Index   Back Top Print

[ EN  - ES  - FR  - IT  - PT ]

PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(2-10 GIUGNO 1979)

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO POLACCO
IN CONFERENZA PLENARIA A JASNA GORA

Czestochowa
Martedì, 5 giugno 1979

 

1. Desidero prima di tutto esprimere la mia gioia e la mia profonda commozione per il nostro incontro di oggi. La Conferenza dell’Episcopato Polacco è la comunità e l’ambiente, dal quale Cristo – per suo imperscrutabile disegno – mi ha chiamato il 16 ottobre 1978 alla Cattedra di San Pietro in Roma, manifestando la sua volontà attraverso i voti del Sacro Collegio, radunato in Conclave nella Cappella Sistina. Avendo oggi la fortuna di partecipare nuovamente all’assemblea plenaria della Conferenza dell’Episcopato Polacco a Jasna Gora, non posso non esprimere soprattutto i miei sentimenti di gratitudine e di fraterna solidarietà, che risalgono agli inizi stessi della mia nomina a vescovo nel 1958. Ricordo che la prima Conferenza a cui ho partecipato come vescovo eletto ebbe luogo anche allora a Jasna Gora, nei primi giorni di settembre.

Durante i venti anni di appartenenza e di partecipazione ai lavori della Conferenza dell’Episcopato Polacco, ho appreso moltissimo, sia dai singoli membri di questa comunità episcopale, iniziando dall’Eminentissimo Primate di Polonia, come pure dalla comunità in quanto tale. Ciò infatti che caratterizza in modo particolare la Conferenza dell’Episcopato Polacco è quell’unità, che è sorgente di forza spirituale. L’Episcopato Polacco, proprio per questa sua unità, serve in modo particolare la Chiesa in Polonia, come anche la Chiesa universale. La società si rende ben conto di questo e nutre verso l’Episcopato Polacco una giusta, meritata fiducia. Questa fiducia si riferisce a tutto l’Episcopato, a tutti gli Arcivescovi e Vescovi nelle loro diocesi, e particolarmente al Primate di Polonia, del quale desidero dire oggi ciò che ho già espresso più volte, e cioè che egli è un uomo provvidenziale per la Chiesa e per la Patria. Lo manifestano non soltanto i Polacchi, ma anche persone appartenenti alle altre nazioni d’Europa e del mondo, che insieme a noi ringraziano il Signore per aver dato tanto potere all’uomo (cf. Mt 9,8).

Durante i venti anni del mio ministero episcopale, nei quali ho potuto servire la Chiesa di Cracovia – prima a fianco dell’Arcivescovo Eugenio Baziak di santa memoria (metropolita della orfana diocesi di Leopoli), poi come successore del metropolita di Cracovia e cardinale Adamo Stefano Sapieha nella cattedra di San Stanislao – si sono accumulati nel mio cuore grandi debiti di riconoscenza, dei quali cerco di sdebitarmi come posso, col ricordo e con la preghiera per i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi polacchi viventi e defunti. Questi defunti non si cancellano dalla mia memoria: specialmente coloro a cui mi e stato dato di trovarmi, attraverso la collaborazione, più vicino, nel raggio di influenza della loro personalità, così come nel caso dei sunnominati Arcivescovi di Cracovia, del compianto Cardinale Boleslao Kominek, metropolita di Wroclaw, dell’Arcivescovo Antonio Baraniak, metropolita di Poznan, e di tante magnifiche indimenticabili figure di Vescovi ordinari ed ausiliari, piene di originalità umana e di autenticità cristiana che il Signore ha chiamato a sé durante questo ventennio. Non posso non ricordare il compianto Cardinale Boleslao Filipiak, che per molti anni della sua vita ha servito la Santa Sede, e col quale mi sono incontrato tante volte a Roma.

La partecipazione ai lavori dell’Episcopato Polacco mi ha permesso di avvicinarmi alla problematica della Chiesa contemporanea nella sua dimensione universale. E questo è avvenuto soprattutto grazie al Concilio, al quale ho avuto la fortuna di prendere parte dal primo all’ultimo giorno. Entrando in questa vasta problematica che il Vaticano II ha puntualizzato in tutti i suoi documenti, ho potuto rendermi conto di quanto sia particolare e responsabile il posto che la Polonia, e specialmente la Chiesa polacca, ha nella grande carta del mondo contemporaneo, al quale tutti noi siamo mandati come erano stati mandati gli Apostoli al momento dell’Ascensione di Cristo, con le seguenti parole: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19). Questa coscienza si è ulteriormente approfondita durante gli anni post-conciliari, grazie specialmente ai lavori del Sinodo dei Vescovi, alle Congregazioni della Sede apostolica e grazie anche agli incontri con i rappresentanti di diversi Episcopati sia Europei che Extraeuropei. Una delle occasioni sono state le visite tra gli emigrati polacchi, che ho compiuto più volte a nome dell’Episcopato Polacco.

