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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE

Sabato, 16 gennaio 1982

 

Eccellenze,
Signore e Signori,

1. La gradita consuetudine dello scambio di voti augurali alla soglia del nuovo anno ci riunisce oggi ancora una volta. Ringrazio il vostro benemerito Decano per aver saputo esprimere in termini elevati i sentimenti che sono nei vostri cuori in questo momento e d’aver così interpretato i vostri auguri ed i vostri pensieri.

Saluto ciascuno di voi e vi ringrazio di essere venuti personalmente a questo incontro significativo che è uno dei momenti salienti della vostra missione presso la Sede di Pietro ed alla quale attribuiamo una particolare importanza.

Ringrazio e saluto le vostre spose che hanno avuto come ogni anno l’amabilità di accompagnarvi, cosa di cui sono profondamente commosso; e il mio pensiero si rivolge anche a ciascuna delle vostre famiglie, alle quali vanno tutti i miei auguri. Infine, ringrazio e saluto i collaboratori che vi assistono con competenza e generosità nelle vostre rispettive Ambasciate e che vi assicurano un servizio sempre efficace ed attento nei vostri rapporti con i diversi organismi della Sede Apostolica.

Formulo voti ferventi secondo l’intenzione di tutti e in particolare perché l’anno che comincia veda sorgere nel mondo – in ciascuno dei vostri paesi che così degnamente rappresentate – l’alba di un avvenire più sereno e più pacifico, contraddistinto dalla buona volontà e dalla collaborazione di tutti in vista del benessere degli uomini, nostri fratelli.

Voi siete uomini di pace

2. Ai vostri paesi indirizzo un pensiero affettuoso accompagnato da fervidi voti. Le relazioni che la Santa Sede intrattiene con ciascuno di voi e di cui voi siete gli intermediari visibili ed immediati – come lo sono, per la Sede Apostolica, i Rappresentanti pontifici ai quali rivolgo l’assicurazione del mio ricordo e della mia soddisfazione per lo spirito pastorale ed evangelico col quale compiono la loro missione – le relazioni, dicevo, tra la Santa Sede ed i vostri paesi rappresentano un elemento di mutua comprensione, un fattore di pace e di promozione umana, un aiuto reciproco alla missione che gli Stati e la Chiesa, ciascuno all’interno del suo ambito ben definito, sono chiamati ad adempiere per il bene spirituale e sociale degli uomini. La presenza qui, nel cuore della cristianità, di rappresentanti legittimi e qualificati dei diversi governi testimonia, meglio delle parole l’intenzione dei vostri governanti di collaborare sinceramente con la Chiesa per contribuire ad una costante elevazione dei popoli, di assicurare la vie di una intesa sempre costruttiva e pacifica perché orientata al bene comune e di garantire al mondo il cammino difficile ma così vantaggioso verso la pace. Voi siete uomini di pace! La vostra vita e la vostra missione sono tese a procurare ai vostri connazionali strumenti di pace. La vostra attività si esercita presso la Santa Sede, le cui iniziative in favore della pace sono a voi ben note. La Sede di Pietro resta fedele alla sua missione: quella di promuovere la giusta comprensione fra i popoli e di salvaguardare il bene della pace che è il patrimonio più prezioso, il patrimonio indispensabile per lo sviluppo integrale dell’uomo, anche nell’ambito della Città terrena. La Chiesa attua questo compito per il bene dell’uomo, ponendosi al di sopra delle parti, come vuole testimoniare in particolare la recente iniziativa realizzata, per mio espresso desiderio, sotto il patrocinio della Pontificia Accademia delle Scienze: ai Capi di Stato delle potenze nucleari ed al Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite è stato inviato uno studio sulle terribili e irreversibili conseguenze di un conflitto nucleare. Nell’ottica della Santa Sede, questa iniziativa non intende prendere in esame i dettagli tecnici dei negoziati in corso o di altri eventuali negoziati; essa vuole mettere in evidenza, dal punto di vista umano e morale, e appellandosi agli uomini di scienza perché portino il loro contributo alla grande causa della pace, che la sola soluzione possibile, di fronte all’ipotesi di una guerra nucleare, è di ridurre da subito, in vista di una futura totale eliminazione, gli armamenti nucleari, mediante accordi specifici e controlli efficaci.

Per tutte queste ragioni, apprezzo grandemente la vostra presenza. Di tutto cuore vi auguro di essere sempre e con verità uomini di pace. Il mondo d’oggi ha bisogno di tali uomini!

