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MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE
DELLA «GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE» 1993-1994

 

Carissimi fratelli e sorelle

1. Il fenomeno migratorio interessa tanta parte di umanità costretta, per varie ragioni, a lasciare i propri affetti, luoghi e tradizioni alla ricerca di un futuro migliore. Ai nostri giorni, esso ha assunto un carattere complesso ed inedito, che pone problemi nuovi acuendo ancor più le difficoltà tipiche di quanti sono coinvolti.

I migranti hanno bisogno di una specifica attenzione pastorale da parte della Comunità ecclesiale, sensibile non solo alle loro sofferenze personali bensì anche alle negative ripercussioni che le loro difficili condizioni di vita possono avere specialmente sulle rispettive famiglie. Il fenomeno migratorio tocca, infatti, in modo rilevante i nuclei familiari.

In occasione della prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, e nel contesto dell’Anno Internazionale della Famiglia, desidero invitare quanti a diverso titolo si preoccupano di promuovere l’autentico bene della famiglia a considerare attentamente le problematiche della famiglia emigrata, proprio in considerazione delle peculiari difficoltà che essa oggi si trova ad affrontare, talora in maniera drammatica.

È un dato certamente positivo il fatto che nella maggioranza dei Paesi si riconosca il diritto del migrante a convivere con la propria famiglia, e che molte Istituzioni internazionali lo abbiano ribadito, sottolineandone l’attualità e il valore. Si deve tuttavia costatare che il riconoscimento di tale diritto contrasta spesso con ostacoli di vario genere, che ne impediscono talora l’effettivo godimento.

Compito dello Stato è di non far mancare alle famiglie degli immigrati tenendo conto delle loro esigenze peculiari, quanto ordinariamente esso assicura a quelle dei propri cittadini. In particolare è compito dello Stato difenderle da ogni tentativo di emarginazione e razzismo, promovendo una cultura di convinta e operosa solidarietà. Predisporrà a tal fine ogni più idonea e concreta misura di accoglienza, insieme a quei servizi sociali atti a favorire, anche per loro, una esistenza serena ed uno sviluppo rispettoso della dignità umana.

2. I credenti, sono chiamati, ad un titolo particolare a collaborare a tale opera di alto valore civile e spirituale. Impegno particolarmente esigente e delicato che, prima ancora di lungimiranti provvedimenti sociali ed economici, suppone la creazione di un clima alimentato da spirito di solidarietà e di servizio. I migranti non hanno bisogno solo di “cose”: essi cercano soprattutto comprensione fraterna e fattiva. Essere a loro servizio esige che ci si sintonizzi con la loro naturale e legittima ansia di riscatto, sostenendone l’aspirazione a nuove e migliori opportunità di vita.

Come insegna il Concilio Vaticano II, “per quanto riguarda i lavoratori che, provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo sviluppo economico di un popolo o di una zona diversa dalla originaria, è da eliminare accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti, ed in primo luogo i poteri pubblici, devono accoglierli come persone, e non semplicemente come puri strumenti di produzione, e devono aiutarli perché possano accogliere presso di sé le loro famiglie” (Gaudium et spes, 66).

In questa prospettiva vanno affrontati i problemi connessi in vario modo al fenomeno migratorio, in particolare quelli della casa, del lavoro, della sicurezza, oltre che della diversità di lingua, di cultura e di educazione.

3. Le Comunità ecclesiali, poi, debbono trovare nella comune professione di fede una ragione in più per accogliere le famiglie cristiane dei migranti sentendosi responsabili della loro assistenza spirituale. Ricordino, però, “che non è possibile svolgere in maniera efficace questa cura pastorale, se non si tengono in debito conto il patrimonio spirituale e la cultura propria dei migranti” (Paolo VI, Motu proprio Pastoralis migratorum cura).

Tale cura pastorale va quindi considerata alla luce dei principi di valorizzazione e discernimento che reggono il rapporto tra l’unica fede e le diverse culture. “Le famiglie dei migranti... devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità” (Familiaris consortio, 77).

Ciò avverrà più facilmente se la pastorale dei migranti saprà valorizzare l’apporto delle varie comunità etniche evitando il rischio di dar vita ad una pastorale “emarginata” per degli “emarginati”.

I Vescovi hanno a cuore, per questo, di formare comunità etniche o linguistiche, istituendo parrocchie personali o missioni con cura d’anime laddove, a loro giudizio, sussistono condizioni di utilità ed opportunità pastorale (cf. Pastoralis migratorum cura, 33,1-2).

Integrarsi nelle comunità di accoglienza è certo per i migranti un processo naturale, e senza dubbio anche auspicabile; prudenza vuole, tuttavia, che non se ne forzino i tempi. Una specifica azione pastorale ad essi riservata, tutelando il rispetto dovuto alla loro diversa identità culturale e al peculiare loro patrimonio spirituale, serve a garantire il legittimo collegamento con il territorio d’origine nella fase del graduale inserimento sociale.

