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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL COLLEGIO DEGLI SCRITTORI DE «LA CIVILTÀ CATTOLICA»

Lunedì, 5 aprile 1982

 

Cari Padri scrittori, Collaboratrici e Collaboratori de “La Civiltà Cattolica”.

1. Sono molto lieto di poter finalmente accogliere la richiesta di un incontro con la vostra Comunità, la cui attività, sin dalla origine più che secolare, è stata tutta dedicata alla diffusione e difesa della cultura o della civiltà cattolica, e sempre è stata istituzionalmente posta al servizio del Papa e della Sede Apostolica. E così, pur nel mutare degli uomini, degli eventi e delle situazioni storiche, la vostra Rivista si è mantenuta sempre fedele, meritando i ripetuti encomi dei miei predecessori, la stima e l’affetto dei lettori cattolici ed il rispetto e l’attenzione di quelli non cattolici.

2. “Cattolicità”, come voi sapete, vuol dire etimologicamente universalità. Ma universalità vuol dire, a sua volta, riduzione armonica del tutto a uno. L’unità della Chiesa, che sta in eterno nella persona del Cristo, si manifesta anche nella persona del Vicario. Guardando a lui, pertanto, voi aggiungete all’attenzione, allo studio ed alla sollecitudine per il “particolare” (la Chiesa italiana, la patria italiana, la cultura italiana), l’attenzione, lo studio e la sollecitudine per l'“universale”: la stessa Chiesa cattolica, anzitutto, e le universali verità della sua fede; ma pure l’intera famiglia dei popoli, con le aspirazioni ed i problemi, i valori ed i fini, che riguardano tutti gli uomini.

Se ogni problema umano ha assunto oggi, di fatto e di diritto, dimensioni mondiali, il proposito di contribuire alla formazione di una civiltà cattolica, o universale, che cento anni fa poteva sembrare quasi ambizioso, è divenuto ora di estrema attualità, si direbbe anzi di urgente doverosità. Non solo il “melius esse”, ma la stessa coesistenza pacifica tra i popoli e gli uomini tutti non possono non essere appoggiati, che su verità, su principi, su valori universali, pur nel rispetto delle diverse culture particolari.

3. Purtroppo, però, questo nostro mondo contemporaneo mostra molteplici ed acuti segni di quella che bene è stata definita la sua “ambivalenza”: segni di progresso magnifico, senza precedenti, in ogni settore delle scienze e delle attività umane; ma pure segni di “involuzione”, di progresso ingannevole, perché relativo a valori ed obiettivi fallaci, che come tali si rivelano alla lunga disumani e disumanizzanti l’umanità. Quello che più preoccupa, però, è che, nella crescente e per sé benefica diffusione della cultura, nella cosiddetta “cultura di massa”, propugnata appunto dai mass-media, si fa sempre più un unico fascio di verità provate e di opinioni discutibili, di valori universali e di interessi particolari egoisticamente individualistici, di autentici principi deontologici e di fatti persino patologici. E tutto ciò sotto l’etichetta del “moderno” (anche se si tratta di errori e mali antichissimi), dietro il paravento del dovere-diritto all’informazione, e nel nome di un non bene inteso “pluralismo” che sarebbe proprio della cultura. Molto saggiamente i fondatori del vostro Periodico hanno preferito a questo termine, già allora di moda in molti Paesi, il termine classico di “civiltà”. Anche la migliore antropologia culturale distingue tra “culture”, che possono essere “barbare”, e “civiltà”, che possono essere “primitive”, ma non barbare. Barbaro in realtà è ciò che è disumano, anche se “evoluto”; civile ciò che è umano, anche se semplice e primitivo. Vi sono “pseudoculture”, denunciate dalla “maior saniorque pars” degli intellettuali; non vi sono al contrario “pseudociviltà”, ma solo “involuzioni” e “declini” di civiltà particolari, registrate dalla storia.

Ricordando i cento anni e più di lavoro accurato e indefesso della vostra Rivista, che giustamente gode di tanto prestigio, desidero esprimere vivo ringraziamento al Signore che ha suscitato per essa tante persone preparate culturalmente e di profonda formazione umana e sacerdotale. Esse nel continuo travaglio dei fenomeni sociali ed ideologici, hanno saputo tenere sempre alta la fiaccola della Verità. Molti scrittori de “La Civiltà Cattolica” hanno consacrato tutta o gran parte della loro vita per la compilazione sempre attenta e aggiornata della Rivista, ritenendo questa loro missione un autentico “servizio sacerdotale”: anche ad essi deve andare la nostra riconoscenza ed il nostro compiacimento per la loro opera. Sarebbe doveroso enunciare qui un lungo elenco di nomi ben noti e benemeriti; mi limito a ricordare gli ultimi tre che si sono spenti in questi recenti anni: Padre Messineo, Padre Fagone e Padre Angelo Martini.

L’opera illuminatrice e formatrice della Civiltà Cattolica nel campo teologico, cristologico, ecclesiologico, filosofico, letterario, giuridico ed anche artistico, merita sostegno e plauso, ed io vi esorto caldamente a una rinnovata fedeltà all’originario e secolare programma: cioè l’approfondimento, la dimostrazione, la diffusione delle verità proposte dalla Chiesa, sia nell’ordine delle realtà rivelate come in quelle sociali e culturali; l’interpretazione degli avvenimenti e dei fenomeni intellettuali alla luce del Vangelo e del Magistero autentico e perenne, senza mai indulgere a confusioni, o a pericolosi “compromessi”.

Certamente, in una situazione di pluralismo ideologico e pratico, come quello del nostro tempo, il dialogo deve essere rispettoso e comprensivo e sempre si deve distinguere tra errore ed errante. Tuttavia l’impegno della Rivista deve rimanere anche quello di distinguere accuratamente tra verità ed errore, in modo da essere sempre formatrice di coscienze rette.

4. Quanto al settore specifico della politica interna ed internazionale, come già ebbe a dirvi il mio predecessore Pio XII e come, del resto, il Vaticano II insegna per tutta la Chiesa (Gaudium et Spes, 76), voi potete e dovete senza dubbio portare il vostro giudizio morale sui fatti e avvenimenti; specie quando sono in gioco i diritti umani, il bene comune, i diritti e la libertà della Chiesa.

5. A tal fine, dirò che molto vi gioverà restar fedeli a un altro carattere originario e istituzionale della vostra attività, quale risulta anche dai documenti pontifici di approvazione: la “collegialità” del vostro lavoro e, quindi, l’unanimità del vostro servizio alla Santa Sede. Vedo felicemente tra voi padri giovani, meno giovani ed anziani; così è stato sempre, come sono informato. Ebbene, come in un coro affiatato, ciascuno deve avere la sua voce e porla in armonia con quella degli altri; ciascuno deve contribuire, con il suo pensiero e con la sua esperienza, all’orientamento appunto “collegiale” della Rivista. Ciò favorirà l’indirizzo sempre coerente e unitario di essa, a tutto vantaggio della sua capacità di incidere sulla pubblica opinione.

Con questi sentimenti di viva cordialità e con queste esortazioni tratte dall’indole stessa del vostro Istituto, mi è gradito rinnovarvi l’espressione dell’apprezzamento per il buon lavoro sinora compiuto ed il vivo interesse di questa Sede Apostolica a che esso continui e si sviluppi. Vi accompagni nella vostra fatica la costante assistenza del Signore, in pegno della quale volentieri imparto a tutti ed a ciascuno di voi la mia apostolica benedizione. 

                                        



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