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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLO ZAIRE 
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Giovedì, 21 aprile 1983

 

Cari fratelli nell’Episcopato.

1. Dopo aver accolto ciascuno di voi, vi incontro tutti insieme con grande gioia. Apprezzo i sentimenti che mi esprimete e ringrazio vivamente colui che me li sa espressi, Monsignor Fataki. Tutte le vostre parole saranno oggetto della mia riflessione e della mia preghiera.

Sì, come anche voi avete sottolineato, io immagino meglio la vostra situazione di vita, perché conservo un vivo ricordo di quella giornata, troppo breve, che ho trascorso a Kisangani in cui mi avete così cortesemente ricevuto la sera del 5 maggio 1980 e il giorno seguente. Vedo ancora il popolo entusiasta giunto sul sagrato della cattedrale Notre-Dame del Rosario, per il primo incontro e poi per l’Eucaristia. Penso anche alla missione Saint-Gabriel, da dove ho indirizzato un messaggio di saluto, di felicitazioni e di conforto a tutti coloro che fanno opera di missione.

La maggior parte di voi era là, con il suo popolo. Ho ritrovato con piacere Monsignor Arcivescovo, che avevo conosciuto a Cracovia; avevo anche appena ordinato, a Kinshasa, uno di voi all’Episcopato, Monsignor Bham’ba Gongoa, Vescovo di Bondo. E oggi, voi venite di nuovo ad esprimere qui i vostri legami con il successore di Pietro, presso le tombe degli Apostoli, ben sapendo quanto questa comunione sia per la Chiesa cattolica una nota essenziale, una garanzia di autenticità e una sorgente di fecondità.

2. È molto più da voi che in altri luoghi che ho reso omaggio ai missionari, non lontano dal cimitero di Makiro. È stato, per me come per voi, un momento molto commovente, pensando che questi pionieri avessero abbandonato tutto e intrapreso l’avventura più grande, per far partecipare i loro fratelli dello Zaïre all’unico popolo dei credenti, alla stessa eredità di Gesù Cristo. Ed è stato molto importante, perché è normale conservarsi riconoscenti nei confronti di questi padri nella fede, e nei confronti di Dio da cui viene il dono di questa fede; è anche importante mantenere un ardente spirito missionario: non c’è forse ancora così tanto da fare per annunciare Gesù Cristo e permettergli di radicarsi negli animi e nei costumi?

3. Oggi mi avete esposto la vostra preoccupazione: costituire vive comunità ecclesiali. Io la condivido volentieri. È sicuramente il fine dell’evangelizzazione. Il Concilio Vaticano II lo esprimeva bene in un capitolo del decreto Ad Gentes che dovremmo rileggere per intero (cf. Ad Gentes, 15-18). Lo Spirito Santo è l’anima di tali comunità, la sorgente del loro slancio e dei loro molteplici doni; e, sotto la sua azione, la predicazione della dottrina, il discernimento e gli orientamenti dei Pastori responsabili strutturano il pensiero e l’attività di queste comunità.

Per cogliere le note caratteristiche di queste comunità, è importante riferirsi, senza imitazione letterale ma seguendo la medesima ispirazione, alle comunità dei tempi apostolici descritte negli Atti, o nelle lettere di san Paolo (per esempio ai Corinzi), in quelle di san Pietro o ancora in quelle che, nell’Apocalisse, sono indirizzate, alla fine del primo secolo, alle comunità dell’Asia Minore (Ap 2-3). Tutta la Tradizione della Chiesa permette in seguito di comprendere come si forma una comunità cristiana, e anche come essa si riprenda e si rinnovi, dopo i periodi di crisi. Infine, i testi del Concilio Vaticano II (in particolare la costituzione sulla Chiesa, i decreti sul compito pastorale dei Vescovi, sul ministero e la vita dei sacerdoti, sull’apostolato dei laici, sull’attività missionaria) e i documenti del Magistero che sono stati in seguito emessi, specialmente l’esortazione Evangelii Nuntiandi (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 12. 15. 18-20. 23. 41), hanno fornito a questo proposito dei punti di riferimento e di orientamento che permettono di preparare e di riconoscere ciò che costituisce il valore di una comunità cristiana (cf. Ad Gentes, 15).

4. È evidente che un tale “gruppo di fedeli, dotato delle ricchezze culturali della sua propria nazione, deve essere profondamente radicato nel popolo” (Ivi); ma non si tratta di una semplice promozione, di una trasposizione di queste ricchezze culturali. Lo dicevo sabato scorso al Catholicos Karekine, pensando alla bella civiltà dei cristiani armeni: “Quando un popolo accoglie la luce di Cristo, le sue convinzioni profonde ne vengono purificate e confermate; sul terreno dell’antica cultura, ne sboccia una nuova nella quale l’uomo trova un equilibrio più profondo e un modo più libero e liberante di affrontare la realtà”.

