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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AD UN GRUPPO DI VESCOVI AMERICANI
IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»

Sabato, 3 dicembre 1983

Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo,

Con profondo affetto fraterno vi rivolgo un cordiale benvenuto nella Sede di Pietro e volentieri condivido con voi quest’ora particolare di unità collegiale e comunione ecclesiale. Attraverso di voi mando i miei saluti di amore e pace alle Chiese locali che voi rappresentate e servite: a tutti i sacerdoti, diaconi, religiosi, seminaristi e laici che sotto la vostra guida pastorale si sforzano di vivere in pienezza il mistero di Cristo e della sua Chiesa. E nelle vostre persone desidero onorare Gesù Cristo, Pastore e Guardiano delle nostre anime (cf. 1 Pt 2, 25).

1. Ho già avuto occasione di parlare ad un altro gruppo di Vescovi americani a riguardo della celebrazione domenicale della Chiesa e dunque, in particolare, della Celebrazione eucaristica domenicale. Oggi vorrei fare riferimento, in un contesto più ampio, alla sacra liturgia e alla preghiera in rapporto al ministero dei Vescovi e alla vita della Chiesa. Immediatamente prima della sua Ascensione, Gesù ha assicurato i suoi Apostoli che essi avrebbero ricevuto lo Spirito Santo e sarebbero stati rivestiti della sua potenza. Mentre aspettavamo il compimento della promessa di Cristo, “stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 53). Come successori degli Apostoli, i Vescovi sono chiamati a continuare attraverso la liturgia della Chiesa la grande attività apostolica della lode a Dio. Specialmente nella liturgia ciascun Vescovo è un segno del Cristo che prega, un segno del Cristo che parla al Padre suo, dicendo: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra” (Lc 10, 21). La liturgia è il più grande strumento di lode, di richiesta, di intercessione e di riparazione che la Chiesa possiede. In nessun altro momento del suo ministero l’attività del Vescovo è più rilevante e più utile per il popolo di Dio di quando egli offre il Sacrificio di lode della Chiesa.

Quale Pastore del gregge di Cristo, il Vescovo sperimenta personalmente la necessità di ringraziare Dio per il mistero della croce e risurrezione di Cristo come esso è realmente vissuto, giorno dopo giorno, nella Chiesa pellegrina alla quale egli presiede e che egli serve. Il Vescovo loda e benedice “Dio; Padre del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Pt 1, 3) per le meraviglie di grazia che sono state compiute nel popolo cristiano grazie al sangue di Cristo per la fedeltà a Cristo vissuta da tanti sacerdoti e religiosi e da innumerevoli famiglie nel mondo; per gli splendidi sforzi compiuti dai giovani per seguire l’insegnamento di Cristo; per il dono della conversione costantemente conferito ai fedeli nel sacramento della Penitenza; per ogni vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa; per il combattimento pasquale e per la vittoria sul male che il Signore continuamente realizza nel suo Corpo, la Chiesa; per il bene che è compiuto ogni giorno nel nome di Gesù: per il dono della vita eterna che è dato a tutti coloro che mangiano la carne di Cristo e bevono il suo sangue e per tutto ciò che Dio ha dato al suo popolo donandogli il Figlio suo.

2. La liturgia occupa un posto di capitale importanza nella vita della Chiesa. La piena e attiva partecipazione alla liturgia è stata giustamente indicata dal Concilio Vaticano II come “la prima e indispensabile fonte da cui i fedeli acquistano l’autentico spirito cristiano” (Sacrosanctum Concilium, 14). Questo principio è vitale per un’adeguata comprensione del rinnovamento conciliare e merita di essere ripetutamente sottolineato. Altrettanto vitale è una comprensione della liturgia nel suo essere “principalmente culto della maestà divina” (Ivi, 33). Come tale, deve essere accostata dai nostri sacerdoti e dal nostro popolo con quel profondo senso di rispetto che corrisponde ai più profondi sentimenti della fede cattolica. La liturgia contiene in se stessa un particolare potere di generare rinnovamento e santità, e la consapevolezza di questo potere da parte del nostro popolo - la sua contemplazione nella fede - la attua ancor di più. Mi sono recentemente così espresso a questo riguardo con alcuni Vescovi d’America: “Quando il nostro popolo, per grazia dello Spirito Santo, si rende conto di venir chiamato ad essere “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa” (1 Pt 2, 9) e che è chiamato ad adorare e ringraziare il Padre in unione con Gesù Cristo, una immensa potenza si effonde nella sua vita cristiana. Quando il nostro popolo capisce di avere realmente un sacrificio di lode e di espiazione da offrire insieme a Gesù Cristo, quando esso capisce che tutte le sue preghiere di supplica sono unite a un’azione infinita del Cristo orante, allora vi è nuova speranza e rinnovato incoraggiamento per il popolo cristiano” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad quosdam episcopos e Foederatis Statibus Americae Septemtrionalis occasione oblata “ad Limina” visitationis coram admissos, 3, 9 luglio 1983).