Ricordo oggi tutto ciò con gratitudine. L’appartenenza alla Conferenza Episcopale Polacca e la molteplice partecipazione ai suoi lavori è stata confermata dalla Provvidenza come la via più consona per la preparazione a quel ministero che dal 16 ottobre debbo esercitare nei riguardi di tutta la Chiesa universale. Desidero dire ciò all’inizio della mia allocuzione, indirizzata a questa insolita assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Polacca che si svolge oggi.

2. L’anno 1979 è nella Chiesa della mia patria l’anno di San Stanislao. Sono trascorsi 900 anni dalla morte che egli subì dalle mani del re Boleslao l’Ardito a Skalka. La morte del vescovo che annunciava a tutti – non escluso il re – la verità della fede e della morale cristiana ha avuto un significato di particolare testimonianza data al Vangelo e al Cristo stesso. Stanislao di Szczepanów ha subìto la morte così da essere annoverato, nella tradizione della Chiesa, nel numero dei martiri. Agli inizi della nostra storia, nel II secolo del cristianesimo in Polonia, quel vescovo-martire, sangue del sangue e ossa delle ossa della nazione, si è associato ad un altro vescovo-martire, che apparteneva ancora alla generazione missionaria e all’epoca del Battesimo: a San Wojciech, oriundo Ceco. Lo ricordo perché, nella memoria del Popolo di Dio in terra polacca, queste due figure sono congiunte e sono circondate da una particolare venerazione e devozione.

Stanislao di Szczepanów è stato vescovo di Cracovia e membro dell’Episcopato Polacco d’allora, e perciò l’attuale Episcopato Polacco ha particolari ragioni per circondare di singolare venerazione la sua figura e soprattutto l’anniversario del suo martirio. Ciò avviene nell’arcidiocesi di Cracovia fin dal 1972, invece nella diocesi di Tarnów, sul territorio della quale si trova Szczepanów – luogo della nascita del Santo – si celebra l’“Anno di San Stanislao”. Come vescovo e pastore sulla Cattedra di Cracovia, San Stanislao fu uno dei pilastri di quell’ordine gerarchico che si è stabilito sulle terre dei Piast sin dall’anno 1000. Abbiamo particolari ragioni per ringraziare continuamente Dio per le solide basi di quell’ordine, istituito durante il Congresso di Gniezno sulla base della missione apostolica di San Wojciech e sul suo martirio. E proprio a questo corpo martoriato, che Boleslao il Prode ha traslato con venerazione a Gniezno, sono venuti i legati del Papa Silvestro II e l’imperatore Ottone II. La Polonia dei Piast, che sin dal 968 “cepit habere episcopum” a Poznan – relativamente presto, perché appena dopo 34 anni dopo il battesimo di Mieszko – ha ottenuto la propria organizzazione ecclesiastica: metropoli a Gniezno con le sedi vescovili a Cracovia, Wroclaw e Kolobrzeg.

Questi fatti sono universalmente noti. Tuttavia e impossibile non ricordarli in questa straordinaria circostanza, che oggi viviamo insieme, e non riferirmi ad essi.

L’ordine gerarchico è un elemento costitutivo della Chiesa di Cristo, come ce l’ha ricordato magistralmente la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium. La Chiesa che, come Popolo di Dio, è stata costruita sul mistero dell’Incarnazione e della Redenzione e che continuamente nasce dalla discesa dello Spirito Santo, è la realtà visibile di un ordinamento gerarchico chiaramente definito. Questo ordinamento determina la Chiesa come comunità e società ben definita, che attraverso il proprio ordinamento gerarchico si iscrive nella storia dell’umanità, nella storia dei singoli popoli e nazioni. Giustamente veneriamo quindi San Wojciech come patrono dell’ordine gerarchico nella nostra patria. Giustamente ricordiamo e apprezziamo i grandi corifei del Convegno di Gniezno. La Chiesa, attraverso la formale struttura gerarchica che in quel tempo ha ottenuto in Polonia, si è saldamente inserita nella storia della Nazione. L’anno 1000 è una data che, con ragioni ben fondate, leghiamo alla data del Battesimo avvenuto nel 966.

