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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI EUROPEI

Giovedì, 30 dicembre 1982

 

Cari amici.

1. Sono felice e commosso di vedervi, ancora una volta, riuniti a Roma in un incontro promosso da Taizé. Siete così numerosi, così entusiasti, così ben disposti a ricevere e a seguire le ispirazioni dello Spirito di Dio, in un clima di preghiera! E ringrazio vivamente Frère Roger per le sue parole sincere e suggestive.

Siete venuti qui presso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo, dei martiri, dei santi dal cuore bruciante di fede e di amore, venerati nelle catacombe o nelle Chiese di Roma. E avete voluto incontrare il successore di Pietro, la cui vocazione è quella di proclamare come Pietro la fede in “Cristo, il Figlio del Dio vivo” (cf. Mt 16, 16) e il suo amore di predilezione per lui (cf. Gv 21, 15-17) e di assicurare così il ruolo di Pastore di tutti, essendo con gli altri successori degli Apostoli, i Vescovi, al servizio di Cristo per compiere “la comunione nell’unità, nella professione di una sola fede, nella celebrazione comune del culto divino, nella concordia fraterna della famiglia di Dio” (Unitatis Redintegratio, 2).

Siete venuti in pellegrinaggio di fede e di riconciliazione, per godere, come diceva san Paolo, della comunicazione di “qualche dono spirituale perché ne siate fortificati” (Rm 1, 11), in particolare nella vostra decisione di essere sempre più “operatori di pace” (Mt 5, 9). È una grande gioia per me potervi aiutare a camminare su questo cammino di riconciliazione. Lo farò dialogando con voi, rispondendo cioè ad alcune domande che voi mi avete posto, affrontando ciascuna questione in una lingua differente.

So che tra voi vi è un certo numero di cristiani che non sono però cattolici. Altri giovani sono in ricerca della fede. Rispetto queste situazioni e questi cammini. Prima di tutto, io voglio rendere testimonianza a Cristo, Via, Verità e Vita, e rendere testimonianza alla sua Chiesa. Nella misura in cui vi indirizzo delle esortazioni o direttive sul vostro compito nella Chiesa, io mi rivolgo essenzialmente ai cattolici, e questo in unione con i loro Vescovi, che sono abitualmente loro Pastori.

2. Come essere testimoni di gioia e di fiducia in questa epoca inquietante (domanda n. 1)?

Noi lo siamo grazie alla nostra fede (cf. 1 Gv 5, 4): “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito . . . perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17). E ciò che ci dà sicurezza nell’azione sta nel fatto che noi cerchiamo di amare come lui ci ha amati: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i nostri fratelli” (1 Gv 3, 14).

Certo, voi non dovete mai fermarvi sulle difficoltà reali. I problemi del mondo restano difficili e complessi: come far convivere gli uomini come fratelli quando sono così diversi e hanno interessi immediati apparentemente opposti, affinché ciascuno abbia la sua parte di pane, di dignità, di amore? E soprattutto, come superare le gravi minacce di oppressione e di guerra che vengono dal cuore dell’uomo, quando egli si lascia condurre con aggressività dalla paura, dalla menzogna, dall’egoismo, dall’orgoglio, dall’odio? Ci sono pericoli di sciagure, è vero. C’è anche una lotta da condurre, una lotta contro il male sotto tutte le forme. E coloro che cercano il bene non saranno risparmiati, in questa vita, dalla morsa del male: Cristo lo è stato?

Ora, è nostro comune dovere contribuire a scongiurare questi rischi, “vincere il male con il bene” (Rm 11, 21). Mediante Cristo, con lui, questo è possibile. Il Male, il Maligno, non avrà l’ultima parola (cf. Gv 16, 33). E il senso del bene, il senso della giustizia e dell’amore che Dio mette in noi, li mette anche nel cuore degli altri, di molti altri, al punto che noi possiamo incontrarci su questo terreno, darci la mano attraverso le frontiere, per far nascere un mondo di fratelli. Cristo ci ha aperto questa speranza, anche attraverso la sofferenza. Se noi lottiamo con lui, noi lo facciamo già con una grande pace nel cuore. Per questo io vi ripeto: “Non abbiate paura!”.