3. Ma, come vi ho già detto l’anno passato, penso ai vuoti che dovrebbero ancora essere colmati in seno al benemerito Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Penso ai popoli che potrebbero, anch’essi, essere qui rappresentati, in questa casa che è la casa di tutti perché la Chiesa è per definizione “cattolica”, aperta alle dimensioni del mondo intero. Essa non è estranea ad alcuna cultura, ad alcuna civiltà, ad alcuna tradizione etnica e sociale. Allo stesso modo, essa non considera estraneo alcun popolo: tutti le sono cari e vicini perché essa si sente inviata a tutti per missione divina. E come tutti i popoli della terra le sono vicini e cari, così essa non vorrebbe essere considerata da alcuno di essi come estranea, lontana o sospesa.

L’operare della Chiesa è indirizzato unicamente verso il bene; essa cerca senza posa di consacrarsi agli altri, di chinarsi sulle loro inquietudini e i loro bisogni, di condividere la loro sorte.

4. Vorrei salutare in modo particolarmente cordiale i Rappresentanti diplomatici che hanno iniziato quest’anno presso la Santa Sede una nuova tappa del loro nobile servizio. Si tratta degli Ambasciatori del Giappone, dell’Austria, del Ghana, del Portogallo, della Corea, dell’Iran, del Brasile, dell’Italia, dell’Argentina, della Bolivia, della Yugoslavia, dell’Honduras, dell’Equador, della Repubblica Dominicana, della Finlandia, dell’India, della Tunisia e del Lussemburgo. Ho inoltre il piacere di annunciarvi che, a partire da oggi, in seguito ad un accordo realizzato con il Governo del Regno Unito, che suggella gli eccellenti rapporti esistenti con la Sede Apostolica e con lo scopo di svilupparli, la Legazione della Gran Bretagna presso la Santa Sede è stata elevata al rango di Ambasciata, mentre è stata costituita a Londra una Nunziatura Apostolica avente un Pro-Nunzio come Capo della Missione. Le circostanze particolari di quest’anno, in cui il Signore ha permesso che il suo Vicario sulla terra fosse dolorosamente provato, hanno fatto sì che la maggior parte dei nuovi Ambasciatori iniziassero la loro missione ufficiale presentando una copia delle loro Lettere credenziali al mio Segretario di Stato, come previsto dalla Convenzione di Vienna. La Provvidenza mi ha poi dato la possibilità di riceverli personalmente nella consueta udienza solenne accordata ai nuovi Ambasciatori Ricordando coloro che sono arrivati, desidero esprimervi ancora una volta il mio sincero e commosso ringraziamento per la posizione che avete preso al tempo del tragico avvenimento del maggio scorso, sia personalmente, con l’interessamento sollecito e assiduo che avete manifestato, che a nome dei vostri governi e delle diverse autorità.

Che il Signore vi ricompensi di tutta la sollecitudine di cui avete dato prova in questa occasione attraverso le vostre testimonianze di solidarietà umana e di simpatia che mai potrò dimenticare!

La Chiesa e i diritti dell’uomo

5. A voi che siete chiamati a seguire, più da vicino, in virtù della vostra missione veramente unica al mondo, la vita della Sede Apostolica e dell’umile Successore di Pietro che vi parla, a voi, osservatori attenti di ciò che qui accade, non sfugge certamente alcun aspetto di questa attività. Il vostro compito è di avere non solo un’informazione esatta degli avvenimenti e dei fatti che interessano la vita della Chiesa, ma anche e soprattutto di dar loro una interpretazione che ne colga il significato autentico e profondo e che permetta a voi stessi ed ai vostri Governi di andare al fondo dei problemi ecclesiali e di riceverne una esatta percezione.

La Chiesa si volge infatti verso tutti gli uomini – qualunque sia la loro fede o la loro ideologia – che cercano il bene comune con rettitudine e sincerità. Essa desidera salvaguardare i diritti inviolabili della dignità dell’uomo, a qualsiasi civiltà o mentalità egli appartenga, ed è aperta alle aspettative, alle affermazioni, alle inquietudini proprie dell’uomo e relative alla verità, alla bellezza, alla bontà.

6. In questa vasta prospettiva voi capite bene che esiste una giusta ragione perché la Sede Apostolica, insieme agli Episcopati dei diversi continenti e con tutta la Chiesa, riservi una importanza essenziale ai diritti fondamentali dell’uomo, sia che siano di natura personale che sociale. È un dovere imprescrittibile della Chiesa, ed è consolante vedere in questo associati i nostri fratelli di altre denominazioni cristiane che vi lavorano con tutte le loro forze. In effetti, come ho scritto nella mia prima Enciclica Redemptor hominis: “L’uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale – nell’ambito della propria famiglia, nell’ambito di società e di contesti tanto diversi, nell’ambito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan o tribù), nell’ambito di tutta l’umanità – quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14). Qui si trova il perché della azione instancabile compiuta dalla Chiesa nei riguardi dell’uomo visto come persona nella sua realtà individuale o inserito nel contesto pubblico della sua esistenza.