3. L’autentico spirito cristiano derivato ai fedeli dalla liturgia assicura l’edificazione della Chiesa in molti modi. Mediante l’acquisizione da parte dei suoi membri di questo spirito cristiano, la Chiesa diviene sempre più una comunità di culto e di preghiera, consapevole “della necessità di pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18, 1). Questa caratteristica di costante preghiera, come conviene al Corpo di Cristo, si manifesta nella preghiera ufficiale della liturgia, nell’Eucaristia, nella celebrazione degli altri Sacramenti e nella liturgia delle Ore. In tutte queste azioni, la mediazione di Cristo, il Capo, continua e tutta la Chiesa è offerta al Padre: tutto il Corpo di Cristo intercede per la salvezza del mondo.

Nello stesso tempo la Chiesa sa che la sua attività vitale e dunque il suo dovere di pregare non è limitato alla preghiera liturgica. Il Concilio ha esplicitamente affermato: “La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (Sacrosanctum Concilium, 12). Cristo chiede ancora la preghiera individuale da tutti i suoi membri, ripetendo il suo comando: “Prega il Padre tuo nel segreto” (Mt 6, 6). Tra le forme non liturgiche di preghiera, ve n’è una che merita stima particolare ed è il Rosario della Beata Vergine Maria. Inoltre, ogni tentativo volto a rendere la famiglia cristiana un luogo di preghiera merita il nostro pieno incoraggiamento e appoggio.

4. La liturgia è eminentemente efficace nel fare della Chiesa una sempre più dinamica comunità di verità. Nella liturgia, viene celebrata la verità di Dio e la sua Parola diviene sostegno del Popolo che si gloria del suo nome. Per sua potenza, la liturgia ci aiuta ad assimilare ciò che è proclamato e celebrato tra di noi. Dice il profeta Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti” (Ger 15, 16). Nella sacra liturgia il popolo di Dio riceve la forza di vivere la Parola di Dio nella sua vita: di mettere in pratica la Parola, non limitandosi ad ascoltarla (cf. Gc 1, 23).

5. La sacra liturgia e, in particolare il Sacrificio Eucaristico, è la fonte dell’unità interna della Chiesa - “quell’unità che è offuscata nel volto umano della Chiesa da ogni forma di peccato ma che sussiste indistruttibilmente nella Chiesa cattolica (cf. Lumen Gentium, 8; Unitatis Redintegratio, 2,3)” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad sacros Praesules Conferentiae Episcopalis Foederatorum Statuum Americae Septemtrionalis, in Seminario habita, 8, 5 ottobre 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/2 [1979] 639). E mentre la celebrazione del Sacrificio della Messa e la partecipazione alla Cena del Signore richiedono già questa unità cattolica, è attraverso di loro che noi indirizziamo a Dio il nostro ardente desiderio di quella completa unità nella fede e nell’amore che Cristo desidera per tutti i suoi seguaci. Nell’Eucaristia la Chiesa dichiara il suo desiderio di essere perfettamente conforme alla volontà di Cristo: per una maggiore purificazione, conversione e rinnovamento.

6. Il rapporto del culto e della preghiera con il servizio e l’azione ha un significato profondo per la Chiesa. La Chiesa si considera chiamata dal culto al servizio; contemporaneamente essa considera il suo servizio in rapporto alla preghiera. Essa attribuisce estrema importanza all’esempio di Cristo, le cui azioni erano tutte accompagnate dalla preghiera e compiute nello Spirito Santo. Il principio è lo stesso per tutti i discepoli di Cristo e, come Vescovi, dobbiamo aiutare il nostro popolo a non dimenticare mai questo aspetto essenziale del loro servizio; è una dimensione specificamente cristiana ed ecclesiale dell’azione.

È nella preghiera che viene nutrita e valutata una consapevolezza sociale. È nella preghiera che il Vescovo, insieme al popolo, riflette sulla necessità e le esigenze del servizio cristiano. Sette anni fa, nel suo messaggio alla Conferenza “Call to action” a Detroit, Paolo VI formulò principi importanti, affermando: “Il Signore Gesù non vuole che dimentichiamo mai che il segno della nostra discepolanza è la sollecitudine per i nostri fratelli . . . Sì, la causa della dignità umana e dei diritti umani è la causa di Cristo e del suo Vangelo. Gesù di Nazaret si identifica per sempre coi suoi fratelli”. Nella preghiera la Chiesa capisce pienamente il significato della Parola di Cristo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). È nella preghiera che la Chiesa capisce le molte implicazioni del fatto che la giustizia e la misericordia sono tra “le prescrizioni più gravi della legge” (Mt 23, 23). Nella preghiera, la lotta per la giustizia trova la sua giusta motivazione e il suo incoraggiamento, e scopre e conserva mezzi veramente efficaci.