3. Voi mi avete messo a parte della vostra volontà di inserire le vostre piccole comunità di laici nelle parrocchie, e chiedete se potete veramente essere là un fermento di contemplazione (domanda n. 2).

Mi congratulo con voi, cari amici, e vi incoraggio in questo proposito. Certo è normale e può essere tonificante riunirsi per affinità tra giovani che condividono lo stesso ideale, lo stesso modo di pregare, lo stesso dinamismo per l’azione: è l’interesse di molti movimenti di giovani cristiani di oggi, con il loro particolare accento, la loro spiritualità; si tratti di movimenti apostolici, educativi, o di diversi gruppi di preghiera. Ciò costituisce spesso un ricambio necessario. Ma voi comprendete il rischio, e volete evitarlo, di vivere ripiegati sul proprio gruppo, sulla propria opzione, sulla propria sensibilità. Non ci potrebbe essere una “Chiesa” di una certa categoria di età, di classe, di razza. La Chiesa - il termine vuol dire assemblea - è la riunione dei cristiani in un solo popolo, in un solo Corpo, che riceve dal Capo, Cristo, - rappresentato dal ministro ordinato nella successione apostolica -, la Parola di Dio e la Vita che non si sarebbe capaci di dare a se stessi. In lui sono state abolite le divisioni tra membri e categorie di membri, come commentava san Paolo per il suo tempo: “Tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi, tra uomini e donne” (Gal 3,28); si potrebbe aggiungere: tra giovani e vecchi, tra ricchi e poveri, ecc. Questa realtà spirituale - che corrisponde alla Chiesa universale e alla Chiesa diocesana - è ben rappresentata e vissuta nella parrocchia. Lo dicevo nell’esortazione apostolica sulla catechesi: “Senza stabilire monopoli né rigide uniformità, la parrocchia . . . deve ritrovare la propria vocazione, che è quella di essere una casa di famiglia, fraterna e accogliente, dove i battezzati ed i cresimati prendono coscienza di essere Popolo di Dio. Lì il pane della buona dottrina ed il pane dell’Eucaristia sono ad essi spezzati in abbondanza nel contesto di un medesimo atto di culto; di li essi sono rinviati quotidianamente alla loro missione apostolica, in tutti i cantieri della vita del mondo (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 67).

Sì, cari amici cattolici, inseritevi dunque nelle parrocchie: per portare e per ricevere. Voi potrete crearvi degli spazi di preghiera e di adorazione, che attireranno ed aiuteranno i vostri fratelli alla ricerca di Dio, pur comprendendo che altri gruppi di preghiera esistono spesso già con un orientamento complementare o più generale, e voi prendete parte con essi anche alle celebrazioni abituali, liturgiche, concepite per l’insieme del Popolo di Dio e aperte a tutte le sensibilità. Voi potrete esservi dei “fermenti” di riconciliazione e anche familiarizzarvi con i diversi obiettivi che una parrocchia deve realizzare a livello catechetico, sacramentale, apostolico o caritativo. Voi vi porterete le vostre domande e i vostri appelli e riceverete anche le domande degli altri e le responsabilità di coloro che vi sono stati stabiliti parroci, in modo da costruire con essi la Chiesa, mediante la preghiera e la carità.

4. Quali sono i rischi, che voi potete correre per chiamare gli uomini alla pace? per difendere la dignità dell’uomo? (domanda n. 3).

Il primo rischio, che deve essere tentato per la pace, mi sembra essere il dialogo, che si apre a noi stessi e agli altri e ci rende trasparenti. Questo è anche il tema del Messaggio per la pace, che ho indirizzato in questi giorni al mondo. Il dialogo, così affermo in esso (Giovanni Paolo II, Nuntius scripto datus ob diem ad pacem fovendam toto orbe terrarum Calendis Ianuariis a. 1983 celebrandum, 6, die 8 dec. 1982: vide supra, p. 1545), suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo; esso esige l’apertura e l’accoglienza; esige che si accetti la differenza e la specificità dell’altro, con tutto il rischio che ne risulta. E questo, senza rinunciare per viltà o falso rispetto a ciò che si riconosce vero e giusto, però anche senza ridurre l’altro ad un mero oggetto, ma stimandolo come soggetto intelligente, libero e responsabile. Perciò il dialogo dovrebbe essere in primo luogo la ricerca di tutto ciò che è comune agli uomini. Beati coloro che sono pronti a pregare insieme per questo, affinché lo Spirito Santo insegni ad amare nell’altro tutto ciò che Dio stesso ama in lui!