È precisamente in considerazione di questa seconda dimensione – quella dell’essere comunitario e sociale dell’uomo – che si manifesta il significato dei diritti di ogni popolo, perché la nazione è la società “naturale” nella quale l’uomo, attraverso la famiglia, viene al mondo e forma la sua propria identità sociale; vale a dire che egli vive in una determinata cultura che forma il genio del suo popolo ed imprime negli uomini, fra di loro diversi, le caratteristiche della loro personalità e della loro formazione. Come ho detto nella sede prestigiosa dell’Unesco a Parigi, il 2 giugno 1980: “La cultura è un modo specifico dell’"esistere" e dell’"essere dell’uomo". L’uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria, e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro proprio, determinando il carattere inter-umano e sociale dell’esistenza umana. Nell’unità della cultura, come modo proprio dell’esistenza umana, si radica nello stesso tempo la pluralità delle culture in seno alle quali l’uomo vive. In questa pluralità, l’uomo si sviluppa senza perdere tuttavia il contatto essenziale con l’unità della cultura in quanto dimensione fondamentale ed essenziale della sua esistenza e del suo essere” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad UNESCO habita, 6, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1639-1640). Nella mia allocuzione dell’anno scorso, certamente ve ne ricordate, ho attirato la vostra attenzione sul carattere unificante della cultura, e ve lo ricordo oggi per proporvi gli elementi essenziali delle vedute della Santa Sede sull’attuale situazione internazionale.

Partecipazione agli avvenimenti della vita dei popoli

7. E precisamente fondandosi su queste premesse che la Chiesa partecipa attentamente, anche con viva emozione, agli avvenimenti della vita dei popoli, particolarmente in alcune parti del mondo.
In primo luogo, ricordo le situazioni gravemente tese esistenti in diversi Paesi dell’America centrale, dove il numero delle vittime provocate dalle azioni di repressione o di guerriglia continua ad aumentare, con un macabro bilancio mensile quasi si trattasse di una indomabile epidemia di violenza.

Ricordo poi la situazione in Medio Oriente dove una tregua di per sé già fragile è continuamente minacciata da violenze che si rinnovano continuamente e dalla rigidità di posizioni intransigenti.

Cito la piaga, ancora aperta, del terrorismo interno ed internazionale, che tocca specialmente, benché in contesti e per motivi diversi, regioni che sono a noi tanto care e che noi tanto amiamo.

Penso in questo caso all’Irlanda del Nord; penso anche a ciò che sta accadendo in Italia.

Inoltre, durante le passate settimane, la mia tanto amata Patria si è trovata al centro dell’attenzione di tutto il mondo, in particolare del mondo occidentale, a causa della proclamazione dello “stato di guerra”, ancor oggi in vigore, della detenzione di migliaia di cittadini, soprattutto di intellettuali e dei responsabili del libero sindacato operaio, della costrizione morale imposta ai cittadini per sopravvivere e lavorare. L’aggravamento di una tale situazione è vieppiù sentita nella coscienza dei popoli, specialmente di quelli europei, che hanno ben conosciuto il notevole contributo, fatto di sacrificio e di spargimento di sangue, che i polacchi hanno apportato, soprattutto dopo la fine del diciottesimo secolo, e con l’olocausto di sei milioni di cittadini durante l’ultima guerra, affinché fosse assicurata l’esistenza indipendente e sovrana della nazione, ricuperata solo dopo la prima guerra mondiale.

Appartenendo a questo popolo fiero e laborioso, ho sentito ripercuotersi nel mio cuore in modo particolarmente vivo le recenti vicissitudini. Ma quelle degli altri Paesi non mi fanno meno soffrire.

Poiché non è solo il figlio della Polonia che soffre, ma anche il Capo visibile della Chiesa cattolica, il responsabile della Santa Sede al quale tutti i popoli, come già ho detto all’inizio, sono ugualmente cari e vicini. Non si può tacere quando vengono messi in pericolo gli inviolabili diritti dell’uomo e quelli non meno sacri delle diverse nazioni. La Santa Sede si occupa di tali problemi, in quest’ora tanto triste, in considerazione del fatto che vi sono implicati, non solamente interessi politici, ma anche e soprattutto inestimabili valori morali, sui quali riposa una società umana che sia degna di questo nome.

È consolante vedere come le sofferenze di questi popoli – e, senza dimenticare le situazioni ricordate, mi riferisco nuovamente in particolare alla Polonia, che riceve gli aiuti di tanti Stati e di Organizzazioni che ancora desidero ringraziare – e come anche le tensioni di questi Paesi sono concretamente prese in considerazione e promuovono la cooperazione comune dei Governi. Una tale azione da parte di tutti i popoli ai quali stanno a cuore i valori morali è sostenuta dalla Santa Sede nella sfera della sua competenza e secondo metodi che corrispondono alla sua missione che non ha in nessun modo carattere politico.

