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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA ALLA CASA DI CURA «VILLA BETANIA»

Domenica, 19 dicembre 1982

 

Fratelli e sorelle carissimi.

1. Nella mia visita a questa Casa destinata all’accoglienza ed alla cura degli infermi, desidero rivolgere il mio affettuoso saluto alle persone che in essa vivono, soffrono, lavorano, e a quanti sono qui convenuti oggi per l’occasione.

Saluto il Presidente dell’Unità Sanitaria Locale, che ringrazio vivamente per il deferente indirizzo di benvenuto; saluto i componenti del Consiglio di gestione ed i Dirigenti tutti, con l’auspicio che questa Casa di Cura possa rendere in maniera sempre più valida e tempestiva il suo servizio altamente sociale.

Saluto voi, Medici, Assistenti, Infermieri, Volontari, e vi esprimo tutto il mio apprezzamento per la vostra opera così preziosa, che è autentica missione di solidarietà in uno dei settori indispensabili della promozione umana.

Saluto e ringrazio voi, suore Insegnanti del Terz’Ordine di san Francesco, che a questo edificio, iniziato timidamente 34 anni fa, avete dato incremento e lo vedete ora ingrandito, ristrutturato e reso completamente disponibile come Casa di Cura sotto il nome così suggestivo e accogliente di “Villa Betania”.

In particolar modo saluto cordialmente voi, fratelli infermi, per i quali questa casa è sorta e vive. Voi ne siete a buon diritto gli ospiti di onore. Intendo salutarvi a uno a uno, nel nome del Signore: quanti siete qui presenti in sala, e quanti, impossibilitati a esserlo, siete rimasti nel letto della vostra sofferenza e vi sforzate di seguire il corso di questa mia visita con la partecipazione della mente e del cuore.

Sono venuto qui da voi, oggi, mosso non tanto dalla consuetudine di visitare ogni anno, nella domenica precedente la festività del santo Natale, una casa destinata all’accoglienza dei sofferenti, quanto piuttosto dal desiderio di mettere in rilievo e vivere insieme il significato più intimo della visita stessa.

Molte sono le ragioni di queste mie visite annuali. Oggi, però, mi piace sottolinearne soprattutto due, che scaturiscono più direttamente dalle radici della fede: il valore dell’accoglienza e il valore della sofferenza.

2. Innanzitutto, “il significato e il valore dell’accoglienza”.

La Chiesa, come Gesù, è vicina a coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Così è stato ieri, nel corso di una storia bimillenaria, che ha ispirato a grandi e sante anime le forme più varie e creative dell’assistenza, secondo i bisogni del momento; così è ancora oggi, in ogni parte del mondo, nonostante le mutate condizioni dei tempi e l’assunzione di un impegno più diretto nel campo della sanità da parte dei poteri politici.

La Chiesa vuole essere vicina ai sofferenti perché li considera fratelli che sono oggetti di particolare predilezione da parte del Divin Maestro.

Gesù stava volentieri con gli ammalati. Essi lo sapevano, e perciò ricorrevano a lui. Egli si interessava ai loro casi personali, alle loro necessità, ascoltava il racconto delle loro sofferenze, li guariva dai mali anche attraverso il ricorso straordinario al miracolo, non si stancava di ripetere ai discepoli la raccomandazione di visitare gli infermi come condizione indispensabile al raggiungimento del regno del Padre.

Una delle parabole più affascinanti che il Divino Maestro abbia pronunciato, per illustrare la novità del suo messaggio di vita - la carità, che costituisce il fondamento della sua stessa predicazione, anzi il seme del rinnovamento del cuore dell’uomo e il lievito della società - è tratta da un episodio di sofferenza umana: sotto la forma della parabola del Buon Samaritano, Gesù vuol fare intendere all’umanità il senso dell’amore verso il prossimo, il valore dell’assistenza prestata a quanti, in qualunque modo, cadono sotto la morsa del dolore.