La conoscenza della storia della Polonia ci dirà ancora di più: non soltanto nel 1000 è stato decisamente iscritto nella storia della Nazione l’ordinamento gerarchico della Chiesa, ma anche la storia della Nazione è stata in un modo provvidenziale radicata nella struttura della Chiesa in Polonia, struttura che dobbiamo al Convegno di Gniezno. Questa affermazione trova il suo riscontro nei vari periodi della storia della Polonia e particolarmente nei periodi più difficili. Quando sono mancate le strutture nazionali e statali, la società, in maggior parte cattolica, ha trovato l’appoggio nell’ordinamento gerarchico della Chiesa; e ciò l’ha aiutata a superare i tempi della spartizione del Paese e dell’occupazione, l’ha aiutata a mantenere, e perfino ad approfondire, la coscienza della propria identità. Forse qualche estraneo riterrà questa situazione “atipica”, tuttavia per i Polacchi essa ha un’eloquenza inconfondibile. È questa semplicemente una parte della verità della storia della propria patria.

L’Episcopato della Polonia contemporanea è in modo particolare erede e rappresentante di questa verità. Il fatto che, lungo un millennio di storia, il patrocinio dei santi vescovi e martiri Wojciech e Stanislao ha accompagnato i pensieri e i cuori dei Polacchi, ha una sua profonda motivazione.

3. Quando nell’anno 1000 è sorta in Polonia la struttura fondamentale dell’ordinamento gerarchico della Chiesa, essa è sorta, sin dagli inizi, nell’unità della gerarchia con l’ordinamento della Chiesa universale e cioè con la Sede Apostolica. In tale rapporto la struttura della Chiesa dura ininterrotta nella nostra Patria sino ad oggi. Grazie a ciò la Polonia è cattolica ed è “sempre fedele”. L’unità della struttura gerarchica, il legame dell’Episcopato Polacco con la Sede di Pietro costituisce la base di questa unità nella sua dimensione universale. La Chiesa in Polonia, lungo tutti i secoli, è stata fortemente e incrollabilmente radicata in quell’universalità, che è uno dei segni della Chiesa di Cristo. La Costituzione Lumen Gentium lo ha esaurientemente approfondito sotto vari aspetti, dimostrando contemporaneamente in quale modo la dimensione universale della Chiesa sia legata alla missione e al ministero di Pietro.

Sappiamo bene che questo radicarsi della Chiesa in Polonia nella sua cattolicità sin dal momento del Battesimo e del Convegno di Gniezno e lungo tutta la storia ha un significato particolare per la vita spirituale della Nazione. E ha anche un significato per la sua cultura, che è contrassegnata non soltanto dalla tradizione di visibili legami con Roma, ma possiede anche le caratteristiche dell’universalità proprie del cattolicesimo e dell’apertura verso tutto ciò che nello scambio universale dei beni diventa porzione di ciascuno di quelli che vi prendono parte. Quest’affermazione potrebbe essere convalidata da innumerevoli argomenti presi dalla nostra storia. Uno di questi argomenti potrebbe essere anche il fatto che oggi viviamo insieme, e cioè che con l’Episcopato Polacco s’incontra oggi un Papa Polacco.

Generalmente si afferma che la partecipazione del popolo polacco all’eredità spirituale della Chiesa, che risulta dalla sua universale unità, è diventata elemento di unione e di sicurezza dell’identità e dell’unità della Nazione nei periodi particolarmente difficili. Questi periodi erano anche particolarmente contrassegnati dall’irradiarsi dello spirito cristiano. Lo conferma il secolo XIX e per noi lo confermano gli ultimi decenni del secolo attuale. Dopo il periodo di occupazione che, come si sa, è stato una terribile e mortale minaccia per la sopravvivenza della Polonia, è subentrato un periodo di grandi trasformazioni che hanno trovato una loro espressione esteriore, ad esempio nel regolamento completamente nuovo delle frontiere dello Stato.