Nell’opinione pubblica mondiale si rafforza di giorno in giorno la convinzione che i popoli devono poter scegliere liberamente l’organizzazione sociale alla quale essi aspirano per il loro proprio Paese che questa organizzazione deve conformarsi alla giustizia, nel rispetto della libertà, delle fede religiosa, dei diritti umani in generale. È convinzione comunemente condivisa che nessun popolo dovrà essere trattato da altri popoli come un essere subordinato o uno strumento, a dispetto dell’uguaglianza inscritta nella coscienza umana e riconosciuta dalle norme del diritto internazionale.

Come nei rapporti interpersonali non è permesso che una parte disponga a suo piacimento dell’altra come se si trattasse di un oggetto, così, nei rapporti internazionali, si dovranno denunciare tutti coloro che rechino offesa alla libera espressione della volontà delle nazioni. Il fatto delle ripartizioni in sfere di egemonia, che hanno avuto origine in situazioni particolari e contingenti, non dovrà giustificare il loro persistere, tanto più se esse tendono a limitare la sovranità di altri Tutti i popoli devono poter disporre di se stessi per quanto concerne la libera determinazione del loro destino. La Chiesa non può non dare il suo appoggio ad una tale convinzione.

La pace interna delle nazioni può essere anch’essa minacciata in vari modi: o da una forma autoritaria, già esistente, che un popolo cerca di superare per giungere ad una forma più libera e più conforme al suo genio, o ancora dalla minaccia di forme totalitarie che ripugnano alla cultura umanistica e religiosa del tale o del talaltro popolo, ma che se le vedranno imporre con l’appoggio di ideologie che, con il pretesto di una nuova organizzazione sociale, non rispettano la libera espressione dell’uomo.

Di fronte a queste diverse situazioni, dolorose e talvolta drammatiche, sempre importanti e decisive per la vita delle nazioni, la Chiesa, come una madre preoccupata del bene delle persone e dei popoli, non può assolutamente rimanere indifferente. L’azione che essa esercita riveste un carattere umano e morale, estraneo a calcoli politici.

È in questo contesto che si esplica dunque la parte attiva che mi sono assunto nell’opera di mediazione nella controversia sulla zona australe, affinché le popolazioni tanto degne e generose dei due Paesi di antica e autentica tradizione cristiana – il Cile e l’Argentina – potessero definitivamente progredire sul cammino della prosperità e del progresso, nel rispetto del tesoro inestimabile della vera pace.

La tragedia degli esiliati

8. Sempre in questa prospettiva di salvaguardia e di promozione dei valori umani, al di là di ogni valutazione di carattere politico, si deve considerare la sollecitudine che la Santa Sede nutre in favore di coloro che sono “esiliati” fuori delle frontiere della loro Patria per motivi politici. È un problema che mi sta particolarmente a cuore e sul quale desidero attirare l’attenzione dei vostri Governi, come anche dei diversi organismi internazionali.

Mediante tale misura, fondamentalmente violenta, si cerca di liberarsi di cittadini indesiderati, anzi incomodi, sradicandoli dai loro Paesi natali e condannandoli ad una vita precaria, difficile, in cui saranno spesso vittime di sentimenti di avvilimento e di sconforto in seguito alle difficoltà inerenti alla ricerca di un impiego e all’acclimatazione in un nuovo ambiente, anche da parte delle loro rispettive famiglie.

A nessuno può sfuggire il fatto che l’esilio è una grave violazione delle norme della vita sociale, in evidente opposizione con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con il diritto internazionale stesso; e le conseguenze di una tale punizione si manifestano drammaticamente sul piano individuale, sociale e morale. L’uomo non deve essere privato del diritto fondamentale di vivere e di morire nella Patria che gli ha dato i natali, là dove conserva i ricordi più cari della sua famiglia, le tombe dei suoi avi, la cultura che gli conferisce la sua identità spirituale e che la alimenta, le tradizioni che gli danno vitalità e felicità, l’insieme dei rapporti umani che lo sostengono e difendono.

Nell’Enciclica Laborem Exercens, parlando del fenomeno dell’emigrazione dovuto alla mancanza di lavoro, ho detto che l’uomo, se ha il diritto di lasciare il suo Paese d’origine, ha anche il diritto di ritornarvi (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 23). Ho sottolineato inoltre l’impoverimento che ne risulta per la Patria abbandonata, come il dovere della nazione che lo accoglie di fare in modo che il lavoratore non sia “svantaggiato” dalla sua posizione di straniero, e che non si sfrutti la sua “situazione di costrizione” (Ivi.). Ma per gli esiliati, non si tratta tanto di una situazione di emergenza, di una scelta provvisoria, quanto di una vera e propria esclusione forzata, che li colpisce nei loro affetti più profondi e che può spesso corrispondere a quella che si chiama “morte civile”.

