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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL VESCOVO JAMES R. CRUMLEY,
PRESIDENTE DELLA CHIESA LUTERANA IN CHIESA

 

Con gratitudine ho ricevuto la vostra lettera del 12 maggio 1985, come un nuovo gesto ecumenico da parte vostra verso la Chiesa cattolica. I vostri tre viaggi a Roma hanno permesso un proficuo scambio di vedute tra luterani e cattolici, soprattutto negli Stati Uniti.

La vostra lettera esprime apprezzamento per i progressi che si vanno realizzando all’interno dei movimenti ecumenici negli Stati Uniti. In effetti molti vescovi cattolici del vostro Paese mi hanno testimoniato questi progressi. Un tale sviluppo è particolarmente importante, per i cattolici, perché il Concilio Vaticano II ha avuto tra le sue principali preoccupazioni “Il recupero dell’unità fra tutti i cristiani” (Unitatis Redintegratio, 1). Questo compito riveste la massima importanza nella Chiesa d’oggi. Ed è per me preoccupazione primaria, soprattutto da quando sono stato chiamato al soglio di Pietro, il quale esiste, per sua natura, per servire l’unità della Chiesa di Cristo. Le Scritture ci mostrano come sia Cristo stesso a darci l’esempio, pregando per i suoi discepoli “affinché siano una sola cosa, come tu sei in me, o Padre, e io in te, affinché anche loro siano una sola cosa in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). È una grande gioia sentire del vostro strenuo, personale impegno perché questo progresso prosegua, come è confermato dal documento ufficiale della Chiesa luterana in America: “Ecumenismo: un impegno luterano” (1982).

È sempre opportuno, nelle nostre considerazioni, soffermarci sulle Scritture. Tutti i cristiani devono nutrirsi della buona novella in esse contenuta. In particolare il Vangelo, che ha preservato per tutti noi la parola di Cristo, e per questo è caro a tutti noi, e tutti desideriamo con tutto il cuore di essere fedeli al suo Spirito e al suo insegnamento. Il dialogo internazionale tra Chiesa cattolica e Chiesa luterana ci ricorda che “l’unità della Chiesa può essere tale solo nella verità del Vangelo” (Atti di Malta, 1972, § 14). Ancora, ci ricorda che “in fondo, cattolici e luterani sono divisi proprio sul punto della corretta comprensione del Vangelo” (Ivi). Per questo oggi la nostra tensione all’unità è prima di tutto tensione ad essere più profondamente evangelici. Allo stesso tempo, la parola è strumento prezioso nelle potenti mani di Dio per poter raggiungere quell’unità che il Salvatore ha offerto a tutti gli uomini (Unitatis redintegratio, 21). Rispondere alle richieste dello Spirito cercando l’unità significa lasciare che noi stessi veniamo formati dalla Parola di Dio. Significa divenire testimoni più credibili del Vangelo di Cristo.

Il Concilio Vaticano II ha parlato del movimento ecumenico come veramente “sotto la protezione dello Spirito Santo” (Ivi, 1). Questa grazia si manifesta nei vari modi attraverso i quali prende forma l’unità fra i cristiani. Nella vostra lettera avete gentilmente richiamato l’attenzione sulla testimonianza che ebbi a dare di questo, in occasione del 450° anniversario della Confessione Augustana (25 giugno 1980), quando dissi che il dialogo ecumenico “ci ha permesso di scoprire quanto grandi e solide siano le fondamenta della nostra Chiesa cattolica”. Il vostro stesso richiamo al fatto che ci ha resi ancora più consapevoli di quanto siamo vicini gli uni agli altri, nel “cuore del Vangelo”, ci ricorda l’affermazione del rapporto di Malta quale sia il centro del Vangelo: “L’escatologico atto salvifico di Dio nella croce e risurrezione di Cristo” (Atti di Malta, 1972, § 24). Dobbiamo essere grati per i progressi che si sono fatti in questa affermazione comune. Pure, sperimentiamo un profondo dolore perché la piena unità non è ancora stata raggiunta. Non abbiamo forse parlato di questa angoscia quando siete stato a Roma l’ultima volta? Questo perché la mancanza di unità è un problema pastorale, oltre che storico e teologico. Non vi viene forse alla mente l’immagine del Nuovo Testamento di nostro Signore come il pastore che raccoglie le pecore disperse in un unico gregge”? Perché la divisione fra i cristiani oscura l’immagine di Cristo, rendendo al mondo più difficile il credere. So che, a livello locale, membri di parrocchie cattoliche e di altre comunità cristiane delle stesse zone sperimentano le pressioni della divisione. Questo perché ancora non professano in pienezza di unità la stessa fede e perciò non possono prendere parte insieme alla pienezza della vita della Chiesa. E quando membri della medesima famiglia appartengano a comunità cristiane separate, devono vivere nella speranza e lavorare per costruire quell’unità che già dovrebbe esistere. Ma le persone in questa situazione possono anche sperimentare la confusione, o addirittura l’alienazione che possono intervenire quando i componenti di una stessa famiglia seguono confessioni diverse, addirittura conflittuali in termini di fede cristiana. Situazioni pastorali di questo genere ci danno la consapevolezza profonda di quanto sia vitale lavorare per l’unità dei credenti. Perché “c’è un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, il quale è sopra tutti, e opera in tutti e in tutto” (Ef  4, 5-6).

