suo territorio, ed avveniva il passaggio dalla antichità al cosiddetto Medioevo, rifulse nel Norico San Severino, dalla cui morte sono trascorsi quindici secoli. Con ragione dunque viene celebrato questo ricordo nelle vostre diocesi, che furono come i teatri delle virtù e delle opere, per le quali egli divenne famoso.

Severino, “uomo del tutto latino”, come dice Eugippio, suo discepolo e seguace, il quale scrisse la vita di così grande maestro (cf. Eugippii Das Leben des Heiligen Severin: “Ep. Ad Paschasium”, ed. R. Noll, Passau, p. 44), dall’Oriente, dove si era ritirato, per provvido disegno di Dio nel secolo V giunse, attraverso la Pannonia, nel Norico Ripense (= vicino alle rive del Danubio), cioè in quella regione che si estendeva pressappoco dal Danubio fino ai monti Taurisci, dalle vicinanze della città di Vienna fino al fiume In questa parte dell’Impero Romano non solo si erano affermati la lingua e i costumi latini, ma si era abbastanza consolidata la religione cristiana.

“Vivendo secondo la dottrina evangelica ed apostolica” (Eugippii Op. mem., 1, p. 58) fu monaco, non sacerdote, a quanto pare, ed ebbe gran desiderio di vita contemplativa, per attendere in essa soltanto a Dio. Vedendo però i bisogni degli abitanti, coinvolti in tante calamità, spesso si allontanò dalla “quiete della celletta” per non privare della sua presenza quelle popolazioni tormentate a “stare tra le numerose moltitudini di oppressi” (Eugippii, 4 et 9, pp. 64.72).

Quest’uomo, dunque, unitissimo a Dio e assai noto per il servizio dei fratelli, visse circa vent’anni in quella zona di confine, “fatto tutto a tutti” (1 Cor 9, 22): i quali a Flaviano – località dell’Austria ora chiamata “Mautern” – lo piansero morto nell’anno 482; ma con gli insegnamenti della sua vita egli parla pure agli uomini che ora vivono tra incertezze ed avversità.

San Severino insegna anzitutto l’importanza fondamentale della preghiera e dell’intimità spirituale, poiché “con la orazione continua stette più vicino a Dio” (cf. Eugippii Op. mem., 4, p. 64). Bisogna che questo “primato della preghiera” sia più profondamente inculcato ai tempi nostri, nei quali gli animi, fra tante tensioni a assalti delle cose materiali, sono distolti dalle cose principali e durature. In realtà, se non si ricorre all’Assoluto, tutto il resto viene privato di senso, forza, efficacia.

In modo particolare questo seguace di Cristo nella via stretta, più vivamente ammonisce quelli che si sono legati a Dio con la promessa solenne dei voti ed altri vincoli sacri, perché “seguano le orme dei beati Padri, dalle quali si acquista la disposizione alla santità della vita” (cf. Eugippii, 9, p. 72), cerchino cioè lo spirito originario della propria famiglia religiosa e lo pratichino in questa età; inoltre “fuggendo le attrattive del mondo preferiscano Cristo a tutti gli affetti (cf. Eugippii, 43, p. 110) e accordino i costumi con il proposito assunto” (cf. Eugippii, 43, p. 110): cose, queste, per le quali è necessario quel modo di vivere ascetico, nel quale egli si esercitò continuamente.

Oltre alla cura esplicata assiduamente per le anime – per tale motivo era solito fondare in diversi luoghi piccoli monasteri, come a Flaviano e a Batavi (ora chiamato Passau), Boiotro (ora si chiama Innstadt), e spesso richiestone, visitò comunità di fedeli e le confermò nella santa religione – Severino si dedicò tutto a sollevare le miserie corporali, come quei tempi avversi esigevano. Con un aiuto veramente cristiano, che abbracciava tutti, si diede cura degli infermi, alcuni dei quali risanò miracolosamente, come si racconta. Essendo gli abitanti oppressi dalla fame, egli provvide loro alimenti in abbondanza, fino al punto che, come dice Eugippio, “quasi tutti i poveri, nelle città e nei villaggi, erano nutriti dalla sua operosità” (Eugippii Op. mem., 17, p. 82); provvide anche abbondanza di vestiti.

Severino attese a quest’opera di soccorso non in maniera disordinata, ma metodica, distribuendo le decime dei prodotti della terra, offerte da moltissimi “perché ne fossero sostentati i poveri” (Eugippii Op. mem., 17, p. 82), e importando aiuti dal Norico mediterraneo, dove lo stato delle cose era più prospero. Gli stette anche sommamente a cuore la sorte dei prigionieri, che riscattò o con denaro o trattando a voce.

San Severino sembra esortare all’esercizio di queste opere di carità e misericordia, con le quali si offre una “chiarissima testimonianza di vita cristiana” (Apostolicam Actuositatem, 31). Si deve tuttavia considerare che il sentimento naturale della compassione, anche se lodevole, non basta in questo campo dell’apostolato, ma bisogna guardare più in alto e vedere Cristo stesso nei fratelli sofferenti.

Un’altra cosa, infine, dobbiamo ammirare in quest’uomo di Dio: egli fu infatti un autorevole assertore e difensore dei diritti dell’uomo. È sufficiente addurre alcuni esempi: per riguardo a lui avvenne che i cattolici non venissero ribattezzati secondo le prescrizioni dell’eresia ariana; indusse il re degli Alamanni ad astenersi dal devastare la regione soggetta ai Romani; si oppose al capo dei Rugi, che avrebbe voluto condurre via “i superstiti di tutte le città” che erano scampati dalle spade nemiche, dicendo: “Vengo come ambasciatore di Cristo a chiedere misericordia per i sudditi” (Eugippii Op. mem., 31, p. 98).

Queste cose non riguardano forse anche i tempi nostri, nei quali devono essere sostenuti e difesi i medesimi diritti? Diciamo, la libertà di confessione religiosa, con cui “non si chiede un privilegio, ma soltanto il rispetto di un diritto primario” (Redemptoris Hominis, 17); la dignità dei lavoratori, i quali sono soggetti del lavoro (cf. Laborem Exercens, 7), non oggetti; i diritti della famiglia, di cui poco tempo fa abbiamo promulgato lo statuto (Familiaris Consortio, 46), e cose simili a queste.
Perciò, venerabili fratelli nostri, noi godiamo con voi, perché – per usare di nuovo le parole di Eugippio – “Dio si è degnato di donare una tale luce a queste regioni” (Eugippii Op. mem.: “Ep. ad Paschasium”, p. 44), un uomo, cioè, che con una vita consacrata a Dio e agli uomini ha raggiunto la gloria vera. Fiduciosi che il suo ricordo, opportunamente rinnovato quest’anno, si risolva in incremento della vita cristiana, con grande affetto impartiamo la Benedizione Apostolica a voi, ai vostri Vescovi Ausiliari, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli affidati alla vostra cura pastorale.


Dai Palazzi Vaticani, il 27 aprile, l’anno 1982, quarto del nostro pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

 

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