Auspico che, grazie all’azione congiunta delle Autorità e degli Organismi responsabili, si possa determinare un adeguato piano d’azione – in riferimento al diritto internazionale – perché si metta fine in tutti i Paesi alla tragedia dell’esilio che è in contrasto con le fondamentali conquiste dello spirito umano.

Nello stesso tempo, non posso dimenticare la situazione nella quale si trovano numerose centinaia di migliaia di profughi del Sud-Est asiatico, situazione che si prolunga in modo drammatico. Essi vengono ricevuti in luoghi di accoglienza, specialmente in Thailandia, ma essi attendono, per quanto riguarda la residenza e il lavoro, una soluzione definitiva che sia degna del rispetto dovuto alla persona umana. Nazioni economicamente evolute hanno già aperto loro le loro frontiere; altre ancora potranno o dovranno impegnarsi in questa nobile competizione, dando prova in questo modo della loro effettiva sensibilità nei confronti di quelle masse umane, di quelle famiglie che si vedono private dei diritti elementari concernenti la loro vita, e costrette all’inattività e alla miseria.

Riferendomi alla responsabilità che pesa su tutti i popoli, di interessarsi alla situazione dei profughi, lancio un fervido appello ai responsabili degli Stati del mondo, e in particolare di quelli che hanno ricevuto dalla Provvidenza abbondanza di ricchezze, affinché compiano tutto ciò che è in loro potere per sopperire alle aspirazioni umane di tutti questi nostri fratelli, sia accogliendoli, sia prolungando l’ospitalità già accordata loro.

Allo stesso modo, non posso fare a meno di pensare ai milioni di uomini, di donne e di bambini, tra i quali si trovano molti malati ed anziani, che hanno lasciato l’Afghanistan; e tengo anche a menzionare i profughi dai diversi Paesi dell’Africa. Vi sono nazioni che vedono fuggire dal loro territorio una larga parte delle popolazioni, obbligate a cercare altrove condizioni di sussistenza e i necessari spazi di libertà. Le loro sofferenze sono anche nostre, ed esse attendono la risposta generosa, concreta ed efficace della solidarietà internazionale.

Compiendo questo dovere, la Chiesa, lo ripeto, è spinta unicamente dal suo amore verso la persona umana e dal rispetto della sua dignità che trova la sua sorgente in Dio stesso.

Il lavoro e la famiglia

9. Ho già ricordato prima qual è il principio conduttore dell’azione della Santa Sede nei suoi rapporti con la vita internazionale, e cioè che l’uomo “è la prima e fondamentale via della Chiesa”.

È in questo contesto che acquistano tutto il loro significato i due problemi cruciali che concernono l’uomo contemporaneo ed ai quali ho dedicato quest’anno il mio magistero ordinario: il lavoro e la famiglia. Sono due problemi fondamentali non solo per la vita personale dell’uomo, ma anche e soprattutto se si considera l’insieme della società. Come tali, essi riguardano la vita stessa di ciascuna delle vostre nazioni, perché essi ne costituiscono come il supporto essenziale, come il tessuto connettivo.

Voi sapete che il documento sul lavoro è stato voluto come contributo del pensiero della Chiesa di oggi alla questione sociale, in occasione del 90° anniversario dell’Enciclica Rerum Novarum del mio predecessore Leone XIII, e sulla scia dell’insegnamento pontificio che si è sviluppato in questi novant’anni sul tema del lavoro; si tratta di applicare queste riflessioni alla considerevole evoluzione che il lavoro ha conosciuto nel mondo contemporaneo, fino alle dimensioni universali raggiunte nel momento attuale. Voi sapete poi che l’esortazione apostolica sulla famiglia ha raccolto e sintetizzato i contributi del Sinodo dei Vescovi, riuniti qui a Roma nell’ottobre del 1980. È stato così elaborato, sulla linea delle “Proposizioni” risultate dal dibattito dei Vescovi, un trattato completo sulla problematica attuale della vita della famiglia, confrontata con le posizioni classiche della dottrina immutabile della Chiesa, che trovano la loro sorgente nella Rivelazione.