Anche le parole che ho indirizzato al Concilio della Chiesa evangelica tedesca il 17 novembre 1980 sono in tal senso significative: “Tutta la gratitudine per ciò che ci resta di comune e ci unisce non ci può rendere ciechi su quanto ancora ci divide. Insieme dobbiamo prendere in considerazione ciò il più possibile, non per approfondire i fossati, ma per superarli. Siamo chiamati a tendere insieme alle piena unità della fede. Solo l’unità piena ci dà la possibilità di radunarci con gli stessi sentimenti e la stessa fede all’unica mensa del Signore”. Possiamo aggiungere alla luce di quanto ci unisce che siamo in grado di capire la serietà di quanto ci divide e l’urgenza di trovare il modo, nella fedeltà alla parola di Dio, per camminare verso quell’unità che è voluta e donata, tramite la grazia per la sua Chiesa.

Per queste stesse ragioni sono lieto che negli Stati Uniti prosegua il dialogo tra luterani e cattolici, dialogo che iniziò prima ancora che si concludesse il Concilio Vaticano II. Esso ha prodotto un gran numero di documenti, tra cui il recente “Giustificazione per la fede”. Dobbiamo senza dubbio lodare questi sforzi. A partire dal Concilio Vaticano II, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, prendendo spunto dal decreto per l’ecumenismo, in spirito di collaborazione con il Segretariato per la promozione dell’unità fra i cristiani, è stato coinvolto in numerosi iniziative di dialogo con molte chiese e comunità ecclesiali. I dialoghi inseriti in un contesto nazionale, come è il caso dei rapporti tra cattolici e luterani negli Stati Uniti, sono importanti non soltanto per la ragione nella quale si sviluppano, ma anche per il contributo che possono dare alle relazioni tra le nostre rispettive famiglie cristiane a livello internazionale. Insieme al contributo al dialogo negli altri Paesi, e in continuo contatto con il Segretariato per la promozione dell’unità fra i cristiani e con la Federazione mondiale luterana, il vostro dialogo negli Stati Uniti può dare un contributo fondamentale al raggiungimento di quell’unità nella fede, che è il fine cui tendiamo. Le parole di San Paolo ci esortano: “Faccio appello a voi, fratelli, nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, affinché siate in accordo e tra di voi non vi siano discussioni, ma siate uniti nello stesso pensiero e nello stesso giudizio” (1 Cor 1, 10).

Sono lieto di sentirvi parlare della collaborazione nella preghiera e nelle opere buone che è in atto negli Stati Uniti, a vari livelli, tra luterani e cattolici. Il raduno annuale dei vescovi presidenti delle diverse Chiese luterane impegnate nel dialogo, insieme ai vescovi cattolici del BCEIA, nel quale si discute come incoraggiare l’ecumenismo nelle Chiese locali, riveste grande importanza. Nella Chiesa cattolica, i vescovi hanno una responsabilità nel guidare la promozione e “la protezione dell’ecumenismo, così come inteso dalla Chiesa” (Christus Dominus, 16). È una grande gioia udire ancora di tali sforzi, e noi tutti speriamo che proseguano. Per i fedeli cattolici la collaborazione ecumenica, sotto la guida dei vescovi e in stretta comunione con il Vescovo di Roma, è un compito stabilito già nel Concilio Vaticano II e una continua responsabilità per la Chiesa cattolica.

So che la Chiesa luterana in America prosegue nel cammino verso una nuova relazione ecumenica con le altre Chiese luterane degli Stati Uniti; sappiate che questa ricerca di unità è presente nelle mie preghiere. Mentre voi tutti, cristiani di differenti comunità e di diversi Paesi, ci avviciniamo al XXI secolo, possiamo forse vedere questo tempo come una nuova occasione di grazia. Il nuovo stadio della storia che si apre davanti a noi ci offre l’opportunità di lasciarci alle spalle le vestigia dell’ostilità e delle incomprensioni, eredità di un millennio che si avvia alla conclusione. I problemi da affrontare per raggiungere l’unità possono non essere di facile soluzione. Ma “la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo che ci è stato donato” (Rm 5, 5).

Possiamo dunque non lavorare perché l’alba del terzo millennio sia l’inizio di un tempo particolarmente ricco di grazie per la ricerca della piena unità in Cristo? La mia preghiera è che sia così.

Dal Vaticano, 22 luglio 1985  

GIOVANNI PAOLO II

 

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