3. Questo è, in proposito, il limpido e fondamentale insegnamento del Maestro Divino. E poiché, come si esprime il Concilio, Gesù volle che le opere di assistenza fossero segni della sua missione messianica, anche la Chiesa considera la propria attività a favore degli ammalati quale contrassegno del suo amore (Apostolicam Actuositatem, 8). Essa, come sin dalle sue origini si è ritrovata unita attorno alla Cena Eucaristica, così, in ogni tempo, si riconosce nella pluralità delle forme caritative, mediante le quali si manifesta il suo amore di madre.

Per questo la Chiesa rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile; e, per questa stessa ragione, mentre fa carico allo Stato di intervenire nel campo della sanità, nello stesso tempo si preoccupa di raccomandare il principio della sussidiarietà allo scopo di escludere ogni forma di monopolio (Gravissimum Educationis, 6). L’aiuto al prossimo è un diritto ed un dovere di tutti.

La Congregazione delle Suore Insegnanti del Terz’Ordine di san Francesco è, in questo campo di attività, un esempio che merita di essere segnalato. Sulla scia delle tre sorelle Zahalka, essa si è dedicata fin dalle origini della fondazione al lavoro negli ospedali, agli anziani, ai bambini mentalmente menomati, profondendo in questo servizio tesori di generosità, di pazienza, di infaticabile sollecitudine.

È confortante costatare che oggi, dopo tante vicende, Villa Betania, ristrutturata a tipo ospedaliero nell’àmbito della XVIII Unità Sanitaria Locale di Roma, si inserisce nel tessuto concreto di questo prezioso servizio, reso agli ammalati in nome di Dio, della Chiesa, dell’uomo. Alla stessa maniera dell’antica casa di Betania che accoglieva Gesù come uno di famiglia, Villa Betania di oggi accoglie l’infermo come Gesù.

4. Intendo poi sottolineare qui “il valore della sofferenza”. Per cogliere nella sua pienezza tale verità occorre prestare attenzione al significato attribuito dal Vangelo al mistero del dolore umano.

Senza dubbio la sofferenza fisica e morale resta uno dei misteri più toccanti dell’esistenza, perché investe da vicino ciascuno di noi, nessuno escluso. Essa è, per legge di natura, il pane quotidiano dell’essere umano, la sua condizione permanente di vita a ogni età.

Perché soffrire? Ecco il grande interrogativo, davanti al quale molti, rimanendo senza risposta, non sanno reagire che con l’atteggiamento della ribellione.

Ebbene, solo la fede ispirata dal Vangelo, col presentare l’immagine di Gesù morto in Croce e risorto per amore degli uomini, costituisce la risposta in grado di soddisfare la mente e riempire il cuore.

Solo una vita di fede sinceramente accettata e intensamente vissuta può illuminare alle radici il mistero del dolore, alleviarlo col soffio della speranza e, con la forza della carità, giungere perfino a trasformarlo in gioia e farne una delle leve che sollevano il mondo.

La Chiesa, ripetendo l’insegnamento divino, ricorda che quelli che seguono le orme di Gesù nella tribolazione sono associati alle sue sofferenze, soffrono con lui per essere con lui glorificati (cf. Rm 8, 17). Perciò il Signore li proclama beati.

In tal senso la sofferenza ha la possibilità di compiere grandi cose, sia pure in modo non appariscente, associando la particella del suo dolore al grande e redentivo dolore di Gesù. E così il mistero del dolore umano, accettato alla luce del mistero di Gesù e della Chiesa, diventa una fonte inesauribile di arricchimento umano e spirituale per tutti.

Cari fratelli, stiamo per celebrare la festività del Natale che ricorda la nascita del Figlio di Dio divenuto Figlio dell’uomo nella sofferenza, perché il mondo diventasse migliore. A lui uniamo con fede e amore il nostro dolore perché anche noi possiamo portare il nostro contributo per la realizzazione di un mondo più buono.

Con questi sentimenti ed auguri vi do di cuore la mia benedizione.

 

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