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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE
PROMOSSO DALLA CEI SUI PROBLEMI DEL LAVORO

Venerdì, 18 novembre 1983

 

1. Con viva gioia porgo il mio saluto a voi tutti, delegati delle diocesi d’Italia e delle associazioni cristiane, che vi siete riuniti a Roma per il Convegno pastorale ispirato alla Lettera enciclica Laborem Exercens, nell’intento di approfondirne i contenuti per meglio proclamare e realizzare il Vangelo del lavoro nel contesto della situazione italiana.

L’Anno Santo della Redenzione con il suo appello, “Aprite le porte al Redentore”, è anche per voi necessario punto di riferimento e richiamo ad affidarvi alla “forza trasformatrice della Redenzione di Cristo”. Il mondo del lavoro ha bisogno, oggi come ieri, di Cristo Signore; ha bisogno di Gesù, uomo del lavoro, e del suo Vangelo.

Come cristiani, voi avete avvertito l’esigenza di raccogliervi per riflettere su di un tema così attuale, come quello del lavoro, in riferimento alla gravità e all’importanza del momento storico, che sta vivendo anche l’Italia. “Scoprire i nuovi significati del lavoro umano e formulare i nuovi compiti che in questo settore sono posti di fronte ad ogni uomo, alla famiglia, alle singole Nazioni, a tutto il genere umano e anche alla Chiesa” (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 2) costituisce la prima, significativa fedeltà al nucleo essenziale della Dottrina sociale della Chiesa stessa, che nel lavoro ha sempre visto “una componente fissa della vita sociale” e “una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale” (Ivi, 3).

Il farsi carico, il condividere i problemi che, spesso in maniera preoccupante, coinvolgono vasti strati del popolo italiano, è parte metodologica dell’annuncio del senso cristiano del lavoro. Per questo non posso che incoraggiarvi nel vostro impegno di illuminare le numerose situazioni cariche di dolore, complesse e spesso difficili da interpretare e da risolvere, nella quotidiana testimonianza di quel Vangelo del lavoro che va proclamato e attualizzato ai giorni nostri con coraggio profetico e con sapiente realismo.

2. I problemi relativi alla crisi quantitativa del lavoro sono sotto gli occhi di tutti: il dramma della disoccupazione, la difficile situazione dei “cassintegrati”, i giovani che non riescono ad ottenere un loro “banco di lavoro”; e poi gli emigranti e gli stranieri, gli handicappati e gli anziani; senza inoltre dimenticare i problemi riguardanti il doppio lavoro, la mobilità professionale, la casa, i trasporti, l’uso stesso della cassa integrazione e l’abuso che a volte si fa del diritto di sciopero. Si legge al riguardo nel documento dei vostri Vescovi su “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”: “Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione” (La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, n. 4).

C’è bisogno di una rinnovata e puntuale attenzione e di una chiara testimonianza nel mondo del lavoro, “perché in esso sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell’umano esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell’ingiustizia che penetrano profondamente nella vita sociale” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 1). Poiché l’uomo “concreto”, “storico” è “la prima e fondamentale via della Chiesa” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 14), e ciò proprio in base al mistero della Redenzione di Cristo, voglio invitarvi a non dissociare mai la doverosa ricerca del senso del lavoro e lo studio delle attuali condizioni socio-economiche in cui esso si svolge, dall’impegno profetico e dagli orientamenti morali, al fine di non cadere o nell’astrattismo o nel pragmatismo. Si dovrà invece alimentare con una certa qual urgenza la prospettiva biblica, etica e teologica di fronte alla crisi delle ideologie del lavoro fondate il più delle volte sul “materialismo pratico” o sul “materialismo teorico”.

3. Questa prospettiva etica deve alimentarsi alla teologia trinitaria, alla teologia della croce e della risurrezione del Signore, come ho richiamato nella parte finale della Lettera Laborem Exercens, in modo che l’attività lavorativa dell’uomo, ripensata nel contesto complessivo del messaggio evangelico, acquisisca in pienezza il suo significato. Essa infatti è immersa nell’orizzonte dell’opera divina che, inaugurata dal Padre nella creazione, fu portata a sostanziale compimento dal Figlio nel mistero pasquale ed è avviata ora verso la sua definitiva pienezza grazie all’azione dello Spirito Santo, che sospinge la storia verso il traguardo del Regno.

L’analisi del lavoro umano, fatta nell’orizzonte dell’opera divina della salvezza, penetra al centro stesso della problematica etico-sociale, e sfocia in un’etica del lavoro che a buon diritto si può qualificare nuova. Questa etica sociale, senza disattendere gli obblighi dei singoli, sottolinea quei fattori nazionali e sovrannazionali che, sul piano economico, politico e finanziario, condizionano in maniera spesso negativa sia la quantità sia la qualità del lavoro. Problemi come il lavoro iniquo, disumano, non tutelato, o disprezzato esigono da parte dei cristiani una rinnovata assunzione di responsabilità. L’etica del lavoro riguarda, soprattutto, la dimensione soggettiva di esso, cioè l’uomo come persona, come soggetto del lavoro.

