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VISITA PASTORALE AD ASSISI

INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I VESCOVI D'ITALIA

Venerdì, 12 marzo 1982

 

Signori Cardinali,
e voi tutti, venerabili fratelli della Conferenza Episcopale Italiana.

1. Conclusi gli incontri personali con ciascuno di voi, e quelli collegiali con le singole Conferenze Episcopali, in occasione della Visita “ad limina Apostolorum”, siamo venuti pellegrini di amore e di devozione a questo luminoso “Oriente” (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, XI, v. 54), per venerare le sacre spoglie mortali del grande san Francesco, patrono d’Italia, e per rinvigorirci alle sorgenti del suo spirito e della sua vocazione.

Il nostro è un atto di pellegrinaggio e di comunione: “pellegrinaggio”, come è noto, immediatamente motivato dalle celebrazioni giubilari per l’ottavo centenario della nascita del Poverello di Assisi; “comunione” come espressione dell’unità esistente tra le Chiese particolari e i loro Pastori: “Communio Ecclesiarum” e “Communio Pastorum” di tutta l’Italia.

Tale semplice atto costituisce il coronamento più alto e straordinario della Visita “ad limina” dell’anno scorso, perché in essa sono egualmente presenti la realtà della “peregrinatio” e della“communio”.

2. La Chiesa universale, “Popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen Gentium, 4), è chiamata a vivere interiormente e visibilmente il grande mistero della comunione, di cui il successore di Pietro è principio e fondamento, e per cui “chi sta in Roma, sa che gli Indi sono sue membra” (S. Giovanni Crisostomo, In Io. Hom., 65,1: PG 55, 361). Si tratta di un rapporto articolato, molteplice e semplice al tempo stesso, che nel rispetto delle singole vocazioni, missioni, compiti e carismi, crea l’universale unità di un solo Popolo di Dio, proteso ad accentrare tutta l’umanità in Cristo Capo (cf. Lumen Gentium, 13).

Nell’ambito di tale unità cattolica, esistono le Chiese particolari con i loro legittimi Vescovi che “lo Spirito Santo ha costituiti . . .” (At 20, 28). Essi con la visita “ad limina” recano al successore di Pietro l’espressione viva e concreta di quella “comunione ecclesiale”, che vige nell’ambito della Chiesa particolare stessa, tra il Vescovo, il clero ed i fedeli, nei diversi ordini e compiti, per riceverne visibilmente la conferma, insieme con la tutela delle legittime verità, ed esprimere in pari tempo l’estremo inserimento nella comunione dell’unica Chiesa cattolica.

3. Ma nella visita “ad limina” è presente anche l’aspetto pellegrinante della Chiesa medesima: la Chiesa che è in via; che, come nuovo Israele, cammina alla ricerca della città futura, e permanente, tra tentazioni e tribolazioni, e non cessa di rinnovarsi ogni giorno, nella fedeltà al disegno di Cristo, per essere sacramento di salvezza per il mondo intero (cf. Lumen Gentium, 8.9.44).

In queste “Visite”, infatti, abbiamo ripercorso idealmente il cammino di ogni Chiesa particolare nel corso degli ultimi cinque anni, in vista di una più profonda sintonia di fede, di ministero e di carità, nel quadro delle dinamiche di sviluppo e di maturazione del tipo di società proprio di ciascuna Regione. Amore nel vincolo della comunione ecclesiale e faticosa corresponsabilità nell’affrontare il cammino quotidiano, hanno trovato espressione nei colloqui e nei discorsi, come pure nelle conversazioni che ne sono seguite.

4. Ora, riuniti in assemblea straordinaria, si affaccia naturale e pressante per noi il bisogno di formulare un quadro d’insieme ed una sintesi, proprio ispirandoci al patrono d’Italia, che è indiscutibilmente un testimone eccezionale del pellegrinaggio bimillenario del Popolo di Dio su questa privilegiata Penisola. Egli infatti rappresenta una delle più alte espressioni di quell’umanesimo cristiano, vissuto ed arricchito da tante generazioni di italiani, che hanno visto e continuano a vedere in Francesco il genuino interprete dei loro valori etici e delle loro aspirazioni, come avete efficacemente messo in evidenza nel vostro odierno Messaggio alla Comunità italiana.

