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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA VISITA DI SUA BEATITUDINE IGNACE IV HAZIM
PATRIARCA GRECO-ORTODOSSO DI ANTIOCHIA

Venerdì, 13 maggio 1983

 

Beatitudine e carissimo fratello in Cristo.

È con intensa emozione che vi accolgo, voi e i fratelli nell’Episcopato che vi accompagnano nella vostra visita alla Chiesa di Roma, la Chiesa di Pietro e di Paolo. Questi “maestri dell’oikumene”, come li chiama la liturgia, dopo aver predicato lungamente la parola di Dio ad Antiochia (cf. At 11, 26; Gal 2, 11), sono venuti in questa città, in cui, con il loro sangue versato, hanno reso al Signore l’ultima testimonianza.

Una profonda emozione suscitano in noi il pensiero di questi avvenimenti della Chiesa primitiva e il fatto che voi venite proprio da Antiochia, questa città in cui la comunità cristiana ricevette il suo proprio nome, nome che, fino ad oggi, è la sua fierezza: “È ad Antiochia che, per la prima volta, il nome di “cristiani” fu dato ai discepoli” (At 11, 26).

Oggi, quando sono trascorsi ormai quasi duemila anni da questi avvenimenti, è con la stessa fede, con la stessa carità che animava già la prima Chiesa di Antiochia, chi vi ricevo, venerabile fratello, che venite tra noi nel nome del nostro solo Signore Gesù Cristo. La Chiesa di Roma che si è sviluppata attraverso la predicazione degli stessi apostoli, vi accoglie in uno spirito di preghiera e di calorosa fraternità ecclesiale: “Sii benedetto tu, o Padre, sii benedetto, perché tu solo compi meraviglie!”.

La vostra presenza fra noi, Beatitudine, ci ricorda gli sviluppi ulteriori della vita cristiana nella regione di Antiochia e il contributo che questa Chiesa ha apportato all’intera Chiesa. Come non ricordare in questo momento sant’Ignazio, questo maestro di fede e di vita, che, nel momento in cui si preparava ad offrire l’ultima testimonianza del martirio, indirizzò “nel nome di Gesù Cristo” una lettera di comunione alla Chiesa di Roma, lettera che essa ha conservato con venerazione? Come non pensare alla scuola esegetica di Antiochia e alla sua fisionomia particolare? Come non ricordare san Giovanni di Damasco, questo campione della fede ortodossa?

Quando si sviluppa la riflessione teologica sui temi di capitale importanza per la vita della Chiesa, come quello dell’Eucaristia, del ruolo del Vescovo nella Chiesa locale, della comunione nella Chiesa locale e tra le Chiese locali, l’insegnamento di sant’Ignazio resta di importanza decisiva, non solamente per la soluzione di questioni e di tensioni proprie di quest’epoca e di questi luoghi, ma soprattutto per il pensiero cristiano di tutti i tempi. “Che questa Eucaristia sola sia considerata legittima, quella che si fa sotto l’autorità del Vescovo, o di colui che egli avrà incaricato. Là dove c’è il Vescovo, là c’è la comunità, così come là dove c’è Gesù Cristo, c’è la Chiesa cattolica” (S. Ignazio di Antiochia, Ad Smyrnenses, 8, 2). Come non essere toccati da tali affermazioni che, oggi, dopo quasi duemila anni, vengono prese come base del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, dialogo che ha come fine quello di ristabilire la piena comunione tra le nostre Chiese? E come non essere pieni di ammirazione constatando che, in questo testo, sant’Ignazio di Antiochia è il primo nella storia ad attribuire al termine profano “katoliki”, unito a “ekklesia” un significato completamente nuovo, esprimente la comunione universale di coloro che credono in Cristo? Questa comunione universale, comunione delle Chiese particolari, comunione dei Vescovi che, “stabiliti fino alle estremità della terra” (S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesinos, 3, 2), hanno lo stesso pensiero di Cristo (cf. Ef 3, 2), questa comunione universale nella carità alla quale presiede la Chiesa di Roma (S. Ignazio di Antiochia, Ad Romanos, prooem.), è il Corpo di Cristo che riunisce in sé tutti i popoli. In questo contesto, il consiglio che egli dà ai cristiani di Efeso è valido per i cristiani di tutti i tempi: “Che ciascuno di voi diventi un cuore solo, affinché, nell’armonia del vostro accordo, voi cantiate con una sola voce in Gesù Cristo un inno al Padre” (S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesinos 5, 1).

Il nostro incontro di oggi vuole contribuire concretamente alla creazione di una tale armonia tra le Chiese d’Occidente e d’Oriente. Per la prima volta nella storia, un Patriarca ortodosso dell’antica sede di Antiochia fa visita a Roma. Di tutto cuore vi ringrazio di questo segno di comunione, e prego il Signore di fare in modo che le nostre relazioni si sviluppino, perché insieme possiamo trovare le strade più adatte che conducono alla piena unità. L’unità è un’esigenza evangelica e, per i cristiani del nostro tempo, è un’urgenza storica. Abbiamo numerosi motivi di rendere grazie al Signore per tutto ciò che ci permette di vedere e di fare nel nostro impegno per essere fedeli, su questo punto anche, alla sua volontà.