In questo contesto il legame, da secoli sperimentato, tra la vita della Nazione e l’attività della Chiesa, si è ancora una volta attuato davanti ai nostri occhi. La normalizzazione dei rapporti ecclesiastici nell’ambito dei nuovi confini dello Stato polacco e, in particolare, nei territori dell’Ovest e del Nord, ha confermato chiaramente ciò che è stato l’anno 1000 o i tempi di San Wojciech e di San Stanislao. L’ordinamento gerarchico della Chiesa è diventato non soltanto il centro della sua missione pastorale, ma anche un evidente appoggio per tutta la vita della società, per la nazione consapevole dei suoi diritti di esistere, che, come Nazione in stragrande maggioranza cattolica, cerca anche questo appoggio nelle strutture gerarchiche della Chiesa. Tale è l’eloquenza degli avvenimenti che hanno avuto il loro inizio ai tempi del pontificato di Papa Pio XII nel 1945, poco dopo la fine della guerra e dell’occupazione, con la memorabile missione del Cardinale Augusto Hlond, Primate di Polonia, e conclusi con le ultime decisioni del Papa Paolo VI nel giugno del 1972, quando, nella arcidiocesi di Cracovia, ha avuto inizio il giubileo di sette anni del servizio pastorale di San Stanislao. Cosa significativa è che proprio durante la Conferenza Plenaria a Cracovia, il 28 giugno, queste importanti decisioni di Paolo VI sono state rese note al pubblico.

L’ordine gerarchico della Chiesa trova la sua chiave di volta nella missione e nel ministero di Pietro. La Sede Apostolica attinge da questa missione e da questo ministero il carattere che le è proprio. Non è questo un carattere di struttura laica e politica, anche se, per motivi ancor oggi validi, alla Sede Romana è ancora legata una rimanenza dell’antico Stato pontificio. Tuttavia come tale Stato che nel suo aspetto storico ha cessato di esistere nel 1870, così anche quello che attualmente ne rimane, e che è soltanto simbolico, è garanzia della sovranità della Sede Apostolica nei confronti del mondo e costituisce una base su cui si appoggia ciò che alla Sede Apostolica è essenziale: questo risulta unicamente ed esclusivamente dalla natura della Chiesa, dalla sua missione apostolica, dal servizio evangelico della verità e dell’amore, dalla missione pastorale a cui soprattutto serve l’ordinamento gerarchico della Chiesa. I capitoli dedicati a questo ordinamento gerarchico e alla sua motivazione si trovano nella Costituzione Lumen Gentium, dopo i capitoli che trattano del mistero della Chiesa e dell’universale missione del Popolo di Dio.

Soltanto avendo davanti agli occhi questa adeguata e corretta immagine della Chiesa e, nel suo organico insieme, l’immagine propria della Sede Apostolica, possiamo stabilire in modo esatto il significato della questione che da molti anni è divenuta di grande attualità in Polonia, e cioè la questione della normalizzazione dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Bisogna parlare qui di questa attualità che ha nuovi aspetti, perché la suddetta questione ha dietro di sé, per cause comprensibili, una lunga e ricca storia alla quale non si può non riferirsi. L’Episcopato Polacco, in stretta collaborazione con la Sede Apostolica, specialmente durante il pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI, ha fatto moltissimo per la causa di questa normalizzazione. Prima di tutto ha stabilito una serie di elementi concreti sui quali basarla. L’aiuto fondamentale a questo lavoro d’avanguardia è stato la dottrina contenuta nei documenti del Concilio Vaticano II e soprattutto l’essersi potuti valere della Dichiarazione sulla libertà religiosa, documento che collima direttamente con i principi promulgati in fondamentali documenti statali e internazionali, tra i quali la costituzione della Repubblica Popolare Polacca. È chiaro che l’applicazione concreta di questi principi può rispondere all’idea della “libertà religiosa”, soltanto quando prenda in considerazione i reali bisogni della Chiesa legati alla sua molteplice attività.

Di questo tema, come anche della disponibilità della Chiesa alla collaborazione con tutti i Paesi e con tutti gli uomini di buona volontà, ho parlato il 12 gennaio scorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede. Ecco un brano a tale proposito:

“En prenant des conctacts – entre autres par le moyen des représentations diplomatiques – avec tant d’Etats au profil si divers, le Siège Apostolique désire avant tout exprimer sa profonde estime pour chaque nation et chaque peuple, pour sa tradition, sa culture, son progrès en tout domaine, comme je l’ai déjà dit dans les lettres adressées aux Chefs d’Etat à l’occasion de mon élection au Siège de Pierre. L’Etat, comme expression de l’autodétermination souveraine des peuples et nations, constitue une réalisation normale de l’ordre social. C’est en cela que consiste son autorité morale. Fils d’un peuple à la culture millénaire qui a été privé durant un temps considérable de son indépendance comme Etat, je sais, par expérience, la haute signification de ce principe.