La circostanza dell’ottavo centenario francescano invita naturalmente anzitutto a volgere lo sguardo al passato, per individuare quei contenuti sempre validi che restano una costante di viaggio anche per le successive tappe del pellegrinaggio ecclesiale. Certo, l’impegno più sollecitante resta quello di delineare con realismo la tappa presente del cammino, in vista di programmare ed animare il percorso futuro. Tale triplice attenzione ha segnato i “ritmi” dei nostri incontri ormai conclusi, e qualifica anche il senso dell’incontro nazionale odierno. In questo atteggiamento, ci sia ancora una volta di luminoso sostegno la testimonianza di san Francesco. Egli, per un verso, fu un uomo “di frontiera” - come si direbbe oggi - per cui esercita tuttora un grande fascino anche presso i lontani, ma fu soprattutto uomo di fede in Dio, discepolo ardente di Cristo, figlio devoto della Chiesa, fratello affettuoso di tutti gli uomini, anzi di tutte le creature. Nei suoi confronti, ogni rigido schema di collocazione diventa incongruo. Fedele senza riserve, proprio a ragione di tale fedeltà, si sentì libero di osservare alla lettera il Vangelo, di seguire una sua strada, indicatagli solo dallo Spirito di Cristo, e potè essere così “quell’uomo nuovo, donato dal cielo al mondo” (S. Francesco, Leg. Maior, XII, 8), al cui apparire “i popoli - come si esprime Tommaso da Celano - furono ripieni di stupore davanti ai segni della rinnovata età apostolica” (3 Cel. 1). Francesco fu dunque uomo di Chiesa, che visse in pieno questa triplice dimensione: coscienza del passato, apertura alle esigenze del presente, proiezione dinamica verso le prospettive del futuro; e tutto ciò nel contesto di una vivissima sensibilità cattolica.

5. Chi non vede la rilevanza ecclesiologica di un simile atteggiamento? La Chiesa, infatti, vive in ogni sua parte la realtà totale del Corpo mistico di Cristo, sia nella dimensione temporale in quanto attualizza nell’oggi la redenzione compiuta dal suo Fondatore, preannunziandone il compimento escatologico, sia nello spazio, in quanto in ogni Chiesa particolare essa è totalmente presente.

Le conseguenze che da questo dato ecclesiologico possono derivare, per la particolare situazione dell’Italia, sono facilmente intuibili. Nel contesto sociale della nazione si pongono in evidenza alcune tensioni e contrapposizioni, che sembrano ostacolare piuttosto che favorire la costruzione di un insieme armonico: paradigmatica al riguardo è la tensione esistente tra Nord e Sud, legata a molteplici cause sociali, culturali, economiche e politiche.

La Chiesa, costituendo per natura sua “un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza” (Lumen Gentium, 9), è chiamata ad operare incessantemente per il superamento di ogni divisione, favorendo con mezzi perspicaci l’integrazione e l’unione, ai diversi livelli della Città umana, nello spirito della luminosa frase paolina: “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6, 2).

La Conferenza Episcopale Italiana svolge certamente un’opera di integrazione in tal senso, ma i mezzi adoperati fino ad ora possono dirsi realmente adeguati e sufficienti? È necessario studiare ogni opportuna iniziativa di carattere nazionale che possa condurre al desiderato traguardo di un’unità di spiriti, sempre più profonda ed operante, anche nel campo della convivenza civile, sull’esempio del Poverello di Assisi, al cui riguardo così si esprimeva il contemporaneo, Tommaso da Spalato: “In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie ed a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace” (Fonti Franc., 2252).

6. Desidero, inoltre, sempre con sguardo sintetico, accennare ad un altro problema d’insieme, che attiene direttamente alla missione della Chiesa, e che si ricollega con le considerazioni svolte sopra al riguardo dei due aspetti della “comunione” e del “pellegrinaggio”. Sorge spontanea la domanda: quale tipo di comunione deve cercare di realizzare la Chiesa in Italia per poter esercitare la sua presenza stimolante lungo l’attuale tratto di cammino della società nazionale, entro i confini che corrono dalle Alpi alla Sicilia?

Abbiamo ricevuto da Cristo una missione. Missione e comunione si richiamano a vicenda con intimo rapporto, essendo ambedue costitutive dell’unico mistero della Chiesa. “Il Verbo incarnato - avete detto con parole incisive nel Documento “Comunione e Comunità”, pubblicato nell’ottobre scorso - mentre accoglie nella comunità divina la Chiesa, la rende partecipe della missione di salvezza ricevuta dal Padre, e in essa e per essa la realizza continuamente nella storia” (Comunione e Comunità, n. 2).

Ora, la condizione per compiere tale missione di animazione, di lievito evangelico, di ispirazione cristiana è appunto la realizzazione di un’attiva presenza nei diversi momenti e strutture della vita sociale. Tale dinamica e illuminata presenza dobbiamo saperla contrapporre in pratica, con azione umile e serena, ma informata e decisa, ai programmi che vorrebbero eliminare questa presenza, e rendere la Chiesa “assente”, vanificandone l’influsso ispiratore.

Tale è la caratteristica della missione, cioè dell’apostolicità: essa non contrasta né col dialogo, né con la libertà di coscienza, anzi è in certo senso richiesta da tali atteggiamenti, non potendo esistere rispetto per gli altri se non si consente loro di esprimere se stessi nelle forme dovute. Ecco allora che questo nostro incontro, accanto alla tomba del patrono d’Italia, ci sospinge a formulare la domanda circa le vie più adatte per assicurare una presenza efficace del Vangelo e della Chiesa nell’intera Penisola, nelle ultime decadi del secolo XX.

Un’altra lezione proviene a noi da san Francesco, anche se viviamo in un’epoca tanto diversa dalla sua: ed è il messaggio di amore alla povertà.

Francesco comprende Cristo proprio nei poveri, quando, scendendo a san Damiano, incontra il lebbroso e lo bacia, donandogli tutto quello che ha. Il ricco figlio di Pietro di Bernardone, davanti al Vescovo di Assisi, rinuncia ad ogni bene del mondo, offrendo una splendida lezione di distacco, di interiore libertà, di vera povertà, tanto che, nell’eco stupefatta dei contemporanei, la sua scelta è stata vista alla luce di un rapporto nuziale con “Madonna Povertà”.

Perciò anche oggi la Chiesa italiana, nel suo insieme, è chiamata a riflettere su questa grande lezione di Francesco per incarnare sempre più nel suo contesto e nella sua vita tale valore evangelico, da cui è sbocciata nei secoli una mirabile tradizione di ascesi ecclesiale, sia nelle persone singole che nelle istituzioni. È necessario che anche le nuove generazioni siano educate alla sobrietà ed al sacrificio, virtù indispensabili in un sano processo pedagogico, che intenda formare personalità mature.

A questo riguardo, mi piace rendere omaggio alla semplicità di vita del clero italiano, che con mezzi in genere molto limitati sa svolgere dignitosamente il proprio ministero e sostenere opere pastorali spesso di vasta entità. Una Chiesa povera infatti non può non suscitare un atteggiamento di responsabile solidarietà tra i fedeli, resi consapevoli dell’impegno di offrire il proprio appoggio. L’esperienza della Chiesa in varie epoche e in diverse nazioni lo dimostra ampiamente.

La scelta di Francesco, radicale e rivoluzionaria, ha quindi un profondo significato anche oggi per la Chiesa in Italia e nel mondo.

7. Tali vie del Vangelo e della Chiesa per l’odierna generazione e per le successive sono state tracciate dal Concilio Vaticano II, che - come dissi all’inizio del mio pontificato - “è . . . una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa ed anche culturale del mondo” (Giovanni Paolo II, Sermo in universum terrarum orbem per radiophonica ac televisifica instrumenta diffusus, die 17 oct. 1978: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 5).

A questo preciso riguardo, merita riflettere fino a che punto sia stato assimilato dal Popolo di Dio, che è in Italia, il significato autentico dell’orientamento pastorale del Concilio, che purtroppo è stato subito segnato da elementi di divisione.

Gli orientamenti del Concilio devono essere studiati, meditati, riletti ed attuati: non soltanto seguendo gli specifici Documenti conciliari, già in se stessi così ricchi di indicazioni e di suggerimenti pastorali, ma anche con l’aiuto di quella che possiamo chiamare la “chiave sinodale” di lettura del medesimo Concilio, cioè mediante le indicazioni emerse dai lavori dei Sinodi dei Vescovi, finora celebrati, e proposte da Documenti di vasto respiro quali l’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, dopo il Sinodo del 1974; la mia esortazione apostolica Catechesi Tradendae, dopo quello del 1977; l’esortazione apostolica Familiaris Consortio, dopo quello del 1980; tenendo anche presenti le Dichiarazioni del Sinodo del 1971 per quanto concerne l’“identità” dei sacerdoti, come pure il problema della “giustizia nel mondo”, problema questo dalle vaste implicazioni e che ha trovato la Chiesa sempre sensibile ed attenta alle ispirazioni del Vangelo e della Tradizione, sempre fedele al suo originale insegnamento nel campo sociale, in una coerente continuità che, nell’epoca più recente della nostra storia, va dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII alla Quadragesimo Anno di Pio XI, ai Radiomessaggi di Pio XII, alle encicliche Mater et Magistra e Pacem in Terris di Giovanni XXIII, all’enciclica Populorum Progressio e alla lettera apostolica “Octogesima Adveniens” di Paolo VI, fino alla mia recente enciclica Laborem Exercens.

Sarà proprio con l’aiuto di questa “chiave sinodale” che occorrerà sviluppare, evitando i pericoli della già accennata divisione, le esigenze fondamentali del Concilio Vaticano II. Si tratta di applicare “nel piccolo” quei “grandi” orientamenti che hanno segnato la storia recente della vita della Chiesa; perché, effettivamente, è nel piccolo che si realizza il grande, e perciò proprio il piccolo è sempre cosa grande!

Ecco quindi l’importanza ed urgenza che riveste il lavoro pastorale nei singoli settori delle vostre Chiese. Accenno anzitutto alla sollecitudine per le vocazioni ecclesiastiche e per i Seminari. La Chiesa che è in Italia deve impegnarsi ad un’azione sempre più metodica, incisiva e capillare per la ricerca e la cura delle vocazioni. È noto che, mentre nella nazione i problemi pastorali ed ecclesiali aumentano, non si hanno invece sempre sacerdoti in numero sufficiente per far fronte alle molteplici esigenze spirituali dei fedeli.

Voi dovete dimostrare ogni cura, predilezione e premura a questi sacerdoti, che sono i vostri collaboratori immediati, gli autentici “educatori nella fede” (cf. Presbyterorum Ordinis, 6). In questo momento così solenne dell’incontro del Vescovo di Roma con i Vescovi di tutta l’Italia, il mio pensiero va, con profonda stima e con fraterno affetto, ai circa quarantamila sacerdoti italiani - ed ai ventimila Religiosi - i quali, parroci nelle grandi parrocchie urbane o in quelle piccole di campagna o di montagna, o animatori di piccole o grandi Comunità e soprattutto di gruppi di giovani, di operai, o impegnati nella pastorale a qualsiasi livello - insegnanti di scuola, di Liceo, di Università - lavorano ogni giorno per il Regno di Dio. L’Italia, per la sua plurisecolare tradizione storica e culturale, ha bisogno della presenza e della testimonianza dei sacerdoti, i quali in questa nazione hanno dato prove di grande spiritualità e carità verso i bisognosi, gli ammalati, gli emarginati.

Ai sacerdoti è affidato, in modo speciale, il culto a Cristo Eucaristia, fonte, centro ed apice della vita cristiana (cf. Lumen Gentium, 11; Ad Gentes, 9). Il prossimo Congresso Eucaristico Nazionale, che si svolgerà a Milano, contribuisca a rendere più intenso l’amore adorante per il Sacramento dell’Altare, non solo in tutti i fedeli, ma soprattutto nei sacerdoti.

Rinnovo l’espressione della mia sollecitudine per le religiose e per quante vivono una vocazione di consacrazione, le quali, nel dono di sé a Cristo, e seguendo le orme di Maria santissima, portano alla Chiesa di Dio una ricchezza di spiritualità, di carità, di dedizione nei vari campi dell’assistenza agli infermi, ai poveri, agli anziani, ai bambini; o nell’insegnamento, o in quelle situazioni in cui la delicata sensibilità femminile può superare difficili barriere; o nel volontario silenzio della clausura; ma specialmente nella preghiera continua e nel sacrificio riparatore.

Auspico che le giovani di questa nazione, desiderose di dare alla vita il suo vero, pieno significato, sappiano rispondere con entusiasmo e generosità all’invito di Cristo, che le chiama al dono di sé nelle varie forme di vocazione consacrata. Insisto poi ancora sulla catechesi e, in particolare, sulla formazione catechistica dei giovani, che tenga presenti i loro problemi, le loro esigenze, le loro attese, la loro cultura. Come pure insisto sul problema della pastorale universitaria, sulla costituzione o rivitalizzazione dei centri di cultura, e sulla sempre più urgente pastorale nel mondo del lavoro. Cioè, occorre un sempre maggiore impegno comune di voi Pastori per la formazione e la promozione del Laicato. I Laici debbono rendere testimonianza a Cristo con la loro vita, nella famiglia, nel ceto sociale a cui appartengono e nell’ambito della professione che esercitano. Essi debbono assumere la instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e, guidati dalla luce del Vangelo e dalla dottrina della Chiesa, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini, secondo la loro specifica competenza e responsabilità; cercare dappertutto e in ogni cosa la giustizia del Regno di Dio (cf. Apostolicam Actuositatem, 7). I laici cattolici Italiani hanno una magnifica ed esemplare storia di azione, di impegno, di fedeltà alla Chiesa, nonché alla Nazione. Occorre rendere più intensa e profonda la loro formazione culturale e spirituale mediante opportune iniziative a carattere permanente, perché essi siano sempre più seriamente preparati ad assumere quelle responsabilità ecclesiali, che voi Vescovi reputerete di affidare loro.

8. Da quanto abbiamo considerato emerge, in un certo senso, un’ulteriore dimensione del “pellegrinaggio e della comunione”. Siamo venuti qui, alla tomba gloriosa di san Francesco, per meditare su questa dimensione, per riflettere insieme sui nostri compiti ed i nostri impegni e per gioire di essi, come della prospettiva della nostra missione e della nostra comunità.

Cerchiamo di vedere questa nostra “via” comune: la via del Vangelo e della Chiesa degli anni ottanta attraverso la Penisola, dalle Alpi alla Sicilia ed alla Sardegna.

Tuttavia, se dobbiamo rimanere nella verità della nostra vocazione, occorrerà cercare di approfondire e considerare questa “via”ancora nella relazione agli altri: alle altre Chiese, alle altre Società. Poiché la Provvidenza divina ha donato alla terra italiana san Francesco e tanti altri innumerevoli santi, e poiché essa ha misteriosamente guidato a questo paese i passi di Pietro, il Pescatore di Galilea, non possiamo meravigliarci se gli altri “guardano” a questa Chiesa che è in Italia, e se con essa spesso misurano se stessi nei diversi problemi. Nei confronti degli altri abbiamo quindi una autentica e seria responsabilità.

Per rispondere pienamente ed adeguatamente a questa permanente responsabilità, la Chiesa di Dio che è in Italia deve vivere intensamente la propria dimensione “missionaria”. Dimensione missionaria “ad extra”, quale si è manifestata nei secoli, e si manifesta ancor oggi, nella generosità di tanti figli e figlie di questa nazione, che hanno abbandonato la patria, la famiglia, gli amici, la sicurezza, per lanciarsi nel mondo a predicare il Vangelo: l’Italia può legittimamente esser fiera dei Missionari e delle Missionarie, che in tutte le plaghe della terra hanno portato e portano, come san Francesco, la pace e il bene, quali sono proclamati dal messaggio di Cristo. Ma tali notissimi meriti dell’Italia nel campo della sua plurisecolare dimensione missionaria “ad extra” sono il frutto di quella che possiamo chiamare la dimensione missionaria “ab intra”, cioè il suo dinamismo e la sua vitalità, per cui la Chiesa di Dio che è in Italia - come d’altronde tutta la Chiesa - è perennemente “in statu missionis”: “La Chiesa che vive nel tempo per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il Piano di Dio Padre, deriva la propria origine” (Ad Gentes, 2). Tale dimensione missionaria “ab intra” si contrappone perciò al tradizionalismo e all’immobilismo; si trova confrontata col profilo della “secolarizzazione” programmata della vita nei diversi settori; e scopre inoltre non soltanto il suo “ieri” sacrale e cristiano, ma anche l’“oggi” tormentato ed esaltante, e il “domani” ancora imprevisto ed imprevedibile.

È in questa prospettiva che bisognerà cogliere i sintomi della solidarietà che sta allacciandosi con diverse Società e Chiese dell’Europa e del mondo, e secondarne lo sviluppo per una intesa sempre più intelligente e fattiva.

9. Tutta la comunità ecclesiale in Italia - i Vescovi, i sacerdoti, le anime consacrate, i laici - in questo momento di crisi di valori, di disorientamento morale, ma anche di ansiosa ricerca di nuove sintesi culturali, di tensione verso una vita più conforme alle profonde aspirazioni del cuore umano, è chiamata a partecipare attivamente alla ricostituzione del tessuto civile della nazione, fondato sui valori etici dell’umanesimo cristiano.

E questa sua missione storica essa potrà adempiere solo se sarà sempre più consapevole della sua identità, sempre più obbediente alla sua chiamata alla testimonianza, sempre più convinta dell’intrinseca ed insostituibile genuinità e forza dei propri valori, sempre più generosa nel suo impegno di presenza e di partecipazione, sempre più coerente e tenace nell’azione, perché l’Italia riscopra e viva, con rinnovato fervore, la sua ricchezza umana e il suo volto cristiano. Come non è possibile comprendere in tutta la sua pienezza la figura del Poverello di Assisi senza il suo essere credente, cristiano, cattolico, così non è possibile esaurire la comprensione della storia e della vita dell’Italia, se si prescinde dalla Fede.

Alla fine di questa nostra riunione, che rappresenta quasi una sintesi ideale di tutti gli incontri, personali e collegiali con voi avuti in occasione delle vostre visite “ad limina”, rivolgo la mia preghiera ardente ai Santi ed alle Sante, che la terra d’Italia ha dato alla Chiesa ed al mondo attraverso venti secoli, e in particolare la rivolgo qui, accanto alla sua tomba, al patrono d’Italia, san Francesco, perché estenda a tutta la sua patria terrena quella Benedizione che, morente, rivolse alla sua diletta Assisi: “. . . Signore . . . per la tua copiosa misericordia . . . la città è diventata rifugio e soggiorno di quelli che ti conoscono e danno gloria al tuo nome e spandono profumo di vita santa, di retta dottrina e buona fama in tutto il popolo cristiano. Io ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordare solo l’abbondanza della tua bontà che le hai dimostrato. Sia sempre questa città, terra e abitazione di quelli che ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e glorioso nei secoli dei secoli” (Leggenda perugina, 99).

Ed affido questi miei voti e questi miei pensieri alla Madonna santissima, la “Castellana d’Italia”, verso la quale il buon popolo di questa nazione nutre una devozione tenera e forte, carica di sentimento, ma alimentata altresì da autentici contenuti teologici. La Vergine santissima tenga sempre il suo sguardo materno su questo paese.

La mia benedizione apostolica accompagni sempre voi, carissimi fratelli nell’Episcopato, e tutto il Popolo di Dio che è in Italia. 

                                                   



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