Per quanto riguarda in particolare i mezzi concreti che conducono alla pace o per lo meno possono evitare la minaccia della guerra, come, ad esempio, la rinuncia ad una ulteriore corsa agli armamenti, vi sono problemi complessi e a diversi livelli che mettono in gioco ancora ulteriori responsabilità. Già in altra occasione mi sono espresso a questo proposito. Il vostro ruolo mi sembra essere soprattutto quello di motivare il cuore e la ragione degli uomini, a volere seriamente la pace, ad attuarla in modo convincente tra i singoli e i gruppi, ad esigere giustizia, che è la migliore garanzia della pace, e a stimolare ed esercitare la condivisione, quale via ad essa.

5. L’equa distribuzione dei beni della terra costituisce precisamente l’oggetto di un’altra domanda (n. 5). Voi siete tanto più sensibili ad essa in quanto non sembrate bruciati dalla società del consumo e del piacere, che voi stessi conoscete bene in Europa, e soprattutto perché avete sperimentato la miseria dei vostri fratelli nei paesi del Terzo Mondo, con la vostra permanenza in mezzo a loro e per le testimonianze ricevute su di loro nelle vostre circolari. Sì, il Vangelo spinge i cristiani a porre rimedio alle disuguaglianze che impediscono ad una grande parte di uomini di soddisfare le loro necessità più elementari per quanto riguarda l’alimentazione e l’abitazione. La Chiesa deve predicare questa ripartizione perché gli uomini si liberino dalla miseria che è contraria ai piani di Dio, predicando inoltre a tutti lo spirito evangelico della povertà. Evidentemente, la Chiesa deve dare contemporaneamente testimonianza. Questo è ciò a cui noi esortiamo senza tregua. Molti cristiani, molti santi, lo hanno praticato fino all’eroismo e hanno fondato a loro volta comunità che praticano questa compartecipazione. Talvolta il ricorso alle istituzioni ecclesiali può sembrarvi come una specie di cortina amministrativa tra voi e i poveri; si tratta di capire che questi mezzi desiderano essere garanzia per assicurare domani un aiuto vicendevole generoso ed efficace. È sempre cosa delicata giudicare i nostri fratelli. Ma continua ad essere vero che le istituzioni debbono essere sincere e prestare anche grande attenzione onde evitare i pericoli della ricchezza e la insensibilità di fronte alle necessità dei fratelli.

La vostra terza domanda si riferiva espressamente alla dignità di ogni persona, al valore di ogni vita umana. È così; io vi dico questo: accettate ogni rischio, fate tutto quello che dipende da voi per proclamare questi valori a tempo opportuno e non opportuno, affinché siano rispettati, con fermezza e con chiarezza. Ma - lo sapete molto bene - questa testimonianza impegna in primo luogo ognuno di noi; è credibile solo quando ognuno rispetta radicalmente la vita dell’altro nella sua piccolezza, nel suo concepimento, nella sua debolezza, nella sua vecchiaia, così come tutti i suoi diritti fondamentali. Dio voglia che voi, cari amici, contribuiate a promuovere a poco a poco questo rispetto per l’uomo, per ogni uomo.

6. E quando l’altro non ha rispetto, si mostra insensibile e quando il perdono è rifiutato da coloro a cui lo rivolgiamo? Come attuare la riconciliazione, chiedete voi? (domanda n. 4).

