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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI MEMBRI DELL'UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI

Sabato, 4 dicembre 1982

 

Illustri Signori.

1. Sono lieto di dirigere il mio benvenuto cordiale a voi, Giuristi Cattolici, che siete convenuti a Roma per partecipare al XXXIII Convegno promosso dalla vostra Unione; ansiosi di riflettere insieme circa un tema di vivo interesse; sempre attenti alle istanze ed ai fermenti che la società esprime nel suo procedere storico.

L’impegno della vostra indagine non mancherà di offrire un competente contributo ad una sempre più affinata interpretazione delle leggi costituzionali dello Stato ed all’incremento della loro equa applicazione; esso testimonierà, soprattutto, quell’afflato cristiano, col quale intendete animare il campo della vostra attività professionale.

2. In questo incontro - da voi sollecitato e che rinnova in me sentimenti di affezione e di apprezzamento - desidero soffermarmi anzitutto sull’impegno specifico del Giurista cattolico nella comunità civile di oggi, sia dal punto di vista della sua personale responsabilità, come da quello della sua appartenenza alla vostra Associazione.

L’accettazione della “dottrina e morale cattolica” (Statuto dell’UGCI, art. 6), richiesta quale irrinunciabile presupposto per la vostra partecipazione associativa, è indubbiamente carica di conseguenze: la fedele adesione agli insegnamenti della Chiesa deve accompagnarsi, sul piano della condotta privata, familiare e professionale, con una scelta di chiara e forte testimonianza. La deontologia professionale acquista così per il giurista cattolico un significato più profondo e peculiare, implicando il superamento di una concezione etica meramente laica, per raggiungere una sintesi in cui i principi evangelici sono determinanti.

3. Se nel comportamento morale dei suoi soci l’Unione offre la prima testimonianza di specificità, è tuttavia nella propria globale dinamicità - in quanto associazione - che essa raggiunge la sua giustificazione ultima e la sua collocazione ecclesiale. È necessario che la vostra Unione contribuisca “all’attuazione dell’etica cristiana nella scienza giuridica, nell’attività legislativa, giudiziaria e amministrativa, in tutta la vita pubblica e professionale” (Ivi., art. 2). Al raggiungimento di tale scopo si ispirano i vostri Convegni annuali, nei quali appunto i problemi giuridici correnti, e quelli con saggia preveggenza anticipati, sono esaminati e presentati alla luce del pensiero cristiano, per trovare in esso le direttive di soluzione.

Con ciò non si vuole fare confusione tra morale e diritto; ma si intende ricondurre questo alla sua fonte genuina, collegandolo con quei principi supremi senza i quali o contro i quali cesserebbe di essere diritto. Se san Tommaso ci ricorda che la legge umana, per essere giusta, deve poter ricondursi alla legge naturale (cf. S. Tommaso, In III Sent., d. 37, q. 1, a. 3, sol.), il Concilio Vaticano II riconferma il principio che “la norma suprema della vita umana è la stessa legge divina, eterna, oggettiva e universale” (Dignitatis Humanae, 3), trovando le leggi umane il proprio valore e la propria tutela solo nell’ordine morale.

Anche se non è vostro compito istituzionale il legiferare, siete sempre operatori del diritto e come tali potete esercitare un influsso efficace e benefico sulla formazione, l’evoluzione e l’applicazione pratica delle leggi vigenti, immettendo, con coraggioso proposito, nell’impetuoso fiume del pensiero giuridico, correnti benefiche di dottrina che informino e trasformino, come il lievito evangelico, quanto talora di incongruo o di inaccettabile possa aver prodotto la legislazione positiva o l’attuazione pratica di essa.

4. A tale fine sarà sempre da ricordare che la legge non può avere altro fine al di fuori del bene comune, cioè quello dell’intera società (cf. S. Tommaso, Summa Theologiae, I-IIae, q. 90, a. 4), e che tale bene dev’essere rapportato alla struttura globale della persona umana che accusa, accanto a necessità temporali, aspirazioni e proiezioni trascendenti. È su tale terreno della persona umana, “principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali” (Gaudium et Spes, 25), che è possibile un incontro con ogni uomo di buona volontà, per la ricostruzione della nozione, che sembrerebbe tanto rimossa, di una morale oggettiva e di un clima generale, nel quale i valori basilari dell’uomo e della società non siano inficiati da un relativismo paralizzante e spesso distruttivo.

5. A questo riguardo, mi sia consentita una riflessione conclusiva che tocca da vicino il tema del vostro Convegno. È stato detto che lo Stato è essenzialmente organismo giuridico quanto alla forma ed organismo etico per ciò che riguarda la sostanza. Anche in una società cosiddetta pluralista, attraversata da un triplice pluralismo che potremmo definire “ideologico”, “etico” e “pedagogico” - si pensi all’espressione che quest’ultimo trova nei mezzi di comunicazione sociale - lo Stato non può porsi come entità che semplicemente riflette e riassume in una congerie deterministica le varie tendenze della compagine civile, ma dovrà necessariamente porre in luce, con esame critico, e difendere i legittimi interessi nei quali e con i quali l’uomo si perfeziona e si esprime, formulando leggi a ciò consentanee.

L’uomo non è soltanto essere fisico-temporale, bisognoso di vitto, di casa e di lavoro, ma è anzitutto realtà spirituale che accusa ineludibili esigenze di “significati”, cioè esigenze di verità, di amore, di gioia, di sicurezza, di serenità, di giustificazioni del vivere. Tali “significati” sono essenziali per l’uomo: da ciò discende che la società, non solo per obbedienza alla legge divina, naturale e positiva, ma per la sua stessa sopravvivenza, in quanto comunità di persone, deve tutelare ed incrementare i suddetti valori.

Uno Stato “neutrale” di fronte ad essi è destinato al dissolvimento. Esso non è certamente la fonte della moralità e nemmeno la sintesi totalitaria ed arbitraria delle componenti sociali, bensì l’istituzione organizzata, che garantisce e tutela i diritti della persona umana, integrando il loro esercizio nell’armonia del bene comune.

Cari Giuristi Cattolici, Cristo ha dato coscienza nuova e prerogative superiori alla dignità dell’uomo. Non tralasciate fatica, non trascurate impegno, al fine di far sì che le norme positive siano sempre ricondotte, anche in questa società pluralista, nell’alveo della moralità naturale, dell’etica cristiana, in quanto essa ha di valore universale.

Su questa specifica testimonianza, che la Chiesa da voi attende, invoco la gioia di Cristo Salvatore, di cui ci prepariamo a celebrare il Natale: “Egli è venuto a cercarci quando noi non lo cercavamo; è venuto a cercarci perché noi lo cercassimo” (S. Agostino, Confessiones, XI, 2,4).

In questo cammino alla ricerca del volto di Cristo, anche nelle leggi degli uomini, vi accompagni la mia benedizione apostolica.

 

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