Il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa si sviluppa in una maniera organica e costruttiva, e i suoi primi risultati rafforzano la nostra comune speranza che, progressivamente, le divergenze che ancora sussistono tra di noi verranno affrontate e che noi potremo pervenire ad un pieno accordo nella fede, in vista di una vita comune, di nuovo organicamente articolata (cf. S. Ignazio di Antiochia, Ad Colossenses 2, 9). Mentre il dialogo teologico prosegue, accompagnato dalla preghiera e dall’attenzione di tutti, è particolarmente opportuno intensificare le relazioni fraterne. La profonda fede comune permette ai cattolici e agli ortodossi di collaborare nei diversi campi, quello della cultura, dell’attività sociale, ma ancora e soprattutto nel campo pastorale.

Nel nostro tempo, i cristiani sono chiamati a testimoniare insieme, in maniera sempre più coerente, i valori cristiani in una società che ha sempre più bisogno che le vengano richiamati il primato dell’amore e dello spirituale, la dignità dell’uomo e il senso della sua vita, così come sono stati rivelati nella risurrezione di Cristo.

Oltre a queste esigenze valide ovunque, vi sono quelle che nascono dalle circostanze locali e dalle possibilità concrete che esse offrono, là ove cristiani di diverse tradizioni vivono fianco a fianco e vicino ad altri uomini che aderiscono ad altre fedi religiose o si dicono non credenti.

L’ecumenismo sul piano locale si trova di fronte a bisogni e situazioni specifiche e a sue risorse proprie. Vi è un certo tipo di iniziativa che gli è propria e il suo ruolo è più originale rispetto a quello di una semplice applicazione limitata di direttive ecumeniche destinate al mondo intero (cf. Unitatis Redintegratio, 12).

Le iniziative locali viste nella prospettiva della comunione universale, non solamente sono necessarie sul posto, ma possono anche essere molto feconde per una crescita più generale della comunione. Tuttavia è sul piano locale che dovranno essere eliminate ogni traccia di opposizione preconcetta e ogni attività ingiusta o ispirantesi ad un proselitismo di bassa lega. Ancor più, è soprattutto sul piano locale che si trovano le occasioni di collaborare nel servizio di Dio e degli uomini e i mezzi adatti a realizzare questa collaborazione.

Beatitudine, voi venite da una regione provata dalla guerra e dalle sue conseguenze che sono insicurezza e incertezza. Questa situazione non manca di avere influenze negative sulla vita della Chiesa. E questo non solamente a causa delle perdite materiali, ma anche a motivo delle lacerazioni spirituali che essa ingenera. Ogni volta che ne ha avuto la possibilità, questa Sede Apostolica ha sempre insistito presso tutti gli organismi responsabili, con i quali è stata in contatto, sulla necessità di risolvere la crisi libanese, di rispettare pienamente le esigenze di giustizia e di salvaguardare concretamente l’indipendenza e l’integrità di questi Paesi. Solamente così tutte le componenti sociali e religiose di questa nazione potranno ricominciare a vivere insieme pacificamente, liberamente, in un comune impegno di ricostruzione e di rinnovamento. È in queste prospettive che sono orientati gli sforzi. Sollecito in ogni occasione la buona volontà degli uomini e, soprattutto, la mia preghiera supplica il nostro unico Signore, il maestro della storia, affinché si trovi una soluzione giusta e venga realizzata al più presto. In questo contesto, ancora, un accordo armonioso tra i cristiani è più che mai necessario, non per opporsi a chicchessia, ma per essere un fermento potente di apertura e di fraternità con tutti gli uomini di buona volontà, pronti a edificare insieme un mondo migliore. Il Libano così caro al nostro cuore, pienamente e fraternamente integrato nel mondo culturale che gli è proprio, potrebbe così ritrovare un’influenza che superi largamente le sue frontiere, conservando la propria fisionomia tra i paesi fratelli.

Beatitudine, la ricerca della piena comunione tra le nostre Chiese si compie nel concreto contesto della situazione del mondo d’oggi. La vostra visita mi riempie di gioia vera e profonda, perché è un manifesto segno della volontà di piena riconciliazione in un momento in cui i fattori di smembramento e di disgregazione sembrano aver assunto nuova forza. Questo incontro mi offre l’occasione di dire, di nuovo e con ancora più insistenza, che la Chiesa cattolica è disposta a fare tutto ciò che le è possibile perché progredisca ed abbia buon esito la ricerca della piena unità, sia attraverso il dialogo teologico che attraverso la cooperazione pratica e la collaborazione pastorale. È insieme che noi dobbiamo camminare sulla strada che conduce all’unità ritrovata, a quel momento tanto desiderato in cui noi potremo concelebrare l’Eucaristia del Signore.

Ci siamo impegnati con decisione su questa strada. La via può essere lunga, ma la carità deve farsi inventiva nell’ascolto di colui che ha cominciato in noi la sua opera di riconciliazione e che saprà condurci fino al suo compimento.

È con lo stesso cuore, fratello amatissimo, che possiamo oggi implorare la benedizione del Signore sulle Chiese al servizio delle quali egli ci ha consacrato. “A colui che in tutto ha potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli! Amen” (Ef 3, 20-21).

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