Capisco che questo vi preoccupi, voi che lo desiderate sopra ogni cosa per la vostra vocazione e il vostro impegno sotto il segno della riconciliazione. Siate convinti, oltre a ciò, che la riconciliazione deve cominciare in noi, per noi e a partire da oggi. E quanto all’importanza del perdono, voi conoscete anche la risposta di Gesù, che appare tanto frequentemente nel Vangelo: vai prima a riconciliarti con tuo fratello; mettiti subito d’accordo con lui, mentre sei per via con lui; oltrepassa la giustizia intesa in senso stretto (cf. Mt 5, 24. 25. 40). E sarà buona cosa, anche, cercare di vedere quello che, in noi, possa con ragione allontanare l’altro; ed è allora indispensabile compiere in noi stessi il mutamento necessario.

Ma, nonostante tutto questo, può accadere che l’altro rifiuti il perdono e la proposta di pace. Allora, secondo il Vangelo, non aspettiamo che siano gli altri a venire a riconciliarsi con noi. Andiamo noi incontro a loro. Mettiamo in pratica quello che l’antico libro dei Proverbi ci dice, in un testo ripreso poi da san Paolo: “Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, / se ha sete, dagli acqua da bere; / perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo” (Pr 25, 21-22; Rm 12, 20). In una parola: se l’altro si rifiuta, dobbiamo essere con lui; del resto, noi ignoriamo, talvolta, gli ostacoli interiori che egli sperimenta. Facciamo, sul piano della pace, ciò che dipende da noi. E, soprattutto, continuiamo a pregare per lui e ad amarlo, per essere figli degni del Padre che sta nei cieli (cf. Mt 5, 43-48). È questo il rischio che accettano i discepoli di Cristo; e nell’ora in cui Dio vorrà, questo rischio contribuirà a trasformare il mondo, a somiglianza dell’atteggiamento di Gesù.

Non è così che voi cercate di essere servitori della pace, riconciliandovi con voi stessi e con i vostri simili, in seno alle vostre famiglie, nelle Chiese di cui siete parte e nelle comunità a cui appartenete?

È chiaro che questo atteggiamento, di umiltà e di benevola accoglienza delle persone, non deve portare mai a sottovalutare la ricerca della verità e la fermezza nella fede, di cui Dio ci fa grazia. Giustamente, poi, pur lasciandovi interpellare dai carismi degli altri, voi non dovete cedere a livellare i valori della fede, a mercanteggiare, in alcun modo, con ciò che non è negoziabile, ciò che non vi appartiene, conciliare ciò che non è conciliabile; sì, dovete appoggiare la vostra fede sul Fondamento che Dio ci ha dato in Cristo (cf. 1 Cor 3, 11) e sulla sua unica Chiesa, come ha esposto la costituzione conciliare Lumen Gentium (Lumen Gentium, 8), la Chiesa “che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica” e che “sussiste nella Chiesa cattolica”.

7. Infine, voi chiedete che cosa dovete fare per amare Cristo sopra ogni altra cosa, per dare la vostra vita per lui (domanda n. 6).

Io vi dico: “Aprite le porte al Redentore”. Questo è lo slogan dell’Anno della Redenzione, che recentemente ho proclamato perché sia celebrato dalla Chiesa Cattolica. Non possiamo riconciliarci realmente tra di noi se non accettiamo la riconciliazione con Dio, la riconciliazione che viene da Dio. “Dio ci ha riconciliati a sé mediante Cristo” ed è Cristo che ci ha affidato la Buona Novella della nostra riconciliazione, facendoci suoi “ambasciatori”, come dice san Paolo (cf. 2 Cor 5, 18-20). La riconciliazione è anche un dovere della Chiesa; è un’attività ecclesiale. Questo è il significato del sacramento della Penitenza, dove il perdono è dato per mezzo di un effettivo segno di grazia, mediante il quale noi siamo riconciliati con Dio e l’un l’altro. Questo è anche il significato della lotta nella quale siamo impegnati. “La nostra battaglia non è contro creature fatte di carne e sangue . . . ma contro gli spiriti del male” (Ef 6, 12), contro il peccato, il peccato che offende Dio e che nuoce ai nostri fratelli e sorelle, e che è la sorgente del male nel mondo. Una tale lotta deve essere condotta con le armi di Dio (cf. Ef 6, 14-17).