4. Preoccuparsi perché ciò avvenga in modo armonico è operare per il bene della famiglia, che deve essere aiutata a stimare i valori su cui essa si regge, soprattutto salvaguardandone l’unità e favorendo la comunione al suo interno. A tal fine occorre adoperarsi per creare fra i suoi membri un clima di dedizione e di serietà, di moralità e di preghiera, di ascolto costante della Parola del Signore e di esercizio quotidiano delle virtù, di partecipazione assidua ai sacramenti e di fiduciosa adesione al volere di Dio.

Anche l’educazione dei figli rimane, nel contesto dell’emigrazione, un punto di fondamentale importanza per una sana impostazione della vita familiare. La pastorale aiuterà i migranti a non farsi assorbire dalle attività lavorative a discapito di quei valori, dai quali dipendono la vera pace e felicità della famiglia e il suo progresso spirituale alla luce degli insegnamenti ecclesiali.

Va prestata, inoltre, la debita attenzione ai matrimoni misti e a quelli con dispensa da disparità di culto, favoriti e facilitati dall’odierno fenomeno migratorio come pure dal moderno clima di facile scambio culturale tra i popoli.

Non sottovalutino i giovani il ruolo che la fede è chiamata a svolgere nel processo di integrazione spirituale e affettiva, a cui ogni matrimonio per sua natura tende.

La celebrazione consapevole e prudente di un matrimonio misto richiede la conoscenza degli elementi di fondo che definiscono la fisionomia dell’una e dell’altra Chiesa o Comunità ecclesiale, di quel che le unisce e di quanto le differenzia. Superati eventuali pregiudizi, ognuno porterà nel matrimonio la propria sensibilità umana ed ecclesiale, nell’intento di arricchire la vita comune, e la stessa educazione dei figli, che sempre deve ispirarsi alla fede. Il coniuge cattolico si impegna a coltivare tali doveri nella linea della propria appartenenza ecclesiale (cf. Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, nn. 150-151).

5. Si registra oggi un considerevole aumento di matrimoni tra cattolici e persone appartenenti a religioni non cristiane. Il rispetto che si deve a tali esperienze religiose, sulla base dei principi indicati dalla dichiarazione Nostra aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, mai deve far dimenticare che “per questi matrimoni è necessario che le conferenze Episcopali e i singoli Vescovi prendano misure pastorali adeguate, dirette a garantire la difesa della fede del coniuge cattolico e la tutela del libero esercizio di essa, soprattutto per quanto concerne il dovere di fare quanto è in suo potere perché i figli siano battezzati ed educati cattolicamente. Il coniuge deve essere altresì sostenuto in ogni modo nel suo impegno di offrire all’interno della famiglia una genuina testimonianza di fede e di vita cattolica” (Familiaris consortio, 78). Richiamo tanto più urgente quanto più forte è l’eventualità che la parte cattolica debba seguire quella non cristiana in un Paese dove la religione dominante fa sentire il proprio influsso sull’intero tessuto sociale, restringendo, di fatto, ogni spazio di libertà ad altre professioni di fede.

6. Carissimi fratelli e sorelle migranti! È a voi, soprattutto, che si rivolge ora con affetto il mio pensiero. A voi che vivete lontani dalla famiglia, costretti a restare a lungo soli, sradicati dal contesto familiare e sociale. Il Signore vi è vicino!

Possa la comunità cristiana, grazie allo spirito di accoglienza che deve animarla, farvi sentire concretamente che “nessuno è senza famiglia in questo mondo; la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati ed oppressi»” (Familiaris consortio, 85).

Rifulga dinanzi alle vostre famiglie il modello della Casa di Nazaret, provata anch’essa dalla povertà, dalla persecuzione e dall’esilio. Costretta dalla minaccia, che incombeva sulla vita del Redentore, la Santa Famiglia sperimentò la fuga improvvisa, in un clima drammatico, denso di ansie ed angosce a voi ben note per diretta esperienza.

La Famiglia di Nazaret vi assista. Vi sostenga Gesù, nello sforzo di fedeltà alla vocazione cristiana e di serena adesione alla volontà divina. San Giuseppe, “uomo giusto” e lavoratore instancabile, vi illumini e vi guidi. Maria, Madre della Chiesa, sia madre premurosa anche di quelle “chiese domestiche”, che sono le vostre famiglie: vegli su di voi, sulle vostre fatiche e speranze; vi aiuti a percorrere il cammino cristiano con coraggio, dignità e fede.

Con tali sentimenti ed auspici, rinnovo a tutti l’espressione della mia cordiale solidarietà, avvalorata da una particolare benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 6 agosto dell’anno 1993, festa della Trasfigurazione del Signore, quindicesimo di pontificato.

 



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