Di queste caratteristiche cristiane, la prima lettera dell’apostolo Pietro era già ricca di esempi: “Diventate santi in tutta la vostra condotta . . . (1 Pt 1, 15) amatevi intensamente di vero cuore, gli uni gli altri . . . (1 Pt 1, 22) deponete ogni malizia, frode e ipocrisia . . . (1 Pt 2, 1)astenetevi dai desideri della carne che fanno guerra all’anima . . . (1 Pt 2, 11) e finalmente siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili . . . (1 Pt 3, 8) ciascuno metta a servizio degli altri il dono della grazia che ha ricevuto . . .” (1 Pt 4, 10). E altre parole ritornano spesso nella medesima lettera: la fermezza della fede, l’amore di Gesù, la viva speranza, la preghiera, l’impegno di giustizia, la partecipazione alle sofferenze di Cristo, la costanza nella gioia e l’allegrezza. Aggiungendovi tutti i testi parenetici delle lettere di san Paolo o di san Giacomo, in particolare la preoccupazione dei più poveri - diremmo, oggi, degli emarginati o delle minoranze etniche -, si avrà un panorama di note essenziali di modi di vivere cristiani di tutti i tempi, di cui le comunità cristiane devono testimoniare con fervore, convertendovisi senza posa, e che costituiscono la loro originalità e la loro vitalità.

5. Questa vitalità sarà tanto meglio assicurata quando ciascun membro del Corpo di Cristo assumerà bene la propria responsabilità. “Per . . . lo sviluppo della comunità cristiana sono necessari dei ministeri diversi che, suscitati dalla chiamata divina all’interno stesso dell’assemblea dei fedeli, devono essere incoraggiati e rispettati da tutti con cura premurosa”, ricordava il Concilio (Ad Gentes, 15 in fine), e ricordava le funzioni dei sacerdoti, dei diaconi, dei catechisti, l’azione dei laici, il compito dei religiosi e delle religiose. Permettetemi di dire una parola su ciascuno di questi servizi. Non ritorno sull’importanza della liturgia e degli incontri festivi di preghiera, di cui ho già parlato con i vostri Confratelli della settimana scorsa.

Nella misura in cui i laici cristiani vivono lo Spirito del loro battesimo, si può sperare che la loro fede e la loro carità si manifestino in un gran numero di carismi, di doni ricevuti per il sostegno spirituale dei loro fratelli, come quelli che ricordava san Paolo ai Corinzi (1 Cor 12). Questo dipende dalla grazia di Dio - e dunque dalla preghiera -, dalla generosità dei fedeli e anche dal discernimento affinché questi carismi siano autentici e servano al bene della comunità. I suoi Pastori possono anche affidare diversi compiti, cioè “ministeri” non ordinati e istituiti dalla Chiesa, ai membri che ne hanno la vocazione e la competenza, affinché siano garantiti con cura i diversi bisogni.

Penso specialmente all’opera indispensabile dei catechisti e degli animatori delle comunità il cui servizio richiede una buona formazione e un particolare sostegno da parte dei sacerdoti (cf. Ad Gentes, 17) dell’opera evangelizzatrice che le piccole comunità ecclesiali, legate alla parrocchia, permettono spesso. Numerosi tra voi hanno segnalato tuttavia che hanno vegliato affinché esse non fossero costituite su principi etnici o tribali. I criteri restano quelli che esponeva, tra l’altro, l’esortazione Evangelii Nuntiandi (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 58). La catechesi degli adulti deve accompagnare una catechesi seria dei bambini e dei giovani; su questo ultimo punto, voi sentite il bisogno di preparare meglio gli insegnanti, affinché una maggior istruzione profana, nelle scuole, non si volga al rifiuto della fede. Più in generale, penso al ruolo degli sposi, dei padri e delle madri di famiglia. È la cellula iniziale e fondamentale delle vostre comunità cristiane.

So che voi lamentate a questo proposito numerosi ostacoli nei confronti del matrimonio cristiano, che risalgono a certi aspetti delle istituzioni ancestrali o alla mentalità del neopaganesimo moderno, veicolata dal nuovo laicismo o materialismo. Desiderate studiare a fondo i problemi umani e sociologici che sono qui in causa. Ma, in tutti i modi, bisogna promuovere nello stesso tempo e senza aspettare il matrimonio e la famiglia così come il mistero cristiano permette di viverli, e credere che le vostre popolazioni cristiane, come già dissi a Kinshasa, siano capaci di cogliere questi valori in modo profondo e di svolgerli con tutta la loro anima africana. Molti di voi hanno iniziato una magnifica catechesi matrimoniale e sono sicuro che essa porterà frutto.

Infine, vi sono tutte le forme di testimonianze, di azione, di movimenti di apostolato dei laici adatti ai vostri compatrioti, che sono volti ad inserire lo spirito del Vangelo nelle persone, nelle mentalità, nelle istituzioni. Penso a ciò che favorisce la pietà, e anche l’impegno per la giustizia. Voi ricordate che a Kisangani avevo lungamente esortato i laici ad assumersi la sfida dei poveri del mondo rurale e a preparare condizioni di vita più degne dell’uomo e di Dio. Con voi, auguro che si intensifichi in questo campo la riflessione e l’azione perseverante e comune. È un campo in cui la comunità cristiana può mostrare la serietà della sua vitalità e una più grande credibilità.