Le Siège Apostolique accueille avec joie tous les représentants diplomatiques, non seulement comme porte-parole de leurs propres Gouvernements, régimes et structures politiques, mais aussi et surtout comme représentants des peuples et des nations qui, à travers ces structures politiques, manifestent leur souveraineté, leur indépendance politique et la possibilité de décider de leur destinée de façon autonome. Et il le fait sans aucun préjugé quant à l’importance numérique de la population: ici, ce n’est pas le facteur numérique qui est décisif.

Le Siège Apostolique se réjouit de la présence de si nombreux représentants; il serait même heureux d’en voir beaucoup d’autres, spécialement des nations et populations qui avaient parfois à cet égard une tradition séculaire.Je pense surtout ici aux nations qu’on peut considérer comme catholiques. Mais aussi à d’autres. Car, actuellement, de même que se développe l’œcuménisme entre l’Eglise catholique et les autres Eglises chrétiennes, de même qu’on tend à nouer des contacts avec tous les hommes en faisant appel à la bonne volonté, de même ce cercle s’élargit...

Le Siège Apostolique veut être, conformément à la mission de l’Eglise, au centre de ce rapprochement fraternel. Il désire servir la cause de la paix, non pas à travers une activité politique, mais en servant les valeurs et les principes qui conditionnent la paix et le rapprochement, et qui sont à la base du bien commun international...

Nous voyons bien que l’humanité est divisé de multiplex façons. Il s’agit aussi, et peut-être par-dessus tout, de divisions idéologiques liées aux divers systèmes étatiques. La recherche de solutions permettant aux societés humaines d’accomplir leurs propres tâches, de vivre dans la justice, est peut-être le principal signe de notre temps. Il faut respecter tout ce qui peut servir ceste grande cause, en quelque régime que ce soit.Il faut tirer avantage des expériences réciproques...

Le Siège Apostolique, qui en a déjà donné la preuve, est toujours prêt a manifester son ouverture à l’égard de tout pays ou régime, en cherchant le bien essentiel qui est le véritable bien de l’homme. Un bon nombre d’exigences corrélatives à ce bien ont été exprimées dans la “Déclaration des droits de l’homme” et dans les Pactes internationaux qui en permettent concrètement l’application ”

Traduzione del testo in lingua francese:

[“Prendendo contatto – anche attraverso le rappresentanze diplomatiche – con tanti Stati dal profilo così diverso, la Sede Apostolica desidera anzitutto esprimere la sua profonda stima per ogni nazione e ogni popolo, per le sue tradizioni, la sua cultura e il suo progresso in ogni campo: l’ho già detto nelle mie lettere ai Capi di Stato in occasione della mia elezione alla Sede di Pietro. Lo Stato, come espressione della sovrana autodeterminazione dei popoli e delle nazioni, costituisce una realizzazione normale dell’ordine sociale: in questo sta la sua autorità morale. Figlio di un popolo dalla cultura millenaria che per un tempo considerevole è stato privato della sua indipendenza come Stato, io so, per esperienza, l’alto significato di questo principio.

La Sede Apostolica accoglie con gioia tutti i rappresentanti diplomatici: non soltanto come portavoce dei loro Governi, regimi e strutture politiche, ma anche e soprattutto dei popoli e delle nazioni che, attraverso quelle strutture politiche manifestano la loro sovranità, la loro indipendenza politica e la possibilità di decidere autonomamente del loro destino. E lo fa senza alcun pregiudizio relativo all’importanza numerica della popolazione: non è decisivo, qui, il fattore numerico.

La Sede Apostolica gode per così folta presenza di rappresentanti: sarebbe anzi felice di vederne molti altri, specialmente delle nazioni e popoli che un tempo avevano al riguardo una tradizione secolare. Penso soprattutto alle nazioni che si possono considerare come cattoliche; ma anche ad altre. Infatti, al presente, man mano che si sviluppa l’ecumenismo tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane, man mano che si tende a stringere rapporti con tutti sulla base della buona volontà, di pari passo questo cerchio si allarga...