Il lavoro e la famiglia sono i due poli attorno ai quali si svolge la vita dell’uomo, fin dagli albori dell’umanità. Il lavoro esiste in funzione della famiglia e la famiglia non può svilupparsi che grazie all’apporto del lavoro. Esso è il fondamento sul quale si edifica la vita familiare che è un diritto naturale e una vocazione dell’uomo. Queste due sfere di valori – l’una relativa al lavoro e l’altra derivante dal carattere familiare della vita umana – devono unirsi tra loro correttamente e correttamente impregnarsi l’una dell’altra. L’interazione tra il lavoro e la famiglia mi permette quest’anno di ricordare alla vostra benevola attenzione i valori fondamentali di queste due realtà che la Chiesa vuole proclamare e sostenere ad ogni prezzo, perché esse toccano molto da vicino, ed anche intimamente, la vita e la condizione dell’uomo fatta astrazione dalle considerazioni di carattere teologico proprie della civiltà cristiana. Lavoro e famiglia sono un bene dell’uomo, un bene della società.

L’uomo rimane il soggetto del lavoro

10. Il problema del lavoro ha assunto oggi proporzioni mondiali: “Se nel passato – come ho scritto all’inizio dell’Enciclica – al centro di tale questione si metteva soprattutto in luce il problema della “classe”, in epoca più recente si pone in primo piano il problema del “mondo”. Si considera, perciò, non solo l’ambito della classe, ma quello mondiale delle diseguaglianze e delle ingiustizie e, di conseguenza, non solo la dimensione di classe, ma quella mondiale dei compiti sulla via che porta alla realizzazione della giustizia nel mondo contemporaneo” (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 2). In questa prospettiva, che non può essere paragonata a quella di alcun altra epoca della storia, voi comprendete bene, Eccellenze, Signore, Signori, che il grande rischio che grava sulla evoluzione della vita sociale di oggi è soprattutto costituito dal fatto che ingranaggi enormi e complessi, aventi oramai dimensioni internazionali, minacciano realmente l’uomo in modo grave.

L’uomo, che deve essere al centro dell’interesse comune, questo uomo che, secondo l’originario piano di Dio, è chiamato a divenire padrone della terra, a “dominarla” (Gen 1,28) attraverso la superiorità del suo intelletto e la forza della sua fatica fisica, corre il rischio di essere ridotto a strumento, di divenire un meccanismo anonimo e senza volto, fino ad essere schiacciato da forze più grandi di lui, di cui possono servirsi a suo danno, per dominare le masse oppresse dal bisogno, altri uomini che giocano con gli interessi contrari al bene della persona che essi manipolano a loro piacimento.

Proprio per questo ho voluto in primo luogo ricordare che l’uomo rimane il soggetto del lavoro, precisamente in quanto persona. Ho insistito sul fatto che, quando prevale una civiltà unilateralmente materialistica, in cui la dimensione soggettiva del lavoro è lasciata in secondo piano, l’uomo si vede trattato come uno strumento di produzione. Ora, in realtà, indipendentemente dal lavoro che egli compie, egli dovrebbe essere considerato come il suo soggetto efficiente ed il suo vero creatore ed artigiano. In questa luce, si devono sottolineare i diritti sindacali del mondo del lavoro in vista della difesa di un giusto salario e della sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia. Si tratta di diritti che si oppongono alle tendenze totalitarie di ogni sistema od organizzazione che cercano di soffocarle o di volgerle a proprio profitto.

È alle Autorità pubbliche che spetta in primo luogo la reale responsabilità della umanizzazione delle condizioni di lavoro all’interno di ciascun Paese ed il formarsi inoltre di una rete di scambi e di dipendenze che influiscono sulla vita internazionale e sono suscettibili di creare diverse forme di sfruttamento, per così dire legalizzate. Si sa bene, infatti, che i Paesi altamente industrializzati stabiliscono il prezzo, il più elevato possibile, per i loro prodotti, cercando nello stesso tempo di mantenere il più basso possibile il prezzo delle materie prime e dei prodotti semilavorati. È per questa ragione, insieme ad altre, che si è venuta a creare una sproporzione sempre crescente tra i redditi nazionali dei Paesi ricchi e quelli dei Paesi più poveri.

In questo ambito le Organizzazioni internazionali – soprattutto l’Onu, l’Oit, la Fao – hanno un ruolo preminente da svolgere. A loro rivolgo tutto il mio incoraggiamento a perseguire con ardore e saggezza i fini per i quali sono state istituite, perché esse devono tendere a promuovere la dignità e i diritti della persona umana all’interno di ogni Stato, in condizioni di eguaglianza e di parità.