Per questa ragione, vi esorto, come fa san Paolo, a lasciarvi afferrare da Cristo affinché voi possiate conoscere la potenza della sua Resurrezione e condividere le sue sofferenze (cf. Fil 3, 11-12). E non si può essere afferrati da Cristo senza contemplazione e preghiera. Solo allora Cristo sarà la vostra luce interiore e vi trasformerà. Questa è la prima cosa che il successore di Pietro spera da voi.

Allora potrete essere “sale” e “luce”, come abbiamo appena udito dalle labbra di Cristo. Perché è veramente Cristo che, come il sale, conserva e dà significato e gusto alle cose terrene; ed è lui che illumina, come il sole, la nostra oscurità. La vostra missione è di rendere presenti ed attivi questo significato e questo gusto; di far risplendere questa luce mediante le “vostre buone opere” come dice anche Gesù, e cioè con tutta la vostra vita. E questo sarà ancora più vero per coloro tra voi che consacreranno tutta la loro vita a Gesù Cristo nella vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa.

Cari miei croati.

Di cuore saluto i giovani croati, qui presenti, e faccio voti che essi, con la loro vita cristiana, testimonino Cristo e la Vergine Maria, Regina dei croati. Ben volentieri impartisco a voi e alle vostre famiglie in patria la mia benedizione apostolica.

Witam i pozdrawiam grupę młodzieży polskiej biorącą udział w dzisiejszym spotkaniu.

Życzę Wam, Drodzy Przyjaciele, abyście Chrystusowe Orędzie pokoju, miłości i nadziei zanieśli stąd do umiłowanej Oiczyzny, do Waszych rodzin i środowisk, w których wypadło Wam żyć i pracować.

Diamo una nostra traduzione in italiano delle parole pronunciate dal santo Padre in polacco.

Do il mio benvenuto e saluto il gruppo dei giovani polacchi il quale partecipa al nostro odierno incontro.

Vi auguro, cari amici, che portiate il Messaggio di Cristo, di pace, di amore e di speranza, da qui alla amata Patria, alle vostre famiglie e ai vostri ambienti, nei quali vi è stato dato di vivere e di lavorare.

Riportiamo la traduzione italiana delle parole rivolte dal santo Padre agli sloveni.

Saluto di cuore voi, giovani e ragazze slovene, qui presenti. Con voi saluto tutti i giovani convenuti a Sticna e spiritualmente uniti a noi.

Siate fedeli a Cristo! Con lui siate sempre e dovunque artefici di riconciliazione e di pace e portatori di gioia, di speranza e di amore.

La mia benedizione vi accompagni sul cammino della vostra vita.

Sia lodato Gesù Cristo.

8. Infine, siate ben certi, cari amici, che io prego per voi (domanda n. 7), così come prego ogni giorno per tutti coloro che cercano di vivere il Vangelo in situazioni difficili, così come prego spesso per i giovani che guardano il mondo con uno sguardo nuovo e vorrebbero rinnovarlo!

Per riprendere coraggio, al di là di ogni paura, alzate gli occhi verso quelli e quelle che sono pervenuti alla santità. Essi hanno dato la loro vita per Cristo e allo stesso tempo per i loro fratelli. Hanno vinto la paura e il male.

Sapete per esempio come padre Massimiliano Kolbe ha operato per la riconciliazione del mondo, in tutta la sua vita e nella sua morte.

L’odierno tempo natalizio ci fa guardare ancor più verso Maria, la santissima Madre di Gesù. Ella si è lasciata inserire nel disegno di Dio, con la massima disponibilità. È il prototipo dell’umanità riconciliata. Con lei, formate, ovunque nel mondo, delle case di Nazareth!

Prima di invocare su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie, sui vostri incontri, la protezione e l’aiuto della santissima Trinità, dandovi la mia benedizione, cantiamo con Maria la gloria di Dio, che fece per lei e mediante lei meraviglie, e che, in un certo senso, vuole fare mediante voi meraviglie! Amen! Alleluia!

 

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