In linea con la missione della Chiesa, la Sede Apostolica vuole esser al centro di tale fraterna intesa; e desidera favorire i valori e i principi che condizionano la pace e il ravvicinamento e che sono alla base del bene comune internazionale...

Noi vediamo bene che l’umanità è divisa sotto diversi aspetti. Si tratta anche, e forse soprattutto, di divisioni ideologiche legate ai differenti sistemi statali. Forse, il principale segno del nostro tempo è la ricerca di soluzioni che permettano alle società umane di realizzare i loro compiti e di vivere nella giustizia. Occorre rispettare quanto può servire questa grande causa, e sotto qualsiasi regime; occorre trarre insegnamento dalle reciproche esperienze...

La Sede Apostolica, che ne ha già dato la prova, è sempre pronta a manifestare la sua apertura verso ogni Paese o regime: essa cerca il bene essenziale che è il vero bene dell’uomo. Un buon numero di esigenze in rapporto con tale bene sono state espresse nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” e nei Patti internazionali che ne permettono concreta applicazione...” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad nationum Legatos apud Sedem Apostolicam, 12 gennaio 1979: AAS 71 [1979] 354-357).]

L’Episcopato Polacco ha le proprie esperienze in questo importante campo. Basandosi sulla dottrina del Vaticano II ha elaborato un insieme teorico di documenti, noti alla Sede Apostolica, e, nello stesso tempo, ha elaborato un insieme di atteggiamenti pastorali pratici che confermano la disponibilità al dialogo, dimostrando chiaramente che l’autentico dialogo deve rispettare le convinzioni dei credenti, assicurare tutti i diritti dei cittadini e le condizioni normali per l’attività della Chiesa come comunità religiosa, alla quale appartiene la stragrande maggioranza dei Polacchi. Ci rendiamo conto che questo dialogo non può essere facile, perché si svolge tra due posizioni di concezione del mondo diametralmente opposte, ma deve essere possibile ed efficace se lo esige il bene dell’uomo e della nazione. Occorre che l’Episcopato Polacco non cessi di intraprendere con sollecitudine iniziative importanti per la Chiesa attuale. Bisogna inoltre che in avvenire siano chiari i principi di procedura che nella situazione attuale sono stati elaborati all’interno della comunità ecclesiale, sia riguardo all’atteggiamento del clero o dei laici, sia allo “status” delle singole istituzioni. La chiarezza dei principi, come pure la loro attuazione pratica, è sorgente di forza morale e, inoltre, serve al processo di una vera normalizzazione...

A favore della normalizzazione dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato nella nostra epoca la causa dei diritti fondamentali dell’uomo, tra i quali il diritto alla libertà religiosa, ha un suo indubbio significato, che sotto un certo aspetto è fondamentale e centrale. La normalizzazione dei rapporti Chiesa-Stato costituisce una prova pratica del rispetto di questo diritto e di tutte le sue conseguenze nella vita della comunità politica. Così concepita, la normalizzazione è anche una pratica manifestazione del fatto che lo Stato comprende la sua missione verso la società secondo il principio di sussidiarietà (“principium subsidiarietatis”), che cioè vuole esprimere la piena sovranità della nazione. In relazione alla Nazione polacca, riguardo al suo eccezionale millenario e all’attuale collegamento con la Chiesa cattolica, quest’ultimo aspetto acquista un significato particolare.

4. Attraverso tutta questa considerazione, specialmente nella sua parte finale, siamo profondamente penetrati nell’ambito delle ragioni etiche, che costituiscono la fondamentale dimensione della vita umana, anche nel campo di quell’attività che viene definita politica. In conformità alla tradizione del pensiero europeo, che risale alle opere dei più grandi filosofi dell’antichità e che ha trovato la sua piena conferma e il suo approfondimento nel Vangelo e nel cristianesimo, anche – anzi, soprattutto – l’attività politica trova il proprio senso nella sollecitudine per il bene dell’uomo, che è un bene di natura etica. Di qui attinge le sue più profonde premesse tutta la cosiddetta dottrina sociale della Chiesa che, particolarmente nella nostra epoca, a cominciare dalla fine del XIX secolo, si è enormemente arricchita di tutta la problematica contemporanea. Ciò non significa che essa sia sorta soltanto a cavallo dei due ultimi secoli; esisteva infatti sin dall’inizio, come conseguenza del Vangelo e della visione dell’uomo da esso portata nei rapporti con gli altri uomini, e particolarmente nella vita comunitaria e sociale.