11. Vedete bene quale orizzonte si apre all’azione a lungo termine delle nazioni che voi rappresentate e capite anche perché la Chiesa interviene con franchezza ed umanità nei problemi del lavoro, indicando i metodi più adatti da seguire. Essa desidera incoraggiare gli uomini di buona volontà, indicare i principi da seguire e, se necessario, denunciare i pericoli e gli squilibri. Se la progressiva soluzione della questione sociale deve essere ricercata in direzione di una vita più umana, se il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro, si scopre ogni giorno con più costernazione la degradazione sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori e le zone sempre più ampie di miseria e di fame, non può allora sfuggire a nessuno a che punto la Chiesa si senta impegnata in questa causa, che essa considera sua missione e suo servizio.

La Chiesa, per suo divino mandato, è dalla parte dell’uomo. Salvaguardando la dignità del lavoro, essa è cosciente di contribuire, grazie alla forza di pace e di libertà della verità, alla difesa della dignità dell’uomo e della società. Sono certo che farete quanto vi è possibile per contribuire a questo grande progetto, a questo progetto mirabile. Allo stesso modo i vostri Paesi vorranno accordare gli sforzi necessari per continuare, su questa stessa linea, l’opera di promozione dell’uomo, particolarmente nell’ambito difficile e complesso dei problemi relativi al lavoro umano.

L’aiuto della Chiesa per l’affermazione di un nuovo umanesimo

12. Il problema della famiglia, strettamente legato a quello del lavoro, è certamente ancora più cruciale per la vita della società attuale. Ponendosi al servizio della naturale fioritura dell’umano che consiste, normalmente e universalmente, nella formazione di una famiglia, la Chiesa adempie ad uno dei suoi doveri primari ed imprescrittibili. Essa esplica la sollecitudine che insieme a me gli Episcopati del mondo intero, in occasione dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, hanno manifestato per la famiglia, in tutte le situazioni socio-culturali e politiche dei diversi continenti, e so bene che voi vi avete accordato una particolare attenzione. L’esortazione apostolica prima citata ne ha fatto sue le indicazioni e i suggerimenti.

Tenendo conto della realtà che si verifica nel contesto della rapida trasformazione delle mentalità e dei costumi, ed anche dei pericoli che minacciano la vera dignità dell’uomo, la Chiesa, pronta ad accogliere gli apporti validi di ogni cultura, sente che essa deve contribuire all’affermarsi di un “nuovo umanesimo”. Non sfuggirà a nessuno come i germi della disgregazione che operano all’interno di tante famiglie hanno come ineluttabile conseguenza la decomposizione della società.

Bisogna far sì che la famiglia diventi di nuovo una comunità di persone che vive l’indivisibile unità dell’amore coniugale e che accetta l’indissolubile permanere del patto coniugale, malgrado l’opinione contraria di tutti coloro che, ai nostri giorni, credono che sia difficile, o impossibile, unirsi ad una persona per tutta la vita, o che sono travolti da una cultura che rifiuta l’indissolubilità del matrimonio e che si fa beffe apertamente dell’impegno degli sposi alla fedeltà.

Bisogna quindi ricordare, sempre nel contesto del servizio all’uomo, la gravissima responsabilità della trasmissione della vita umana. La Chiesa è cosciente delle difficoltà che l’attuale situazione sociale e culturale oppone a questa missione dell’uomo, pur sapendo sino a che punto questa sia urgente e irrinunciabile. Ma, lo ripeto ancora, “essa sta dalla parte della vita”. Sfortunatamente, questo progetto è minacciato dai pericoli inerenti al progresso scientifico, dalla diffusione di una mentalità veramente contraria alla vita, e dagli interventi governativi che cercano di limitare la libertà dei coniugi nelle loro decisioni riguardanti i loro figli, così come dalle discriminazioni fatte nelle sovvenzioni internazionali, accordate talvolta con lo scopo di favorire programmi di contraccezione.

Allo stesso modo, si deve ricordare con vigore il diritto e il dovere che hanno gli sposi di farsi carico dell’educazione dei loro figli, specialmente nella scelta di una educazione conforme alla loro fede religiosa. Lo Stato e la Chiesa hanno l’obbligo di dare alle famiglie tutto l’aiuto possibile, affinché esse possano esercitare convenientemente il loro compito educativo. Tutti coloro che nella società sono responsabili della scuola non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso quali i primi e i più importanti educatori dei loro figli, e che questo loro diritto è assolutamente inalienabile.

Per una carta dei diritti della famiglia

13. Posto dunque che la famiglia è “la prima e vitale cellula della società”, come ha detto il Concilio Vaticano II (Apostolicam Actuositatem, 11), lungi dal rinchiudersi in se stessa, essa deve aprirsi all’ambito sociale che la circonda. In questo modo viene allora messo in luce il ruolo che alla famiglia compete in rapporto alla società. Infatti, la famiglia è la prima scuola di socialità per i suoi membri più giovani, ed è in questo insostituibile. Operando in questo modo, la famiglia diviene strumento efficacissimo di umanizzazione e di personalizzazione di una società, che ogni giorno di più rischia di spersonalizzarsi e di massificarsi e di divenire dunque inumana e disumanizzante, con le conseguenze negative di tante forme di evasione, come ad esempio l’alcolismo, la droga fino al terrorismo.