Il primo fondamento del lavoro è infatti l’uomo stesso, e benché l’uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. Affermare la preminenza del valore soggettivo del lavoro su quello oggettivo, significa che la misura del valore del lavoro è la dignità del soggetto umano che compie il lavoro.

4. Sullo sfondo di queste considerazioni, voi vi siete soffermati in questi giorni a riflettere su tre aspetti del lavoro di vivissima attualità: l’occupazione, la programmazione, la partecipazione.

Nella Lettera enciclica Laborem Exercens ho indicato nella disoccupazione uno dei mali sociali più gravi, capace di trasformarsi, in determinati casi, in una vera calamità (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 18). A quelle pagine vi esorto a rivolgere la vostra attenzione e la vostra riflessione, per illuminare sempre meglio il diritto che l’uomo ha ad un lavoro. L’impegno di dare realizzazione al diritto-dovere di lavorare, che inserisce ad ogni soggetto umano, richiede oggi arditezze nuove di vedute e di programmazione.

Con la riflessione avviata dal vostro Convegno avete convenuto che, per lottare contro i mali e i pericoli della disoccupazione, è opportuno che lo Stato e i vari Enti ed Associazioni pubbliche e private predispongano una seria programmazione del lavoro; che le scuole preparino gli uomini al lavoro, e che nel contempo si dia attuazione generosa a una collaborazione internazionale capace di assicurare i dovuti equilibri tra Stato e Stato. Se i modelli di sviluppo sono oggetto di considerazione in tema di programmazione del lavoro, non si può non guardare con preoccupazione allo spreco che si fa, al giorno d’oggi, di risorse non rinnovabili, come anche agli squilibri che certe scelte determinano.

La coscienza sociale avverte, inoltre, con chiarezza sempre maggiore il bisogno di partecipazione. È un’esigenza che si impone anche nel mondo del lavoro: ad essa occorre cercare di dare soddisfazione facendo partecipare gli uomini del lavoro a tutto il processo produttivo in modo che venga riconosciuto il valore soggettivo dell’attività umana. Le modalità e le forme non possono essere qui determinate; esse debbono essere tuttavia ben presenti nei vostri approfondimenti e nella vostra ricerca.

Non possono, inoltre, non preoccuparci le opinioni di coloro che, al giorno d’oggi, ritengono ormai superato e vano il discorso di una più intensa partecipazione e demandano la realizzazione della soggettività umana al cosiddetto tempo libero. Non appare giusto, infatti, opporre il tempo dedicato al lavoro al tempo libero dal lavoro, in quanto tutto il tempo dell’uomo deve essere visto come un dono meraviglioso di Dio per la globale e integrale umanizzazione. Sono, tuttavia, convinto che il tempo libero meriti particolare attenzione perché è il tempo in cui le persone possono e devono soddisfare ai loro doveri familiari, religiosi, sociali. Anzi, tale tempo, per essere liberante e utile socialmente, va vissuto con matura consapevolezza etica in una prospettiva di solidarietà, che si esprima anche in adeguate forme di generoso volontariato.

5. Da questi pochi accenni voi capite quali impegni pastorali attendano la Chiesa italiana nel prossimo futuro proprio sul decisivo tema del lavoro. Certamente non spetta ad essa analizzare scientificamente tutte le implicanze economiche e socio-politiche che il lavoro presenta. “La Chiesa, però, ritiene suo compito di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni, in cui essi vengono violati, e di contribuire a orientare questi cambiamenti perché si avveri un autentico progresso dell’uomo e della società” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 1).

Appare, pertanto, indispensabile che si rafforzi nelle Chiese locali in forma sempre più organica e compiuta un’adeguata azione pastorale di viva attenzione ai problemi e alla cultura degli uomini del lavoro, in modo che ad essi non venga mai a mancare un’adeguata proposta della Redenzione che Cristo ha realizzato nella pienezza dei tempi.

Questa pastorale per gli uomini del lavoro è tanto più necessaria oggi che è tempo “di nuovo avvento, tempo di attesa” (cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 1). E, ancora, un’autentica pastorale del lavoro non può svilupparsi se non è radicata in una profonda spiritualità cristiana, che dimostri quella maturità che esigono le tensioni e le inquietudini delle menti e dei cuori. Permettetemi di richiamare perciò la vostra attenzione sulla necessità “di una spiritualità del lavoro tale da aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio, Creatore e Redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell’uomo e del mondo e ad approfondire nella loro vita l’amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede una viva partecipazione alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta, di re” (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens, 24).

Il vostro Convegno è felice occasione per riconfermare una presenza e un impegno, che auspico sempre più incisivo e fruttuoso, tra gli uomini del lavoro con l’aiuto della Grazia di Dio.

A voi tutti e a coloro che nelle Chiese italiane condividono il gioioso peso di una pastorale del lavoro imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

 

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