San Stanislao viene chiamato patrono dell’ordine morale in Polonia. Forse proprio nella sua figura si vede in modo chiarissimo quanto profondamente penetri l’ordine morale – così fondamentale per l’uomo, per l’“humanum” – nelle strutture e negli strati dell’esistenza della nazione come Stato, nelle strutture e negli strati dell’esistenza politica. Non possiamo mai meditare abbastanza sul modo in cui quel Santo Vescovo di Cracovia, che ha subìto la morte per mano di un rappresentante eminente della dinastia dei Piast, sia stato poi ben accolto specialmente nel XIII secolo, dai successori di quella stessa dinastia e, in seguito – dopo la canonizzazione avvenuta nel 1253 – sia stato venerato come Patrono dell’unità della Patria, che a motivo delle divisioni dinastiche si è trovata smembrata. Certamente, questa insolita tradizione del culto di San Stanislao getta una particolare luce sugli avvenimenti del 1079, durante i quali il Vescovo di Cracovia subì la morte, mentre il re Boleslao l’Ardito perse la corona e fu costretto a lasciare la Polonia. E anche se Gall-Anonim, scrivendo la sua cronaca alcune decine di anni dopo, ha usato nei riguardi del vescovo Stanislao l’espressione “traditor”, tali o simili espressioni le troviamo in quel tempo applicate a diversi altri vescovi (come ad esempio San Tommaso Becket in Inghilterra) oppure perfino ai papi (ad esempio San Gregorio VII), che si sono meritati l’aureola di Santi. Evidentemente, il ministero episcopale è stato a volte esposto al pericolo di perdere la vita per pagare così il prezzo dell’annuncio della verità e della legge divina.

Il fatto che San Stanislao, che la storia proclama “Patrono dei Polacchi”, sia stato riconosciuto da parte dell’Episcopato Polacco soprattutto come Patrono dell’ordine morale, trova la sua motivazione nell’eloquente etica della sua vita e della sua morte e anche in tutta la tradizione, che si è espressa attraverso le generazioni della Polonia dei Piast, degli Jagelloni e dei re eletti, giungendo fino ai nostri tempi. Il patronato dell’ordine morale che riferiamo a San Stanislao è soprattutto legato al riconoscimento universale dell’autorità della legge morale, cioè della legge di Dio. Questa legge obbliga tutti, sia i sudditi che i governanti. Essa costituisce la norma morale, ed è un criterio essenziale di valore dell’uomo. Soltanto quando partiamo da questa legge, cioè dalla morale, può essere rispettata e riconosciuta universalmente la dignità della persona umana. Quindi, la morale e la legge sono le condizioni fondamentali per l’ordine sociale. Sulla legge si costruiscono gli Stati e le Nazioni, che senza di essa periscono.

L’Episcopato Polacco, con profondo senso di responsabilità per le sorti della nazione, mette sempre in evidenza nei suoi programmi pastorali l’insieme delle minacce di natura morale, con le quali combatte l’uomo della nostra epoca, l’uomo della civiltà moderna. Queste minacce riguardano sia la vita personale che quella sociale, gravando particolarmente sulla famiglia e sull’educazione dei giovani. Bisogna difendere gli sposi, i nuclei familiari dal peccato, dal grave peccato contro la vita concepita. È noto infatti che le circostanze di quel peccato gravano sulla morale della società, e le sue conseguenze minacciano il futuro della nazione. Bisogna poi difendere l’uomo dai peccati di immoralità e di abuso di alcolici, perché portano in sé l’umiliazione della dignità umana e, nella vita sociale, hanno conseguenze incalcolabili. Bisogna sempre vegliare, sempre tener deste le coscienze umane, sempre ammonire davanti alla violazione dei principi morali, sempre spingere alla realizzazione del comandamento della carità, perché l’insensibilità interiore mette facilmente radici nei cuori umani.