Inoltre, le famiglie, sole o a gruppi, possono e debbono consacrarsi alle diverse opere di servizio sociale, in special modo a beneficio dei poveri; e il loro compito sociale è allora chiamato a trovare espressione sotto forma di intervento politico. In altre parole, le famiglie devono essere le prime ad operare perché le leggi e le istituzioni dello Stato non siano dannose, ma soprattutto sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In questo senso le famiglie dovranno essere sempre più coscienti d’essere “protagoniste” della “politica familiare” e di assumersi la responsabilità di trasformare la società. Esse sono poi chiamate a cooperare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale.

D’altra parte, la società deve capire che essa è al servizio della famiglia. La famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo.

Sono sicuro che voi avrete dedicato una particolare attenzione a tutti i diritti della famiglia che i Padri sinodali hanno enumerato e che la Santa Sede si propone di approfondire, elaborando una “carta dei diritti della famiglia” da proporre agli ambiti interessati ed alle Autorità dei diversi Stati come anche delle Organizzazioni internazionali competenti.

14. Come vedete, dedicando la sua attenzione alla famiglia, salvaguardandone i diritti, cercando di promuovere la dignità dei suoi membri, la Chiesa desidera offrire un decisivo contributo non solo alla persona umana – principale oggetto della sua sollecitudine – ma anche al progresso ordinato, alla prosperità, alla pace delle diverse nazioni. Non si può infatti pensare che un popolo possa innalzarsi in maniera degna e meno ancora che Dio continui ad effondere su di esso le sue benedizioni – perché: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode” (Sal 126 [127],1) – là dove vengono calpestati i diritti fondamentali dell’uomo e della donna, là dove la vita è soffocata nel grembo della madre, là dove un permissivismo cieco e irresponsabile accetta che siano minate alla base i valori spirituali e morali, senza i quali si disgregano non solo le famiglie ma anche le nazioni.

Su questo punto tanto importante, desidero fare appello alla vostra sensibilità; e auguro che in tutti i vostri Paesi abbiano priorità di accoglienza, grazie a disposizioni di ordine giuridico, sociale e previdenziale, le maggiori preoccupazioni per il bene della Familiaris Consortio, cioè della “comunità familiare” che costituisce il bene più prezioso dell’uomo.

Il bene prevale

15. Eccellenze, Signore e Signori!

Nel promettente ambito che si apre all’azione congiunta della Chiesa e degli Stati, ciascuno opererà in modo autonomo nella sua propria sfera di responsabilità per la difesa della pace nel mondo, per l’elevazione culturale, spirituale e morale dell’uomo e della società e, in modo del tutto particolare, per la promozione dei diritti concernenti il lavoro e la famiglia. Il nostro ottimismo non deve venir meno e neppure la nostra speranza. Certamente, i tempi sono difficili e ombre scure si levano all’orizzonte. Ma non abbiamo paura. Le forze del bene sono più grandi! Esse operano nel silenzio per la costruzione, che continuamente si rinnova, di un mondo più sano e più giusto. Milioni e milioni di uomini desiderano la pace nella loro Patria e la possibilità di essere veramente uomini liberi, con uno spirito costruttivo, nella loro famiglia e nel loro lavoro. Aiutiamoli!

La Chiesa non mancherà mai di giocare il suo ruolo, anche a costo di pagare di persona con i migliori dei suoi figli.

Auguro ad ogni Capo di Stato che voi rappresentate, ad ognuno dei vostri governi, ai vostri connazionali, che cresca la fraternità, la mutua comprensione, la collaborazione sincera e volonterosa tra i popoli. Che si affermi la pace, frutto della giustizia, della comprensione, dell’amore, quella pace che, per i cristiani è “dono di Dio”, e che ha un unico fondamento: l’immagine e somiglianza dell’uomo con Dio Padre, perché creato da Lui, e riscattato da suo Figlio, Gesù Cristo.

A tutti voi, alle vostre famiglie, ripeto l’augurio tradizionale di “buon anno”: un anno che sia veramente “buono”, sorgente e pegno di bene, e lo faccio con le parole della solenne benedizione, ispirata alla Bibbia, che ha formulato San Francesco, questo Santo universale di cui celebriamo quest’anno l’ottavo centenario della nascita: “Che il Signore ti benedica e ti protegga! Che ti mostri il suo volto ed abbia pietà di te! Che volga verso di te il suo sguardo e ti doni la pace!”.



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