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LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL PATRIARCA KAREKINE SARKISSIAN,
CATHOLICOS DI TUTTI GLI ARMENI

 

A Sua Santità il Patriarca
Karekine Sarkissian,
Catholicos di tutti gli Armeni

È per me una gioia porgerLe le mie più sentite felicitazioni in occasione della Sua elezione e della Sua intronizzazione a Catholicos di tutti gli Armeni. Possa la Santissima Trinità proteggere la Sua persona e rendere ricco di frutti apostolici al Suo nuovo ministero pastorale! Mi preme inoltre farLe sapere che la Chiesa di Roma si associa col pensiero e nella preghiera fervente alla gioia spirituale che in questo momento albergherà nei cuori dei fedeli della Santa Sede di Etchmiadzine. A tutti i figli della Chiesa apostolica armena va anche il mio affettuoso saluto: prego il Signore di volerli conservare nell’immutata fedeltà alla loro identità di cristiani.

In questo giorno di festa resta presente nella mia preghiera la santa memoria del Suo venerato predecessore, Sua Santità Vasken I. Non posso non ricordare il nuovo indirizzo impresso alle relazioni tra la Santa Sede di Etchmiadzine e la Chiesa cattolica dalla sua decisione di inviare osservatori al Concilio Vaticano II. Un avvicinamento fattosi poi ancora più stretto in occasione della memorabile visita resa dal compianto Catholicos a papa Paolo VI, nel maggio del 1970, quando, nel corso del loro incontro, firmarono insieme un’importante dichiarazione comune. Da quel giorno delegazioni delle nostre due Chiese hanno continuato nello scambio di visite allo scopo di approfondire quei legami di unità che un giorno permetteranno di ritrovarci tutti insieme intorno alla stessa mensa eucaristica.

In attesa di quel momento, che tutti noi ci auguriamo vicino, è mio vivo desiderio – e sono certo sarà anche il Suo – non solo conservare i buoni rapporti tra le nostre Chiese, ma anche intensificare i nostri contatti e collaborare più attivamente. Nella recente Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, indirizzata all’episcopato, al clero e ai fedeli cattolici, e concernente la preparazione del Giubileo dell’anno 2000, ho auspicato che i cristiani possano arrivare alla fine del secondo millennio se non del tutto uniti, almeno il più vicino possibile alla piena comunione delle Chiese (cf. n. 34). E affinché “cresca l’unità tra tutti i cristiani delle diverse Confessioni fino al raggiungimento della piena comunione”, ho espresso l’auspicio “che il Giubileo sia l’occasione propizia di una fruttuosa collaborazione nella messa in comune delle tante cose che ci uniscono e che sono certamente di più di quelle che ci dividono. Quanto gioverebbe in tale prospettiva che, nel rispetto dei programmi delle singole Chiese e Comunità, si raggiungessero intese ecumeniche nella preparazione e realizzazione del Giubileo: esso acquisterà così ancora più forza testimoniando al mondo la decisa volontà di tutti i discepoli di Cristo di conseguire al più presto la piena unità nella certezza che «nulla è impossibile a Dio»” (n. 16).

La certezza della “potenza” del Padre si manifesta in modo eclatante il giorno di Pasqua, nella resurrezione del Figlio: la morte è sconfitta, ingoiata dalla vittoria di Cristo (cf. 1 Cor 15, 54). Questo evento si impose ai discepoli ben venti secoli fa e nessuno da allora ha potuto più cancellarlo. E quello stesso evento continua a essere la nostra fede, la nostra speranza e la fonte della nostra gioia, quella gioia pasquale che ci è donata e che noi tutti proclamiamo dinanzi al mondo: Cristo è veramente risorto, alleluia!

Con questi sentimenti e con una fede rinnovata nella straordinaria forza dello Spirito del Signore, Le do assicurazione, carissimo Fratello, del mio profondo e fraterno amore.

Dal Vaticano, 5 aprile 1995.  

IOANNES PAULUS PP. II

 

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