Questa e l’eterna problematica, che non soltanto non ha perso attualità nei nostri tempi, ma è divenuta ancor più chiara e lampante. La Chiesa ha bisogno di ordine gerarchico per poter servire efficacemente l’uomo e la società nel campo dell’ordine morale. Di questo ordine San Stanislao è espressione, simbolo e patrono. La tradizione nazionale vede il posto di San Stanislao proprio alle basi della cultura polacca. L’Episcopato Polacco, fissando lo sguardo sul grande protagonista della storia della Patria, non solo può, ma è addirittura obbligato a sentirsi custode di questa cultura. Esso deve aggiungere alla sua attuale missione e ministero una particolare sollecitudine per tutto il patrimonio culturale polacco, di cui sappiamo in quale misura sia impregnato della luce del cristianesimo. È noto inoltre che proprio la cultura è la prima e fondamentale prova dell’identità della nazione. La missione dell’Episcopato Polacco, in quanto continuazione di quella di San Stanislao, è contrassegnata, in un certo modo, dal suo carisma storico e perciò rimane in questo campo evidente e insostituibile.

5. È difficile considerare il nostro grande Giubileo del novecentesimo anniversario della morte di San Stanislao, prescindendo dal contesto europeo. Così come è difficile considerare e vivere il millennio del Battesimo della Polonia senza riferirsi a quel contesto. Oggi quel contesto si è esteso al di là dell’Europa, soprattutto perché i figli e le figlie di tante nazioni europee – fra i quali anche i Polacchi – hanno popolato e formato la vita sociale in altri continenti. Tuttavia il contesto europeo sta qui indubbiamente alle basi stesse. Già le menzionate analogie della causa di San Stanislao con quelle di altre Nazioni e Stati, dello stesso periodo storico, dimostrano chiaramente quanto la Polonia dell’XI secolo facesse parte dell’Europa e partecipasse ai suoi problemi, sia nella vita della Chiesa che in quella delle comunità politiche di quel tempo. Così dunque il giubileo di San Stanislao, che ha soprattutto una sua dimensione polacca e nostrana e natia lo viviamo giustamente nel contesto europeo e non possiamo fare altrimenti. Grandemente preziosa ed eloquente è quindi la presenza dei Rappresentanti delle numerose Conferenze Episcopali d’Europa qui venuti per questa circostanza.

È provvidenzialmente accaduto che il 18 maggio dell’anno corrente io abbia partecipato alla celebrazione del 35° anniversario della battaglia di Monte Cassino e della vittoria ivi riportata, alla quale hanno in gran parte contribuito i miei connazionali. Sullo stesso Monte Cassino abbiamo reso onore a San Benedetto riferendoci al prossimo 1500° anniversario della sua nascita: quel San Benedetto che fu da Paolo VI proclamato Patrono d’Europa.

Se mi permetto un tale riferimento nell’odierna ricorrenza, lo faccio in relazione al contesto europeo di San Stanislao e anche del suo giubileo che stiamo celebrando. L’Europa che durante la sua storia è stata più volte divisa, l’Europa che verso la fine della prima metà del nostro secolo è stata tragicamente divisa dall’orribile guerra mondiale, l’Europa che nonostante le sue attuali, durevoli divisioni dei regimi, delle ideologie e dei sistemi economico-politici non può cessare di cercare la sua unità fondamentale, deve rivolgersi al cristianesimo. Nonostante le diverse tradizioni che esistono nel territorio europeo fra la sua frazione orientale e quella occidentale, vi è in esse lo stesso cristianesimo, che trae le sue origini dallo stesso e unico Cristo, che accetta la stessa Parola di Dio, che si riallaccia agli stessi dodici Apostoli. Proprio questo sta alle radici della storia d’Europa. Questo forma la sua genealogia spirituale.

Lo conferma l’eloquenza dell’attuale giubileo di San Stanislao, Patrono della Polonia, al quale ha la fortuna di partecipare il primo Papa-polacco, Papa-slavo, nella storia della Chiesa e dell’Europa. Il cristianesimo deve nuovamente impegnarsi nella formazione dell’unità spirituale dell’Europa. Le sole ragioni economiche e politiche non sono in grado di farlo. Dobbiamo scendere più in fondo: alle ragioni etiche. L’Episcopato Polacco, tutti gli Episcopati e le Chiese d’Europa hanno qui un grande compito da eseguire. Di fronte a questi molteplici compiti, la Sede Apostolica vede i propri in conformità al carattere e al ministero di Pietro. Quando Cristo disse a Pietro: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32) disse per ciò stesso: “Servi la loro unità”.



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana