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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
PER LA GIORNATA MONDIALE DELL' EMIGRAZIONE 1998

 

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. La Chiesa guarda all'intensificarsi dei flussi di migranti e rifugiati con viva sollecitudine pastorale e si interroga in merito alle cause di tale fenomeno ed alle particolari condizioni nelle quali vengono a trovarsi quanti sono costretti, per vari motivi, ad abbandonare la propria patria. In effetti, la situazione dei migranti e dei rifugiati nel mondo sembra farsi sempre più precaria. La violenza costringe talora intere popolazioni a lasciare la terra d'origine per sfuggire a perduranti atrocità; più frequentemente sono la miseria e la carenza di prospettive di sviluppo a spingere singoli e famiglie sulla via dell'esilio per cercare mezzi di sussistenza in paesi lontani, nei quali non è facile trovare adeguata accoglienza.

Molte sono le iniziative tese ad alleviare i disagi e le sofferenze dei migranti e dei rifugiati. Esprimo per chi a loro si dedica vivo apprezzamento insieme con un cordiale incoraggiamento a proseguire generosamente nell'attività di sostegno, superando le non poche difficoltà che s'incontrano sul cammino. Ai problemi connessi con le barriere culturali, sociali e, talvolta, persino religiose, si uniscono quelli legati ad altri fenomeni come la disoccupazione che affligge anche Paesi tradizionalmente meta di immigrazione, lo sfaldamento della famiglia, la carenza di servizi e la precarietà che investe tanti aspetti del vivere quotidiano. A tutto ciò si aggiunge il timore, da parte delle comunità di arrivo, di perdere la propria identità a causa della rapida crescita di questi "estranei" in virtù del dinamismo demografico, dei meccanismi legali del ricongiungimento familiare e dello stesso arruolamento clandestino nella cosiddetta economia sommersa. Quando viene meno la prospettiva di un'integrazione armoniosa e pacifica, il ripiegamento su di sé e la tensione con l'ambiente, la dispersione e la vanificazione delle energie diventano rischi reali, con risvolti negativi e talora drammatici. Gli uomini si ritrovano "più dispersi di prima, confusi nel loro linguaggio, divisi tra loro, incapaci di consenso e di convergenza" (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 13).

Un grande ruolo sia in positivo che in negativo possono svolgere, al riguardo, i mass media. La loro azione può favorire una giusta valutazione ed una maggiore comprensione dei problemi dei "nuovi arrivati", fugando pregiudizi e reazioni emotive, o invece alimentare chiusure ed ostilità, ostacolando e compromettendo una giusta integrazione.

2. Tutto ciò pone urgenti sfide alla comunità cristiana, che fa dell'attenzione verso i migranti ed i rifugiati una delle sue priorità pastorali. La Giornata Mondiale del Migrante costituisce, da questo punto di vista, un'occasione opportuna per riflettere sul come intervenire in modo sempre più efficace in questo delicato ambito d'apostolato.

Per il cristiano, l'accoglienza e la solidarietà verso lo straniero non costituiscono soltanto un dovere umano di ospitalità, ma una precisa esigenza che deriva dalla stessa fedeltà all'insegnamento di Cristo. Occuparsi dei migranti, per il credente, significa impegnarsi per assicurare a fratelli e sorelle giunti da lontano un posto all'interno delle singole comunità cristiane, lavorando perché ad ognuno siano riconosciuti i diritti propri di ogni essere umano. La Chiesa invita tutti gli uomini di buona volontà ad offrire il proprio contributo perché ogni persona sia rispettata e siano bandite le discriminazioni che umiliano la dignità umana. La sua azione, sorretta dalla preghiera, si ispira al Vangelo ed è guidata dalla sua secolare esperienza.

La Comunità ecclesiale svolge, altresì, un'azione di stimolo nei confronti dei responsabili dei popoli e della comunità internazionale, delle istituzioni e degli organismi a vario titolo coinvolti nel fenomeno della migrazione. Esperta in umanità, la Chiesa esercita questo suo compito sia illuminando le coscienze con l'insegnamento e la testimonianza, sia stimolando opportune iniziative per far sì che gli immigrati trovino il giusto posto all'interno delle singole società.

3. In particolare, essa esorta concretamente i migranti e i rifugiati cristiani a non chiudersi in se stessi, isolandosi dal cammino pastorale della diocesi o della parrocchia che li accoglie. Al tempo stesso, però, mette in guardia clero e fedeli dal tentare una loro semplice assimilazione, che ne annulli le caratteristiche peculiari. Essa favorisce piuttosto il graduale inserimento di questi fratelli, valorizzandone le diversità per costruire un'autentica famiglia di credenti, accogliente e solidale.

A tal fine, è bene che la comunità locale, in cui si inseriscono i migranti e i rifugiati, metta a loro disposizione strutture che li aiutino ad assumere attivamente le responsabilità che loro competono. In questa prospettiva, al sacerdote specificamente assegnato alla cura dei migranti è richiesto di farsi ponte tra culture e mentalità diverse. Ciò suppone in lui la consapevolezza di svolgere un vero ministero missionario "con il medesimo impulso con cui Cristo, attraverso la sua incarnazione, si legò a determinate condizioni sociali e culturali degli uomini con cui visse" (Ad gentes, 10).

Il fatto poi che qualche volta l'azione apostolica a favore dei migranti si svolga tra diffidenze e persino ostilità non può mai diventare motivo per abdicare all'impegno della solidarietà e della promozione umana. L'esigente affermazione di Gesù: "Ero forestiero e mi avete ospitato" (Mt 25, 35) conserva in ogni circostanza tutta la sua forza ed interpella la coscienza di quanti intendono seguirne le orme. Accogliere l'altro non è per il credente soltanto filantropia o naturale attenzione al proprio simile. E' molto di più, perché in ogni essere umano egli sa di incontrare Cristo, che attende di essere amato e servito nei fratelli, specialmente nei più poveri e bisognosi.

4. Gesù, il Figlio unigenito fatto uomo, è l'icona vivente della solidarietà di Dio con gli uomini. Egli "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2 Cor 8, 9). Solo una comunità cristiana attenta realmente agli altri accoglie ed attua il testamento lasciato da Gesù agli Apostoli nel Cenacolo, alla vigilia della sua morte sulla Croce: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34). Il Redentore chiede un amore che sia dono di sé, gratuito e disinteressato.

Risuonano quanto mai profetiche, al riguardo, le parole di san Giacomo che così scriveva alle "dodici tribù della diaspora", cioè probabilmente ai cristiani di origine giudaica dispersi nel mondo greco-romano: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa" (Gc 2, 14-17).

5. Mi piace qui additare il luminoso esempio di un apostolo, che ha saputo testimoniare in maniera viva e profetica l'amore di Cristo per i migranti. Parlo di Mons. Giovanni Battista Scalabrini, che proprio oggi, 9 novembre, ho avuto la gioia di proclamare Beato.

Egli ha vissuto dal di dentro il dramma dell'esodo dei migranti, che, negli ultimi decenni del secolo scorso, dall'Europa si dirigevano in gran numero verso i Paesi del Nuovo Mondo, ed ha visto con chiarezza la necessità di una cura pastorale specifica, mediante un'appropriata rete di assistenza sociale. In questa prospettiva, dando prova di fine intuito spirituale non meno che di concreto senso pratico, ha istituito la "Congregazione dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo". Ha, altresì, patrocinato con forza il varo di strumenti legislativi e istituzionali per la protezione umana e giuridica dei migranti contro ogni forma di sfruttamento.

Oggi, in situazioni sociali certamente diverse, i figli e le figlie spirituali di Mons. Scalabrini, a cui si sono successivamente unite, quali eredi del medesimo carisma, le "Missionarie Laiche Scalabriniane", continuano sulla sua stessa scia a testimoniare l'amore di Cristo per i migranti ed a proporre loro il Vangelo, universale messaggio di salvezza. Mons. Scalabrini sostenga con il suo esempio e con la sua intercessione quanti in ogni parte della terra lavorano al servizio dei migranti e dei rifugiati.