6. La vita religiosa, contemplativa o attiva, rappresenta un carisma senza pari, di cui voi siete molto coscienti, poiché avete tentato, e con successo, di sviluppare comunità locali di religiose, contando anche sulle congregazioni più universali. Infatti, la consacrazione totale di questi uomini e di queste donne all’amore del Signore, la loro disponibilità completa nella preghiera o nel servizio apostolico, educativo o caritativo, la chiamata a vivere le beatitudini che costituisce la loro scelta di castità, di povertà e di obbedienza, testimoniano meravigliosamente il Regno di Dio. Sicuramente, bisogna vegliare affinché questo gioiello non si offuschi, affinché le esigenze e il carattere particolare della vita religiosa non vengano smussati, affinché le responsabilità di queste comunità, ben formate, giochino pienamente il loro ruolo. Questo sarà più facile, sembra, se le comunità mantengono una certa ampiezza, oltre i limiti o i bisogni specifici di una diocesi o di un settore. Già il Concilio esprimeva questa raccomandazione: “Che i Vescovi veglino nelle Conferenze affinché le congregazioni che perseguono il medesimo fine apostolico non si moltiplichino a detrimento della vita religiosa e dell’apostolato” (Ad Gentes, 18).

Chi non pensa qui a suor Marie Clémentine Anwarite, su cui mi avete intrattenuto a Kisangani! Auguro con voi che ella venga ben presto beatificata e che il suo esempio incoraggi la vita religiosa e la vita cristiana di tutto il popolo dello Zaïre. So che la Congregazione competente sta studiando attivamente la causa.

7. Infine - non c’è bisogno di svilupparlo oggi - senza il ministero essenziale dei sacerdoti, le comunità cristiane sarebbero come greggi senza pastori. Cari fratelli, consacrate una parte importante della vostra attività a sostenere lo zelo dei vostri sacerdoti, dello Zaïre o venuti da fuori, a procurare loro i mezzi di formazione intellettuale e spirituale, a visitarli. So che alcuni di voi hanno indirizzato loro un buon documento sulla vita sacerdotale. Sì, possano beneficiare sempre più della vostra vicinanza di cuore, delle vostre esortazioni, insieme comprensive e ferme, del vostro esempio, poiché, come dice san Pietro, voi, gli “anziani”, dovete “mostrarvi i modelli del gregge” (1 Pt 5, 3)! Possano essi comprendere sempre meglio la dignità della vita alla quale li chiama la loro sublime vocazione di “amici” del Signore e di dispensatori dei suoi misteri!

8. So che siete preoccupati per il risveglio delle vocazioni, e mi rallegro con voi delle numerose risposte che registrate in numerose diocesi riguardo all’entrata in seminario. Però molti di voi sono preoccupati della qualità di questi aspiranti al sacerdozio. Penso che si debba in effetti essere molto vigili, con i vostri educatori e direttori dei seminari, sulle attitudini morali e spirituali così come sulle motivazioni di questi seminaristi, e dunque operare coraggiosamente una selezione, affinché il seminario ricopra bene il suo ruolo, che è quello di condurre all’ordinazione soggetti che siano veramente apostoli, che si preparino senza ambiguità, con tutto il clima che conviene.

9. Non ho parlato direttamente del vostro ruolo di Magistero che tocca l’insegnamento e l’approfondimento della fede, lo sviluppo della teologia nel contesto dello Zaïre. Conto di ritornarvi con i vostri Confratelli. Del resto, ho già parlato della collaborazione indispensabile tra tutti i Vescovi dello Zaïre. Penso inoltre che, per rispondere a un desiderio che mi avete espresso riguardo a tutta la Chiesa in Africa, una collaborazione è anche necessaria a questo livello, sotto una forma o sotto un’altra, per esaminare i problemi religiosi che si pongono in tutto il continente, in unità evidentemente con la Chiesa universale e la Santa Sede. Ma questo lascia intera la responsabilità di ciascun Vescovo nella sua diocesi.

Vi so dunque incoraggiati a fare di tutto affinché le vostre comunità, ben strutturate e in grado di usufruire di mezzi essenziali, progrediscano con passo sicuro verso un’espressione, un approfondimento e un irradiamento autenticamente cristiani, daranno così prova di grande vitalità. So che lo zelo non vi manca e che dovete spesso manifestare un grande coraggio, davanti alle difficoltà e alla povertà di mezzi. Ma questa non è forse la situazione abituale della Chiesa? Il Signore risorto è con voi. Come ha fatto sulle rive del lago di Galilea, egli vi dice di gettare di nuovo le reti. E Pietro è con voi, nella persona del suo successore. Lo Spirito Santo vi doni la sua pace, la sua gioia e la sua forza! Vi benedico di tutto cuore, con tutti coloro che collaborano con voi, sacerdoti, religiosi, religiose e cristiani delle vostre diocesi.

 

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