Solo una Chiesa che rende il culto e che prega può mostrarsi sufficientemente sensibile ai bisogni di chi è malato, sofferente, solo - specialmente nei grandi centri urbani - e dei poveri ovunque essi siano. La Chiesa come comunità di servizio deve sentire innanzitutto il peso del fardello portato da tante persone e famiglie, e poi cercare di aiutare ad alleviare quei fardelli. La sequela che la Chiesa scopre nella preghiera si esprime nel profondo interesse per i fratelli di Cristo nel mondo moderno e per i loro numerosi e diversi bisogni. La sua sollecitudine, manifestata in vari modi, comprende - tra gli altri - gli ambiti dell’alloggio, dell’educazione, della salute, della disoccupazione, dell’amministrazione della giustizia, dei particolari bisogni degli anziani e degli handicappati. Nella preghiera, la Chiesa viene confermata nella sua solidarietà con chi è debole e viene oppresso, con chi è indifeso e viene manipolato, coi bambini che vengono sfruttati e tutti coloro che vengono in qualche modo discriminati.

Il servizio della Chiesa in tutti questi campi deve assumere forme specifiche e concrete, e questo richiede comprensione e competenza da parte dei vari membri della comunità ecclesiale. Ma tutto il programma di diakonia deve essere sostenuto dalla preghiera, dal contatto vitale col Cristo che insiste sulla necessità di legare la sequela col servizio. Per questa ragione Paolo VI concluse il messaggio alla Conferenza di Detroit con queste riflessioni: “Nella tradizione della Chiesa, ogni chiamata all’azione è innanzitutto una chiamata alla preghiera. E così voi siete chiamati alla preghiera e soprattutto a una maggiore condivisione del Sacrificio Eucaristico di Cristo . . . È nell’Eucaristia che trovate l’autentico spirito cristiano che vi renderà capaci di uscire fuori e agire nel nome di Cristo”.

7. C’è inoltre un reale rapporto tra la pace che è proclamata e attuata nell’Eucaristia e tutte le iniziative della Chiesa per portare la pace di Cristo al mondo. I vostri zelanti sforzi per promuovere la pace e per contribuire a stabilire nel mondo le condizioni che favoriscono la pace, come la pace stessa, dipendono totalmente dalla grazia di Dio. E questa grazia, questa forza, questo aiuto è dono di Dio a noi, conferito liberamente, ma conferito anche perché ricercato nel nome di Gesù, attraverso la preghiera, attraverso l’Eucaristia. Le vostre Chiese locali sono chiamate ad essere comunità che promuovono la pace, vivono la pace, invocano la pace.

8. Anche in ogni altro settore della vita cristiana, la Chiesa vive la sua natura e raggiunge i suoi fini con la preghiera e il culto. È proprio in questo modo che essa diviene sempre più Chiesa di Dio, siamo chiamati a rendere il nostro specifico contributo alla costruzione della comunione d’amore con la pratica della collegialità, con ogni sforzo personale compiuto per promuovere, difendere e consolidare l’unità di fede e la disciplina tra le Chiese locali e la Chiesa universale. E tutti questi sforzi sono concepiti nella preghiera e attuati in unione con Cristo che prega. È estremamente significativo che nell’atto stesso - l’offerta del Sacrificio Eucaristico - nel quale le vostre Chiese locali raggiungono la loro più profonda identità di comunità di culto e di comunione d’amore, voi e io siamo chiamati per nome.

L’identità del nostro popolo cattolico e l’autenticità del suo culto sono per sempre legati al nostro ministero che non è nient’altro che il ministero di Gesù Cristo, attraverso il quale, con il quale e nel quale viene resa gloria e onore al Padre e ogni preghiera raggiunge la sua efficacia.

 Il culto che anima le vostre Chiese locali, l’ispirazione per la diakonia e tutto l’autentico spirito cristiano che viene dalla liturgia della Chiesa sono per loro natura cristocentrici e diretti al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Ogni preghiera che noi offriamo per il nostro popolo è fatta con Cristo, Signore e Sommo Sacerdote della nostra salvezza. E poiché la nostra preghiera di Vescovi è anche apostolica, noi la compiamo con Maria, la Madre di Gesù (At 1, 14).

Cari fratelli Vescovi, pregando con Maria scopriremo sempre più chiaramente il significato del nostro ministero pastorale di culto, di preghiera e di servizio alla Chiesa di Cristo e al mondo moderno.

 

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