6. Per offrire una salda testimonianza cristiana in questo settore esigente e complesso, è importante "riscoprire lo Spirito Santo come Colui che costruisce il Regno di Dio nel corso della storia e prepara la sua piena manifestazione in Gesù Cristo" (Tertio millennio adveniente, 45).

Come dimenticare che il 1998 è dedicato allo Spirito Santo, il cui ruolo si è rivelato in maniera straordinariamente efficace nell'evento della Pentecoste? Scrivevo nel Messaggio per la XVI Giornata Mondiale della Pace: la discesa dello "Spirito Santo fece ritrovare ai primi discepoli del Signore, al di là della diversità delle lingue, il cammino regale della pace nella fraternità" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la pace del 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 3 (1982) 1554).

Nell'antica Babele la superbia aveva frantumato l'unità della famiglia umana. Lo Spirito della Pentecoste venne a ripristinare con i suoi doni la perduta unità, ricostituendola sul modello della comunione trinitaria, nella quale le tre Persone sussistono distinte nell'indivisa unità della natura divina. Quanti ascoltavano gli Apostoli, sui quali era disceso lo Spirito, rimanevano stupiti nell'intenderne la parola ognuno nella propria lingua (cfr At 2, 7-11). L'unanimità dell'ascolto, allora come oggi, non scompagina la diversità delle culture, poiché "qualsiasi cultura è uno sforzo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita umana". Al di là "di tutte le differenze che costituiscono gli individui e i popoli, c'è una fondamentale comunanza, dato che le varie culture non sono in realtà che modi diversi di affrontare la questione del significato dell'esistenza personale" (Giovanni Paolo II, Discorso alla 50ª Assemblea generale delle Nazioni Unite, 5 ottobre 1995: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII, 2 (1995) 738).

L'anno dello Spirito Santo invita, pertanto, i credenti a vivere più profondamente la virtù teologale della speranza, che offre loro motivazioni solide e profonde per l'impegno nella nuova evangelizzazione ed a favore di quanti, provenienti da Paesi e culture diversi, attendono il nostro aiuto per realizzare pienamente le proprie potenzialità umane.

7. Evangelizzare è rendere conto a tutti della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15). In tale dovere i primi cristiani, pur essendo una minoranza nella società, erano audacemente intraprendenti. Sorretti dalla parresia, infusa in loro dallo Spirito Santo, sapevano esprimere con franchezza la testimonianza della propria fede.

Anche oggi "i cristiani sono chiamati a prepararsi al Grande Giubileo dell'inizio del terzo millennio rinnovando la loro speranza nell'avvento definitivo del Regno di Dio, preparandolo giorno dopo giorno nel loro intimo, nella Comunità cristiana a cui appartengono, nel contesto sociale in cui sono inseriti" (Tertio millennio adveniente, 46).

Il fenomeno della mobilità umana evoca l'immagine stessa della Chiesa, popolo pellegrinante sulla terra, ma costantemente orientato verso la Patria celeste. Pur negli innumerevoli disagi che comporta, questo cammino richiama il mondo futuro la cui immagine prospettica stimola alla trasformazione del presente, che deve essere liberato dalle ingiustizie e dalle oppressioni in vista dell'incontro con Dio, meta ultima di tutti gli uomini.

Affido l'impegno apostolico della Comunità cristiana verso i migranti e i rifugiati a "Maria, che concepì il Verbo incarnato per opera dello Spirito Santo e che poi in tutta la propria esistenza si lasciò guidare dalla sua azione interiore... Ella ha portato a piena espressione l'anelito dei poveri di Jahvé, risplendendo come modello per quanti si affidano con tutto il cuore alle promesse di Dio" (Ivi, n.48). Con materna sollecitudine Ella accompagni quanti operano a favore dei migranti e dei rifugiati; asciughi le lacrime e consoli coloro che hanno dovuto abbandonare la propria terra e i propri affetti.

A tutti giunga confortatrice anche la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 9 Novembre dell'anno 1997, ventesimo di Pontificato.

 



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